Lettera aperta al sindaco Marino e al ministro Alfano
vi scrivo dopo aver letto con grande attenzione le vostre ultime dichiarazioni sul piano Roma Capitale Sicura e spinto dalla conoscenza che ho dei fenomeni criminali che dominano la capitale del nostro paese acquisita nel lavoro di inchiesta che ho condotto negli ultimi anni assieme alla collega Floriana Bulfon sull’insediamento – e non infiltrazione – delle organizzazioni di stampo mafioso nella Capitale, pubblicata nel libro Grande Raccordo Criminale edito per Imprimatur e uscito solo lo scorso marzo.
Il problema della sicurezza a Roma per voi sono solo i cortei “dei violenti” (e gli occupanti di case e edifici pubblici sfitti o abbandonati) e i ragazzini che spacciano a San Basilio e non la holding criminale che controlla il traffico internazionale di stupefacenti attraverso i porti di Ostia e Fiumicino e quelli di Anzio e Civitavecchia, l’aeroporto internazionale Leonardo Da Vinci e le vie Appia e Pontina (un quarto della cocaina trafficata in Europa transita per la Capitale e il Lazio) e reinveste parte dei proventi nell’acquisizione di enormi patrimoni immobiliari, esercizi commerciali e nel condizionamento dell’economia romana attraverso usura e racket.
L’obiettivo per voi e per il piano che avete ampiamente pubblicizzato sono solo i diffusi e certo pericolosi fenomeni di microcriminalità e non la guerra di mafia che negli ultimi anni hanno portato a decine di morti e ferimenti in ogni parte della città. Vi concentrate sui frammenti delle manovalanza spiccia più visibile e non su chi comanda, controlla e arma le mani di un esercito “della disperazione”.
Le soluzioni per voi sta nel applicare le maniere forti contro il dissenso e nell’invito alla delazione “sul territorio” (parlo del numero per ricevere sms e foto da parte dei cittadini su spaccio e prostituzione) e non verificare chi e attraverso quali metodi sta cercando di mettere mano sul grande affare delle dismissioni in particolare quello della Atac patrimonio.
Mentre in tutta Italia e in particolare a Milano proprio in queste settimane determinati soggetti imprenditoriali/politici e aziende di importanza nazionale sono nel mirino delle inchieste giudiziarie sia per corruzione e concussione che per infiltrazioni mafiose, a Roma non succede nulla. Anche in corrispondenza degli stessi soggetti emersi in fase di inchiesta e di nuovo tornati nell’oblio in fase di indagine proprio a Roma. A Milano si interviene su determinati nomi e interessi, a Roma si glissa. Sugli appalti della Metro C, tanto per fare un esempio, sono tali e eclatanti le infiltrazioni segnalate e emerse (anche in sede giudiziaria) che lascia basito il silenzio della politica cittadina e nazionale davanti a questi macro fenomeni.
Sembra essere ritornati indietro di decenni. Con la parola “mafia” che nessuno vuole pronunciare e con gli intoccabili intoccati, ma con il volto feroce della repressione sulle aree del disagio sociale e della manovalanza spiccia figlia della disperazione e del degrado in cui versano intere immense aree di Roma – e non solo in periferia – e dove l’unica entità visibile, in assenza di interventi e interesse da decenni da parte delle istituzione, sono le onnipresenti mafie. Dagli anni ’70 sono loro il potere che nessuno vuole toccare ma con cui, fuori dal proscenio, tutti devono fare i conti.
Cercate di rispettare almeno chi le mafie non solo le subisce ma che si trova ogni giorno a respingere nella più totale solitudine in cui da decenni li avete lasciati. Abbiate il coraggio di non offendere i cittadini romani.
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