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Cina, lo stimolo a carico dei lavoratori

Le aziende cinesi faticano a ripartire, le autorità locali decidono di "aiutarle" allentando le già esili tutele dei lavoratori. Che ne sarà della "prosperità condivisa" di Xi Jinping?

 

Nell’ambito di una tendenza, spesso ci sono arretramenti che sono scambiati per ritorni all’origine e restaurazione. A volte questi cosiddetti pullback, per usare un termine mutuato dall’andamento dei prezzi sui mercati finanziari, sono indotti da turbolenze temporanee, altre volte da vere e proprie inversioni di tendenza, per usare un’altra espressione di mercato. Forse perché i mercati sono la proiezione della natura umana? Domande retoriche a parte, in questo difficile periodo vediamo alcune certezze vacillare.

Ad esempio, le magnifiche sorti e progressive dell’elettrificazione dei veicoli, messa a dura prova dall’esplosione dei costi dei minerali in essi utilizzati, soprattutto per le batterie. Un altro ritorno al futuro, fonte di grande incertezza, è l’ambizione del leader cinese Xi Jinping a realizzare un modello di “prosperità condivisa”, che metta limiti alle situazioni socialmente più stressanti e potenzialmente destabilizzanti per la società e il regime cinese. Una sorta di via cinese alla redistribuzione, in pratica.

La crisi cinese

Ma la domanda di fondo, per il modello economico cinese, resta quella: riuscirà uno stato fortemente verticistico e burocratizzato a mantenere in vita la prodigiosa crescita economica necessaria tra le altre cose a sorreggere la proiezione di potenza esterna di Pechino?

Già da tempo serpeggiano dubbi che questa crescita-modello sia tributaria in modo decisivo del caro vecchio mattone e di tutte le speculazioni ad esso connesse, e il tentativo del regime di gestire lo sgonfiamento della bolla potrebbe anche fallire o produrre esiti di stagnazione economica e sbornia post debito.

Poi venne il Covid e una gestione della pandemia basata sulla strategia “zero”, perseguita a mezzo di lockdown orwelliani, anche nei grandi centri urbani. Poi lo shock dei prezzi delle materie prime e un deciso colpo di freno alle ambizioni di transizione ambientale, in quella che è la maggiore inversione di tendenza che il mondo intero sperimenta da qualche tempo.

Ma che dire dell’agenda di Xi sulla prosperità condivisa nel paese che sin qui è stato un ardito esperimento di anarco-capitalismo, con buona pace dei suoi ammiratori d’Occidente, alcuni dei quali fanno reiterata mostra di non aver capito nulla da decenni mentre altri teorizzano modelli semplicemente inesistenti?

L’economia cinese è stanca, come detto. Lo sboom dell’immobiliare, i lockdown e il costo delle materie prime che frenano i consumi, l’inverno demografico. Come stupirsi quindi che il regime metta le mani avanti annunciando un trimestre non facile per la crescita? L’obiettivo oggi è il 5,5% di aumento annuo del Pil. Ora, io sarò diffidente ma mi chiedo come possa un paese in recessione demografica crescere a questi tassi. A meno di esplosioni di produttività che magari ci saranno pure. O di aumentare il numero di lavoratori e/o quello delle ore lavorate.

Una ripresa bloccata

Durante una videocall rivolta a funzionari locali, il premier Li Keqiang ha detto che la ripartenza post covid è lenta, soprattutto per le piccole e medie imprese. Si segnalano bassi livelli di consumi elettrici, trasporto merci e domanda di credito. Motivo per cui le autorità hanno abbassato il tasso sui prestiti quinquennali, che è il benchmark per gli investimenti.

Ma se il cavallo non beve, ridurre il costo del credito serve a poco. Obiettivo è quello di conseguire una crescita “ragionevole” nel secondo trimestre. In realtà, si vuole evitare il segno meno. Anche per la miracolosa e perpetua crescita cinese, quindi, sono arrivati i tempi delle vacche magre. Secondo i dati ufficiali, la disoccupazione nella fascia 16-24 anni ha raggiunto il massimo storico del 18,2%, e il tasso è in forte ascesa anche per i lavoratori migranti interni.

Non solo: lo stesso premier cinese ha detto, durante la videoconferenza, che ci sono province in cui solo il 30% delle aziende ha riaperto, e occorre arrivare rapidamente almeno all’80%. Come si nota, sono dati (ripeto, ufficiali) molto preoccupanti. Interessante poi questo obiettivo “quantitativo” di riaperture. Saranno per editto o a mezzo di sussidi pubblici? O una via di mezzo? Peraltro, dopo la gelata dell’immobiliare le autorità locali hanno poche risorse da destinare a sussidi, non potendo più raccogliere soldi a mezzo di oneri di urbanizzazione e cessione di terreni agli sviluppatori. Bei tempi.

Idea: meno tutele al lavoro

Nel frattempo, giusto per unire i puntini, pare che l’aiuto alle imprese a riaccendere i motori passi anche dall’interpretazione più rilassata, da parte di autorità locali e tribunali, delle norme di tutela dei lavoratori. In un numero crescente di province, è annunciata infatti maggiore tolleranza per violazioni “lievi”; ad esempio su orari, discriminazione etnica e di genere nelle assunzioni, persino sulla prassi dei datori di lavoro di confiscare i documenti di identità dei lavoratori per impedire loro di andarsene o esigere una “commissione” dai richiedenti lavoro.

Tutte misure di controllo del costo della manodopera, diciamo. E diciamolo anche a beneficio di tutti i personaggi che ancora oggi vanno in visibilio per il “modello cinese”, credendolo figlio dei tempi radiosi di Mao e dei suoi milioni di morti per carestia indotta. Ovviamente, il concetto di “lieve” violazione va contestualizzato nel tempo e nello spazio.

Come che sia, allentamenti del genere servirebbero, secondo l’interpretazione del “dipartimento risorse umane e sicurezza sociale” (sic) della provincia dello Jiangsu, per

[…] stimolare l’imprenditorialità, migliorare l’applicazione della legge e creare uno stabile, equo e prevedibile contesto di affari.

A ognuno i propri stimoli. Ma, a parte ciò, come si concilia questa differente interpretazione delle norme pro-lavoro con la spinta di Xi Jinping alla prosperità condivisa e alla via cinese alla redistribuzione, che spesso passa attraverso forme di filantropia obbligata da parte dei nuovi oligarchi, che devono sottomettersi al partito?

Lo scopriremo in questo anno difficile. Scopriremo se il gigante cinese ha i piedi d’argilla, se l’esperimento anarco-capitalista finirà male e a colpi di spesa pubblica per tenere tranquilla la popolazione, e se il controllo iper-verticistico di un’economia di mercato è destinato a finire tra le lacrime. Nel frattempo, piccolo suggerimento ai nostri “esperti” di convivio: piano col trionfalismo su tutto quello che arriva da regimi autocratici e dittatoriali dell’Est, spesso solo per stucchevole reazione anti-occidentale.

Chris from Shenzhen, ChinaCC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons

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