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Chi ha paura delle liberalizzazioni?

Le repliche dell’OUA, Organismo Unitario dell’Avvocatura, al tema della liberalizzazione della professione forense sono apparse degne della reazione ad una prossima minaccia di cancellazione dello Stato di diritto: stato di agitazione a tempo indeterminato e dimissioni.

“Un governo tecnico non può travolgere l'avvocatura - afferma il presidente del Consiglio Nazionale Forense Avv. Guido ALPA - e non può, come hanno sottolineato alcuni giornali, mettere mano a riforme importanti come quella che ci riguarda, ma che riguarda anche i diritti fondamentali dei cittadini”.

Giovanni Negri, sul Sole 24 ore del 27 novembre, così efficacemente descrive il Congresso dell’OUA: “Scene di uno psicodramma collettivo quelle di ieri mattina nella giornata conclusiva della conferenza nazionale dell’avvocatura… e se il Presidente…ha citato più volte… il sociologo polacco Zygmunt Bauman e le sue tesi sul capitalismo parassitario, ieri sarebbe stato più utile Gustave le Bon e il suo datato ‘Psicologia del Folle’.

In effetti sorprende, e non poco, una così veemente reazione senza che nemmeno si conoscano le linee guida del provvedimento ancora in gestazione.

Presumibilmente il terrore trova fondamento nel concetto stesso di liberalizzazione lasciato all’elaborazione di un Governo che, almeno da un punto di vista tecnico, sarà capace di strutturare norme e proposte di legge degne di questo nome.

L’elite associativa dell’Avvocatura lamenta, forse in maniera confusa, l’incompatibilità delle regole di mercato e della concorrenza con il ruolo istituzionale dell’avvocato che, estraneo al ruolo di commerciante, deve avere solo cura dell’interesse del proprio assistito. Incompatibilità che si concretizzerebbe nella perdita di libertà ed autonomia se l’Avvocato potesse associarsi, in funzione delle regole mercantili, ad interessi patrimoniali che ne soffocherebbero l’etica.

Il principio non è solo lodevole, ma pure condivisibile: in astratto. Nella realtà viene, intanto, da domandarsi quanto questi principi abbiano efficacia, ad esempio, nelle “industrie legali” ( le c.d. law firms ) che, in stile anglossassone, contano centinaia e centinaia di avvocati. 

“Il codice del Potere” (Franco Stefanoni Editore Melampo) chiarisce l’esistenza di una sottile striscia professionale, lontana dal resto della categoria:

“In Italia gli avvocati del potere, che stanno dentro al potere, che lo affiancano, lo proteggono, sono pochi, pochissimi. Tutti gli altri li guardano dal binocolo.

Gli avvocati del potere sono super consiglieri, giuristi d’alto bordo, navigati difensori, ascoltate e preziose voci da interpellare nelle faccende che contano. Perché loro sanno ciò che si deve fare. Conoscono cosa e come muovere. Ma non solo. Gli avvocati del potere diventano anche ingranaggio, parte meccanica, ossatura del sistema di governo. Si tratti di economia, finanza o politica. Insomma: del potere sono parte integrante. La loro è una élite. Cambiata nel corso dei decenni, anzi rivoluzionata. Dai mostri sacri, dall’aristocrazia forense legata all’università, dal mito del professore e del puro nepotismo, nel corso di cinquant’anni si è passati a un potere legale in mano a realtà professionali con centinaia di avvocati e milioni di euro di fatturato, delle specie di imprese multinazionali. La formula dominante ha cominciato a somigliare a quella delle law firm britanniche e americane. Con logica aziendalista, dove anche ai massimi livelli i rapporti tra avvocati e clienti appaiono meno personalizzati.

La tradizione, le torri d’avorio, la conservazione professionale hanno ceduto. Non del tutto, perché i feudi del passato in parte resistono nel presente. Ma altri, sempre più, appaiono i centri nevralgici. Il gotha forense ha dunque mutato pelle. Tuttavia non la forza, l’influenza. Una manciata di avvocati, negli anni Sessanta come oggi, continua a dettar legge. In modo complice, intimo, talvolta rischioso con l’affezionata clientela di imprenditori, finanzieri, politici.

Negli anni Novanta prendono corpo tentacolari e mastodontici studi legali e fiscali collegati ai network internazionali della revisione contabile. La loro forza è la quantità. Si gonfiano a dismisura di professionisti, in modo iperbolico, sono al servizio totale e onnicomprensivo di aziende private, pubbliche, multinazionali, governi. Ma sono giganti che presto vacillano, colpiti dalle accuse di conflitto d’interesse con l’auditing.

Non può durare, e quando la bolla scoppia sono dolori. Gli studi legali e fiscali allacciati ai network della revisione si aggrappano senza molta fortuna a un business che scivola loro via dalle mani. Nel frattempo, infatti, altri attori stanno picconando i tradizionali poteri forensi. Grazie all’irrompere delle privatizzazioni di aziende di Stato, negli anni Novanta inizia il ciclo degli studi stranieri. L’Italia diventa un prelibato boccone, un affare. Dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti corrono in tanti, anche se pochi riescono a entrare nel club degli avvocati del potere. Anzi, in molti targati Londra e New York restano tagliati fuori e conoscono la crisi. Qualcuno sparisce, qualcuno si ridimensiona, altri resistono.

È scontro di mentalità giuridiche, ma soprattutto di relazione con il comando. E poi bisogna fare i conti con il compiacimento del proprio ego, con il desiderio di individualità, di libero arbitrio, di guadagni. Americani e inglesi faticano ad adattarsi alle comode e protette abitudini dei colleghi vip italiani. E sono divorzi, conflitti, contese. Le difficoltà finiscono per rimescolare più volte le carte.

Lo stesso vale per l’ultima leva dei grandi studi associati tricolori. In certi casi la loro crescita è tumultuosa e penetra nei gangli del potere. In molti, sulle tracce dei primi e storici studi associati nel frattempo sfioriti, tentano la scalata. Ma, nel 2007, è in particolare un ristretto tris di avvocati leader che riesce a esercitare reale influenza sull’apparato nodale del sistema economico e politico italiano. Si tratta di un tridente che raccoglie onori, incassa dorati profitti. Partecipa alle più rilevanti operazioni industriali e finanziarie degli anni Duemila. È un passaggio di consegne rispetto al precedente potere forense. I grandi studi associati tricolori funzionano come aziende e fanno il vuoto intorno. Ma il tris di avvocati al loro vertice corre tuttavia anche rischi, resta talvolta implicato in inchieste della magistratura. Le loro vicende in chiaroscuro traghettano a ogni modo il top della professione verso un nuovo assetto. Il resto di chi ambisce a entrare nell’élite legale rimane invece un passo indietro. Molti sono delusi, spesso scottati da esperienze negative, in certi casi poco edificanti. Il gotha forense, nella sua interezza, sempre più, infatti, deve fare i conti con dissapori, litigi, divisioni, spaccature.

La peculiarità di un tale sistema di potere – almeno rispetto ad altre e diverse lobby – è nella scarsa percezione pubblica del fenomeno. Una capacità che è implicita nella stessa natura di una simile élite. Innanzitutto la conoscenza delle regole (se non la formazione delle medesime) è una condizione di esistenza. Per altro verso gli effetti di esercizio del potere non sono immediatamente visibili e riconducibili ai soggetti che hanno effettivamente esercitato il potere: l’opinione pubblica, la società vede esclusivamente le azioni ed i risultati di ciò che crede sia autonoma determinazione della classe economica, industriale o finanziaria. Le grandi operazioni globali delle multinazionali , gli interventi finanziari degli istituti di credito, i movimenti di capitale, le scalate di grandi gruppi multinazionali non sono certo invenzione o strategia esclusivamente interne”.

Lamentarsi oggi di una ipotesi di liberalizzazione che contrasta con i principi etici dell’avvocatura è, date le premesse, un obiezione decisamente tardiva.

Ma non è solo questa l’incongruenza.

Pensare di regolare la professione forense trasponendo la realtà economica degli anni cinquanta a quella attuale è, nella migliore delle ipotesi, una operazione anacronistica e destinata al fallimento. Ben altre sono le strade ed i percorsi di salvaguardia e tutela dell’etica del Ruolo.

Le condotte non etiche (e non corrette) dell’impresa si attestano, nell’attuale scarsa regolamentazione del mercato, ad un livello non compatibile con quello della professione: ciò che è lecito per l’impresa non sempre lo è per lo Studio legale. Ed allora sarebbe sufficiente modificare la “soglia”: prevedere una regolamentazione specifica di mercato capace di assicurare i doveri propri del professionista.

Nemmeno l’obiezione della pretesa capacità del sistema attuale di garantire la professionalità e la competenza è sostenibile. E’ vero il contrario.

Solo l’esperienza e la continua capacità del singolo a riconoscere i propri limiti formano il professionista affidabile, capace e preparato (principio che vale per tutte le professioni). Sicuramente gli esami di abilitazione – così come oggi organizzati e strutturati – non solo sono inadeguati a verificare la preparazione, ma sono del tutto inutili ad accertare affidabilità e correttezza del candidato.

Ma senza necessità di ricorrere agli esempi di lobby e potere forse risulterebbe indispensabile una corretta analisi della realtà.

L’Avvocatura non è stata in grado di gestire ed arginare – complice l’incapacità del legislatore – il sovrannumero di avvocati gravemente sproporzionato rispetto alla “domanda” ed alla media europea. Si è rimasti ancorati a sistemi di selezione inadeguati, quando sarebbe stato sufficiente costruire “barriere” universitarie per votazione finale e piano di studi (ciò che necessiterebbe, altresì, di altra e ben diversa struttura e cultura universitaria). E con questo regolare l’accesso in virtù di una verifica dell’esperienza , anche lunga, svolta sul campo.

A fronte di questo fallimento (nel 1993 gli iscritti all’albo erano 69.764 e nel 2010 216.728) non si può oggi lamentare l’inadeguatezza di un intervento di liberalizzazione. Occorrerebbe invece seguire il fenomeno ed intervenire nella sua regolamentazione.

L’avvocato e lo Studio Legale del quale fa parte o del quale è titolare è anche imprenditore, titolare di precisi obblighi verso i propri dipendenti e collaboratori e verso tutti quei soggetti con i quali entra in una relazione economica. L’aggiornamento e la preparazione professionale costituiscono una precisa voce di costo, come pure le strutture operative ormai paragonabili alle immobilizzazioni materiali di qualsiasi altra azienda.

La riflessione dovrebbe poi estendersi ad una analisi della realtà ed alla necessità di una sua precisa regolamentazione. Non esiste più “il passaparola” ( tipico sistema di acquisizione della clientela di ogni professione liberale ), ma gli studi strutturati ed organizzati hanno ormai al loro interno la figura professionale del responsabile del marketing.

Frequentemente, se non per regola di fatto, il rapporto professionale assistito-avvocato è mediato da un rapporto “principale” esistente tra avvocato e struttura associativa o imprenditoriale (ad esempio sindacati, associazioni consumatori, associazione industriali, assicurazioni ecc…). Ciò che pone, concretamente, il problema dell’autonomia e dell’indipendenza del professionista.

Numerosi Consigli del’Ordine hanno reagito con espliciti e forti divieti al fenomeno dei c.d. “negozi giuridici”. Strutture di “prima consulenza” ai quali i cittadini possono rivolgersi per avere, ad una tariffa contenuta, un consiglio o un suggerimento relativo ad una specifica questione di rilevanza legale. 

Si è parlato di svilimento della professione, di commercializzazione all’ingrosso di consulenza legale “un tanto al chilo”, di violazione della privacy.

Seppure sacrosanti questi argomenti non superano una obiezione di fondo: piuttosto che vietare fenomeni espressione di un mutamento culturale e sociale sarebbe stato opportuno regolamentarli ed, anzi, cogliere l’occasione proprio per una migliore formazione del professionista. Magari attraverso corsi di preparazione e di affiancamento a professionisti di esperienza.

L’agire con un indiscriminato ostracismo genera il sospetto – anche nei confronti di chi opera nella buona fede – di finalità di protezione e conservazione di privilegi, atteso che è proprio il divieto generalizzato a creare la giungla dell’illecito. 

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.70) 1 dicembre 2011 13:03

    GIUSTO. Solo l’esperienza e la continua capacità del singolo a riconoscere i propri limiti formano il professionista affidabile, capace e preparato (principio che vale per tutte le professioni). Sicuramente gli esami di abilitazione – così come oggi organizzati e strutturati – non solo sono inadeguati a verificare la preparazione, ma sono del tutto inutili ad accertare affidabilità e correttezza del candidato.

  • Di (---.---.---.108) 1 dicembre 2011 17:27

    Papponparassita De Tilla ha detto che vuole fare la rivoluzione, ma qualcuno gli ricordi e lo ricordi ai matuza come lui, che invece di occupare le poltrone e di dichiarare guerra al "mercato"( tranne che al loro chiaramente), dovrebbero stare a casa con la copertina a bere il lattuccio. perchè, la storia lo insegna, quando le nuove generazioni trovano tutti i posti occupati dai vecchi, è allora che fanno le rivoluzioni. Si sono creati la loro bella posizione senza grandi problemi e vogliono creare problemi a chi viene dopo, sbarrando loro la strada. Via i papponi e i parassiti. W la mediaconcliazione, W la società che non ha bisogno di giudici, W il libero accesso alle professioni ed alle attività economiche.

  • Di (---.---.---.243) 2 dicembre 2011 01:16

    a quanto pare sono già riusciti a bloccare ogni riforma, da quello che ha detto oggi de tilla al salon edlla giustizia, la severino avrebbe rassicurato che non ci sono riforme in programma a dicembre sull’avvocatura.

  • Di (---.---.---.237) 7 dicembre 2011 11:43

    è un fatto che il sistema esame abilitazione per diventare avvocati, limitia fortemente l’accesso a migliaia di giovani che con fatica e di tasca propria, hanno investito e pagano già, gli Ordini professionali e scuole forensi. Per non parlare dell’ oramai antiquato e di per se ostruzionistico sistema di correzione ( una volta ogni anno per lo scritto, se ci mettiamo anche gli orali.... mese e mesi....)
    è un fatto che comuque non garantisce nessuna effettiva selezione a livello di competenza e preparazione;
    è un fatto che i praticanti abilitati, vedasi patrocinatori, avvocati junior come li si voglia chiamare con compiuta pratica, già svolgono un ruolo importante.... sono obblligati all’aggiornamento professionale etc.. etc....
    Tanto vale liberalizzare le professioni, certo non gli Ordini, abolire l’esame e cominiciare a far produrre tutti.... 

  • Di (---.---.---.237) 7 dicembre 2011 11:54

    e non trattare i giovani... sempre come mucche da mungere e da ridurre al precariato a vita.... il sistema non ha funzionato è inutile nasconderlo... è inutile fare demagogia... liberalizzate come i commercialisti.... siamo sempre gli utlimi arroccati su posizioni di "favore" che oramai non ha più nessuno... la nave è affondata salviamo i giovani!!!

  • Di (---.---.---.101) 8 dicembre 2011 19:53

    Però, se non sbaglio, agli ordini degli avvocati non fanno schifo i soldi dei praticanti che spesso devono fare i salti mortali per guadagnarseli per vie traverse....
    Il praticante, oltre a stare gratis nello studio dell’avvocato non potrebbe neanche, stando al codice deontologico, cercare un lavoro regolare per evitare di fare il bamboccione attaccato alla sottana della mamma.
     Ma ste vecchie mummie perchè parlano io mi chiedo?????
    Ma teniamoli esposti al museo egizio a Torino e basta!

  • Di (---.---.---.228) 10 dicembre 2011 20:17

    riforma necessaria,lasciamo l’ultimo respiro e le ultime lamentele a chi vuol mantenere la casta,la professione e la professionalità si acquisisce con l’esperienza e non con un esame di stato utile solo per chi vuol mantenere lo status quo e i privilegi annessi

  • Di (---.---.---.241) 8 gennaio 2012 05:41

    Dovete permettere a tutte le persone con una laurea di poter aprire uno studio per lavorare senza vincoli con gli ordini professionali. Solo in questo modo le persone occupate potranno aumentare e finiranno i ricatti e le esclusioni dal mondo del lavoro.

  • Di (---.---.---.241) 8 gennaio 2012 05:42

    Dovete permettere a tutte le persone con una laurea di poter aprire uno studio per lavorare senza vincoli con gli ordini professionali. Solo in questo modo le persone occupate potranno aumentare e finiranno i ricatti e le esclusioni dal mondo del lavoro.

    Angelo

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