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 Home page > Tribuna Libera > Attentati di Parigi: questa mattina ho pianto sotto la doccia

Attentati di Parigi: questa mattina ho pianto sotto la doccia

di Salvatore VIVENZIO

Sabato 14 Novembre 2015.

Questa mattina ho pianto sotto la doccia. Ho versato le mie lacrime, per chi è morto e per chi morirà (di qualunque nazione, di qualsiasi religione). Ho pianto lì perché sotto la doccia l’acqua lava via le lacrime e ovatta i rumori. Ma non disinfetta le ferite. Quasi lo vedo, quel ragazzo con il kalashnikov. Anzi, lo sento.

E come lui altre decine, centinaia. Sento l’eco nella sua testa “Allah è grande, Allah è grande”.

Le stesse parole che gli ripetono migliaia di volte al giorno da quando è nato. Sotto quel tamburo, il giovane spara. Un colpo, due colpi, dieci, cento colpi. Mentre la paura esala la sua puzza, il sangue scorre e la vita lascia i corpi di ragazzi incolpevoli, un dio da qualche parte va a nascondersi. Una bandiera di religione viene calata come un velo per nascondere i veri interessi di coloro ai quali non importano il sangue ed il dolore.

Sento le lacrime, le urla, le grida. Avverto in me, nello sterno, la paura di un mondo più amaro. Esco dalla doccia, mi asciugo ed immagino un mondo che non c’è. Provo a dimenticare chi uccide senza sapere, chi spara senza paura. Provo a dimenticare gli sciacalli che subito si avventeranno su queste carcasse, chi chiama alla caccia alle streghe. Immagino tutto il mondo senza frontiere né religioni. Immagino il sangue tutto ugualmente rosso che ci scorre nelle vene.

Mia madre bussa alla porta :
<> mi chiede, e mi sembra quasi tristemente ironica.


<<> le mento mentre mi asciugo gli occhi.

 

Dovrei dirle che piango? E per cosa poi? Per le vittime, per i morti, per la paura, per la speranza?

Ho paura perché sento un’aria pesante, aria di guerra. Non di guerriglia, ma di distruzione. Ho paura perché sembra si sia superato il limite, sembra che nessuno riesca più a restare freddo, a ragionare, a placare la pancia e ad usare la testa.

Ho paura che possa morire il dialogo, che possa abbandonarci la riflessione.

Sento le urla dei bambini, vedo il sangue dei vecchi. Sento lo stomaco lamentarsi, il cuore sbattere forte contro la gabbia toracica. Questi sono gli uomini, bravi nella guerra, incapaci nella pace. Resto ancora un po’ a sognare, perché mi sembra mi resti solo questo. So di essermi svegliato in un domani un po’ più buio, esco di casa con questa tristezza che oggi mi porto addosso. Oggi è morta anche una parte di me, è morta troppa della speranza in un mondo migliore.

E’ ancora viva la speranza di convivere, come fratelli e non come nemici? Scuoto la testa. L’umanità oggi si è spenta, tra le vostre bocche, ed io so che per tutto il giorno camminerò a testa bassa, evitando i vostri sommessi hallelujah, le vostre frasi sconnesse, le vostre bestemmie, la vostra violenza. Evitando di guardare ciò che ho intorno, ciò che ho davanti. Evitando la vostra paura, evitando la mia paura. Perché ho paura e mi fa ancor più paura ammetterlo. Non so se stanotte riuscirò ancora a sognare.

N.B.
Questo non è un articolo. Non è una critica, non una considerazione. Sono solo i miei sentimenti, dopo una notte quasi insonne. Ho deciso di riportarli per esorcizzarli e di esporli per cercare conforto. E’ orribile essere così giovani, come lo sono io, ed essere così spaventati del futuro. Avere così poca fiducia nel futuro.

(Foto: Manuel/Flickr)

Questo articolo è stato pubblicato qui

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