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"Aiutiamoli a casa loro": il caso dell’Eni in Nigeria

Mentre in provincia di Padova, circa due mesi fa, due imprenditori agricoli sono stati arrestati per schiavitù e maltrattamenti gravissimi nei confronti degli immigrati che lavoravano per loro e per il danno erariale compiuto coi mancati versamenti, poi ci si ritrova a leggere di come ENI intende il famoso “aiutiamoli a casa loro”.

 

di Luca SOLDI

C’è voluto l’intervento del gup di Milano, Giuseppina Barbara, per scoperchiare l’ennesima ipotesi di sfruttamento e prevaricazione nei confronti del continente Africa. E giustamente crea scandalo la notizia del rinvio a giudizio, a Milano, della società Eni, dell’attuale a.d, Claudio Descalzi, e del suo predecessore, Paolo Scaroni, nel procedimento sulla maxi tangente che, secondo l’accusa, sarebbe stata pagata per lo sfruttamento di un giacimento petrolifero in Nigeria.

Qualora venissero confermate le ipotesi accusatorie dei pm si tratterebbe di sistema non nuovo, utilizzato dalle grandi multinazionali per fare gli affari a casa loro. Per mantenere viva e vitale una classe dirigente che tutto fa all’infuori che distribuire in modo equo le ricchezze del continente.
Anche la nostra Eni si ritroverebbe coinvolta nello sfruttare quella terra ed il suo popolo.

E’ quanto emergerebbe dall’indagine che ha portato la magistratura italiana al rinvio a giudizio tutti i 15 imputati, tra cui Claudio Descalzi e Paolo Scaroni, (rispettivamente attuale amministratore delegato e ex a.d dell’Eni), il Cane a sei zampe e Shell, per il caso della presunta maxi tangente versata dalle due società a pubblici ufficiali e politici nigeriani per lo sfruttamento del giacimento petrolifero Opl 245.

Il motto ‘aiutarli a casa loro’ così continua a risuonare ma gli aiuti pare che vadano nella direzione dei soliti corrotti che dissanguano le ricchezze di un continente che continua ad essere colonia delle grandi multinazionali. Da parte sua il Cda dell’Eni, in una nota, conferma la massima fiducia nella correttezza e integrità dell’operato dell’azienda e del suo amministratore delegato.


Naturalmente, verrebbe da dire, mentre gli sbarchi proseguono, mentre centinaia di migliaia di persone vengono accatastate nei lager libici.

Ancora una volta emerge che mentre la politica e le istituzioni lanciano proclami, cercano improbabili accordi a livello nazionale ed europeo, le grandi multinazionali fanno a gara per portare avanti le solite politiche di sfruttamento che dire colonialistico suona eufemistico.

Niente di nuovo e niente che non si conosca da decenni. L’evidenza di un Occidente, ma anche della Cina e dei paesi Arabi, che spremono l’Africa fino al midollo rende ridicole e tragiche le ipocrisie di quanti raccontano con sufficienza dei fenomeni migratori.

Ma oltre allo “spolpamento” delle risorse naturali emerge un sistema di tipo mafioso che impedisce la formazione e la crescita di una classe dirigente africana che possa rendersi libera dalla sudditanza nei confronti dei grandi gruppi sovranazionali.

Emerge una consapevole distruzione attraverso un devastante sistema corruttivo delle classi dirigenti e politiche dei paesi africani.

Una operazione vergognosa che oltretutto toglie, sopprime, ogni capacità di crescita morale.

Impedisce il riscatto delle nuove generazioni che se pure volessero compiere un benché minimo tentativo si trovano di fronte a delle vere e proprie caste agguerrite ed intoccabili nei privilegi.

E spiega perché malgrado le infinite ricchezze non ci siano possibilità di riscatto e speranza

 

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