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Attacco al generale Soleimani: il Medio Oriente entra negli anni Venti

L’attentato in cui sono morti ieri il generale iraniano Qassem Soleimani e alti esponenti della milizia irachena filo iraniana "Kataib Hezbollah" è l’atto più significativo con cui il presidente Donald Trump ha deciso di introdurre il Medio Oriente (e forse il mondo) negli anni Venti del XXI secolo.

La decisione con cui l’amministrazione americana ha dato una svolta radicale alla sua presenza militare nell'area più calda del pianeta non rimarrà evidentemente senza conseguenze, perché è inimmaginabile che l’Iran e i suoi alleati iracheni o libanesi (come Hezbollah, ritenuto un’organizzazione terroristica da molti paesi occidentali) non rispondano a breve con azioni adeguate al livello di scontro raggiunto la notte scorsa.

Nonostante l’andamento tentennante di Trump in politica estera, e la sua riluttanza a interventi forti, il decisionismo implicito nella sua “luce verde” a un colpo così importante – oltretutto nell’anno delle elezioni presidenziali americane (e forse questo spiega qualcosa della sua decisione) – sembra indicare più di una bizzarra alzata d’ingegno delle sue.

Sembra arrivare piuttosto da una decisione accuratamente preparata da quel “deep state” politico-militare ben avvezzo, in altri tempi, a condurre il gioco. Il presidente Trump e il “deep state” a stelle e strisce, spesso conflittuali in passato (soprattutto quando il ruolo di Richelieu era interpretato da Steve Bannon), sembrano essersi riallineati sul convincimento che era giunta l'ora di mostrare di nuovo i muscoli dopo l’assedio di manifestanti filo-iraniani all'ambasciata americana a Baghdad, ultimo atto di una escalation di botte e risposte fra i due maggiori competitor presenti in forze in Iraq.

Il paese, devastato dall’incongrua invasione ordinata da George Bush jr. nel 2003 e dalla totale assenza di un piano di gestione politica del dopo-Saddam, si era dato da tempo un governo a guida sciita.

E il governo iracheno aveva permesso agli iraniani, grazie anche all’istancabile azione di Qassem Soleimani, di costruire pazientemente quel "corridoio sciita" che da Teheran arriva, senza soluzione di continuità, fino alle sponde del Mediterraneo e ai confini di Israele, grazie all'alleanza storica con la Siria degli Assad e al "Partito di Dio" libanese. Mettendo in grandissimo allarme sia lo stato ebraico che i vari potentati sunniti a nord e a sud dell'asse sciita.

Corridoio strategico interrotto per qualche anno dall’insorgenza dei ribelli siriani contro Assad e poi dalla nascita dello Stato Islamico di al-Baghdadi a cavallo tra i due paesi più coinvolti dalle guerre del primo decennio del Duemila. Ma con la sconfitta definitiva dell'Isis e della ribellione siriana - di cui Soleimani è stato uno dei principali artefici – il corridoio è ormai ripristinato e perfettamente funzionante. Al punto da impensierire decisamente Israele che non ha esitato a colpire forze iraniane e libanesi in Siria pur di mandare messaggi espliciti e interrompere forniture degli armamenti iraniani più pericolosi alle truppe sciite in Libano.

La presenza di forze armate iraniane nel paese confinante con Israele, insieme a quell’Hezbollah che nel 2006 non aveva esitato a scatenare un conflitto aperto con lo stato ebraico, costituiva il maggior pericolo di conflitto di grande portata nel Medio Oriente. Almeno fino a che la presidenza americana sembrava decisa a ritirarsi da tutta l’area in ossequio a una politica di neo-isolazionismo sbandierata (e anche per certi versi applicata) da Trump.

Oggi non sembra essere più così. Già dopo l’assedio all’ambasciata americana il flusso di militari USA si era invertito: non più ritiro, ma l’invio di centinaia di paracadutisti affluiti in Iraq per tenere a bada le folle manovrate da Teheran e le manovre sottotraccia del suo ambizioso generale. Ieri centrato da un razzo mentre entrava nell'aeroporto internazionale della capitale irachena.

Il corridoio sciita – che poteva far partire un camion carico di qualsiasi cosa da Teheran e farlo arrivare senza alcun problema fino alle pendici del Golan ­ – potrebbe essere interrotto di nuovo. E questa volta non dai tagliagole dell’Isis, abili sul terreno quanto privi di forza aerea, ma dalle truppe americane che invece una loro, più che temibile, forza aerea ce l’hanno.

Ancor più che l'uccisione del suo più noto comandante militare, il brusco stop alla lunga e minuziosa pianificazione strategica iraniana - che avrebbe fatto di Teheran la potenza egemonica del Medio Oriente prossimo venturo – potrebbe innescare la rabbiosa risposta degli ayatollah. Che potrebbero voler "spostare" il focus del loro intervento lontano dai confini iraniani e dall'Iraq che ne costituisce l'immediato bastione protettivo.

Ma non lontano da Israele o dai pozzi sauditi, obiettivi primari di ogni storica velleità khomeinista. Con quali conseguenze non è difficile immaginare.

Il lungo trentennio mediorientale iniziato con l’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein nel 1990, seguito dalle due guerre del Golfo e dalla lunga, cruenta, guerra all'Isis che ha coinvolto pesantemente la Siria, sembra arrivato a un nuovo punto di svolta che potrebbe essere ancora più devastante per tutta l'area.

Sempreché non si allarghi oltre. Suona sinistro l'avvertimento dato da Soleimani proprio a Trump solo un anno e mezzo fa: «Mr. Trump il giocatore d’azzardo, glielo dico, noi siamo vicini a lei più di quello che lei possa pensare. Comincerai la guerra, ma saremo noi a concluderla».

E uno dei maggiori analisti americani è stato chiaro: «Mesi fa il CrisisGroup avvertì che la massima pressione americana e la massima resistenza iraniana avrebbero potuto portare la regione al 1914. Forse abbiamo appena avuto la scintilla "Francesco Ferdinando"». Il riferimento all'attentato di Sarajevo che dette inizio alla prima guerra mondiale è trasparente. Ogni altro commento invece è superfluo.

 

Foto: Wikipedia

 

 

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