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Asne Seierstad, la guerra e la Cecenia

Parlare degli orrori della guerra non è facile e ancor meno facile è riuscire a camminare lungo la strada dell’obiettività, o perlomeno della neutralità, raccontando le due parti in conflitto (che molto spesso risultano più di due a causa delle lotte intestine su almeno uno dei due fronti).

Una giornalista norvegese ci è riuscita nell’indescrivibile crudità del libro “Il bambino dal cuore di lupo. Storie dall’inferno della Cecenia in guerra” (Rizzoli, marzo 2008). Asne Seierstad racconta il suo ritorno in Cecenia, dove ha cominciato la sua carriera di reporter di guerra e descrive la vita di alcuni abitanti di Grozny, la capitale dove da 14 anni l’unica legge è quella del più forte, e la città dove nessuna ricostruzione sembra possibile in un conflitto che tranne qualche breve tregua ha raggiunto l’inferno della cronicità (la scrittrice è nata ad Oslo nel 1970, è stata anche in Kosovo, Afghanistan e Iraq, ed ha ricevuto molti premi) . Del resto i norvegesi sono i campioni dell’arte della diplomazia e in questo libro si parla quasi con “naturalezza” della vita di guerra di gente comune di origine russa o cecena, della vita movimentata dei presidenti di una Nazione-Regione dalla storia molto travagliata e poi si parla di Anna Politkovskaja, la giornalista russa più famosa a causa del suo omicidio con un mandante abbastanza misterioso (c’erano più persone a volerla morta). Di sicuro i due grossi conflitti che si sono succeduti nella terra cecena hanno esacerbato l’odio latente ed hanno aumentato il fondamentalismo islamico (anche di stampo wahabita) e la filosofia staliniana non è ancora scomparsa dalla psicologia dei russi o dei filorussi della classe dirigente: rimane la regola non scritta che recita “Niente uomini, niente problemi”. Comunque lo stile asciutto della scrittrice si apprezza anche nelle sue descrizioni più belle delle situazioni più “normali”: ci sono quelle dove definisce un carcere russo come “un villaggio, dove ogni cella rappresentava una casa con proprie regole” (che variano in base all’anzianità, alla gravità del delitto e alla forza fisica dei detenuti) e poi c’è la scena dove narra le discussioni incandescenti sulla guerra intrattenute con gente russa durante un viaggio in treno. Poi racconta di aver trasgredito la regola secondo la quale tutti contribuiscono con qualcosa da mangiare durante il viaggio in treno. Lei era troppo impegnata a pensare al suo viaggio in Cecenia, e a causa del suo narcisismo si era portata solamente una bottiglia d’acqua. I russi avranno quindi molti difetti (come ogni popolazione che vive su questa terra), ma hanno conservato il senso dei valori collettivi, della solidarietà e dell’importanza del sentimento nazionale che però nel 2008 andrebbe ridefinito e“regolamentato”: il valore di un popolo dovrebbe essere determinato dal valore dei suoi scrittori e dei suoi scienziati e non dalla cieca potenza militare scatenata in guerra che colpisce inevitabilmente anche la popolazione civile innocente.

Per il resto è meglio non aggiungere nulla perché non è nel mio stile esagerare nel commentare una pubblicazione di questo genere che tratta di un fenomeno, la guerra, che sfugge completamente a chi non l’ha vissuta direttamente. Si tratta infatti di una realtà parallela dell’esistenza umana che è molto meglio evitare.

Io però una cosa me la chiedo… Cosa ci stanno a fare le autorità religiose se non si occupano attivamente di fermare la violenza incontrollata che può scoppiare tra gli uomini: a stare al caldo a parlare di pace sono capaci anche i bambini di 3 anni… Perché ad esempio una personalità come il Papa (o come il Dalai Lama) non interviene come scudo umano per fermare gli scoppi di violenza contro i civili? Mi sa che il Papa purtroppo è ancora da considerarsi come il Capo di uno Stato e come tale si deve attenere alle regole della diplomazia internazionale… E dopotutto molti uomini religiosi si tengono alla larga dai veri problemi e quindi si occupano prevalentemente di rompere le scatole alle persone comuni (per fare carriera bisogna stare al gioco dei potenti di turno) e si impicciano della vita sessuale privata della gente. Probabilmente per invidia, dato che loro una vita sessuale piacevole e appagante non l’hanno mai vissuta.

E tutti si dimenticano che le guerre a sfondo religioso sono le più durature e le più crudeli con gli innocenti. Il conflitto tra israeliani e palestinesi sta degenerando per l’incomunicabilità tra personalità “politiche” che seguono acriticamente le regole dettate dai peggiori fondamentalismi religiosi. Tutto è religione per quei fondamentalisti islamici che non sono in grado di separare la religione dalla politica e per quelli che non conoscono la nozione di libertà personale e di libertà sociale. I problemi oggettivi dei confini delle città e dei territori sono sempre più un fatto secondario (in realtà anche i fondamentalisti ebraici sono in grado di disturbare l’azione politica di molti governi israeliani). E tutti i giovani continuano a morire e a uccidere in nome delle tradizioni dettate dai vecchi potenti di turno che pensano esclusivamente a difendere il proprio potere e i propri interessi economici (riprendendo, rispolverando e scatenando gli odi etnici e religiosi del passato). Perciò non rammaricatevi se nella Vecchia Europa si stanno dimenticando le vecchie tradizioni: così facendo non siamo quasi più capaci di iniziare una guerra.

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