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Amoris Laetitia? No, grazie. Preferisco la Costituzione della Repubblica italiana

Era giustamente orgoglioso, qualche anno fa, l'allora Presidente del Consiglio Enrico Letta per l'approvazione della nuova legge che equipara – in ossequio al dettato costitruzionale, sebbene con sessant'anni di ritardo – tutti i bimbi, legittimi e non, figli di famiglie, di ragazze madri e naturali (anche quelli dei preti). “Finalmente è stata tolta una delle più odiose infamie” così l'allora Presidente e condivido appieno. “E' stata posta in essere anche in Italia una delle più importanti conquiste civili...” aveva proseguito, e qui mi permetto di rettificare: è stata fatta una delle più importanti conquiste legislative, non civili. Sarebbe “Civile” se fosse tale a livello di coscienza civica di massa, ma così non è. Anzi, su questo fronte la strada da fare è ancora tanta, difficile ed insidiosa. Per rendersene conto basta guardare alla realtà processuale del “divorzio all'italiana” una realtà di fatto sostenuta tacitamente tra le riga anche dalla “Amoris Laetitia”: il 95% dei divorzi sono infatti incostituzionali perché si tratta di processi di legittimazione / delegittimazione che di fatto impongono la diversificazione della dignità della persona, dunque in pieno contrasto con il dettato costituzionale. Hai un'amante, con lei ti trovi bene e per te la tua “vera vita” è con lei, per di più lei adesso aspetta un figlio. La famiglia è un ostacolo ed un impiccio alla tua “vera vita”: tua moglie è pazza ed i tuoi figli debosciati e drogati, ergo sei stato “costretto” a divorziare.

Così è e comunque qualora non fosse, deve essere, specie per quegli ambienti religiosi e socio culturali che hanno concepito “Amoris Laetitia”: ambienti per i quali le “scelte” sono “per sempre” per cui non è ammissibile che un uomo possa innamorarsi di un'altra donna, o viceversa; ovvero ambienti che si appropinquano al divorzio con una concezione che implicitamente lo nega radicalmente. Così non solo è, ma DEVE essere perché altrimenti si delegittima l'immagine e l' “autorità morale” del padre della nuova famiglia e dunque della famiglia (ovviamente, la famiglia è l'ennesima: esiste una sola famiglia: l'ultima). Così di fatto i figli sono messi per figliastri e viceversa (e qui è inutile che si osservi che un'altra recente legge ha vietato la dicitura figliastro nei documenti quando di fatto si impongono procedure legali, civili e soprattutto sociali che sono marchianti). Inoltre si mette al centro non il fatto pur sempre naturale che un uomo possa innamorarsi di un'altra donna (o viceversa) interrogandosi legittimamente su come proseguire nel rispetto della dignità di tutti e non di quella degli uni a discapito di quella degl'altri o viceversa, ma quello iniquo della COLPA, intesa giudaicamente nei termini peggiori che questo termine possa assumere: come debito da pagare e da pagare a qualunque costo. Colpa ovviamente vincolante a vita e “giustizia” intesa come pagamento del debito. Siccome poi quello che la dovrebbe pagare non è socialmente accettabile che la paghi e siccome va fatta “giustizia” ovvero va pagato il debito, la colpa la si getta in groppa all'altro: assolvi Barabba e condanni Cristo. Per duemila anni le società “cristiane” non hanno avuto il divorzio ed ipocritamente propagandato una famiglia costruita sull' “amore” che quasi sempre copriva la coercizione più abbietta e vincolante a vita. Oggi il divorzio c'è, riguarda ben il 70% dei matrimoni. Ma, siccome le statistiche per i “cristiani” non sono diverse, non lo sono neanche nel caso degli ortodossi e dei protestanti, per i preti che si possono sposare, si pone il problema di non poter scomunicare (è quello che c'era una volta) il 70% dei fedeli. Ed allora SI' al divorzio, ma attenzione: al divorzio “cattolico”. E, si finge e si finge bene, di non avvedersi che si tratta della reistituzione dell'antico e sempre aborrito e per duemila anni combattuto ripudio giudaico.

francesco latteri scholten.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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