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Altro che prede, ecco le aziende italiane che conquistano i mercati nel mondo

Nei giorni scorsi si è parlato molto della fusione di Pirelli con il colosso Chem China, quasi a denunciare l'inesorabile destino delle aziende italiane, ormai facili "vittime" degli appetiti voraci delle multinazionali estere. 

In realtà, rispetto all'autocommiserazione decadente, esiste un piccolo nucleo di Pmi italiane che soffocate dalla ristrettezza della domanda del mercato domestico non hanno paura di affrontare le sfide globali, agendo da predatori affiatati piuttosto che da prede indifese. 
Nell'elenco delle ultime operazioni su scala transnazionale si ritrovano marchi noti e meno noti all'opinione pubblica, come documentato da un interessante articolo di Vittorio Carlini pubblicato il 28 marzo su Il Sole 24 Ore.
 
A partire dal settore della meccanica e biomedicale le così dette "multinazionali tascabili" si danno un bel da fare all'estero.
E' il caso della Imi, azienda produttrice di macchine automatiche per il confezionamento di prodotti (farmaceutici ed alimentari), che ha acquisito un pool di 5 aziende addirittura nella "ostica" Germania.
 
Nel novembre scorso invece, Emak, attiva nei componenti ed accessori per giardinaggio, agricoltura e industria, ha scalato il 70% della brasiliana Lemasa per 25 milioni di euro. 
 
Anche Amplifon è sbarcata in Brasile, dopo aver conquistato fette di mercato in Israele, comprando il 51% di Direito de Ouvir.
 
Per restare sempre nel settore contiguo al "biomedicale", la Recordati, azienda emiliana fondata nel 1926, lo scorso anno è salita al 90% della tunisina Ophelia Pharma, con un'operazione di quasi 30 milioni di euro.
 
Sul fronte del business energetico la genovese Erg, che dal petrolio si sta espandendo nel mondo delle rinnovabili, ha investito circa 127 milioni di euro per allargare il suo parco eolico in Polonia, mentre la Falck Renewables nel 2014 ha comprato la spagnola Vector Cuatro
 
Altre imprese invece hanno tentato di aggredire, con successo, un mercato ancora più difficile da espugnare: gli Stati Uniti.
E' il caso di Reply, che lo scorso anno ha rilevato una quota del 20% dell'americana Sensoria, o di El.En, azienda che produce sistemi laser, che ha comprato il 19,5% di Quanta Aesthetic Laser Usa con l'opzione di salire al 51% nel 2017.
 
Un settore, quello dell'hi-tech che in Italia è ancora purtroppo poco rappresentato a Piazza Affari.
Certo stiamo parlando di operazioni finanziarie dall'ammontare complessivo limitato, tra i 10 ed i 100 milioni di euro, se escludiamo l'accordo Fiat-Chrysler o la storica presenza dell'Eni in Africa e Medio-Oriente.
 
D'altronde i cacciatori all'italiana sembrano più faine che leoni, considerando le dimensioni medio-piccole tipiche delle nostre aziende. Questi però sono tanti esempi virtuosi che possono testimoniare il ruolo strategico importante che l'Italia può sempre giocare nello scacchiere internazionale.
 
Ovviamente quello di cui si sente ancora forte la mancanza, e noi di Libero Mercato non smetteremo mai di ricordarlo, è la capacità del nostro paese di fare Sistema e di essere più "business friendly", aiutando le imprese ad ingrandirsi e migliorare la loro presenza dall'estero.
Questo può avvenire solo attraverso una reale politica industriale, che limiti l'ostruzionismo della burocrazia, migliori l'efficienza della giustizia civile e penale, abbassi il carico fiscale iniquo ed offra maggiore chiarezza sui controlli e trasparenza delle regole, aiuti le Pmi ad accedere al mercato dei bond e quotarsi in Borsa per non dipendere solo esclusivamente dal credito bancario, in perenne deficit di liquidità. 
Senza ovviamente trascurare la lotta alla corruzione ed alle organizzazioni criminali, un cancro letale per la capacità di crescere in maniera sana e produttiva.
La sfida globale del business è sempre aperta e le nostre aziende continueranno a dare il massimo per competere ed espandersi nel mondo, ma per affermarsi come abili cacciatori e non finire come prede è necessario che lo Stato e la politica facciano seriamente la propria parte. 
 

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.172) 1 aprile 2015 19:13

    Nessuno mette in dubbio la genialità e la capacità imprenditoriale di un certo numero di aziende italiane.

    Cosa che non addolcisce la presa d’atto di quanto patrimonio tecnico italiano (know-how) è finito o sta per finire in mani straniere. Magari come "svendita".

    Per fortuna che abbiamo un governo che, da oltre un ano, di tutto ciò che è "nuovo" fa il suo cavallo di battaglia.

    Beata la Pescitudine ...

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