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Il pluralismo: questo sconosciuto

Tutti si accalorano nel ripetere ossessivamente che in Italia c’è libertà di stampa e pluralismo, il solo Berlusconi sostiene che il 90% dei giornali sta a sinistra e complotta contro la sua immacolata persona.

Hanno torto tutti e se si vuole parlare seriamente di pluralismo bisogna farlo con metodo e con passione democratica.

Cominciamo a separare le reti televisive dai giornali.

Le frequenze nazionali sono di proprietà dello Stato. Uno Stato democratico, in quanto costituito da una pluralità di partiti e movimenti organizzati, deve offrire queste frequenze, gratis, ai principali soggetti partecipativi della nostra democrazia, che oggi sono i 4 principali partiti (Lega, Italia dei valori, PD e PDL), i sindacati, la Lega delle cooperative, il WWF, Lega Ambiente, la Confindustria, Coltivatori Diretti e CIA, Associazioni di difesa dei consumatori, che, in totale autonomia, senza pubblicità, con i soli denari del canone, divisi in parti uguali, devono sostituire il carrozzone RAI, ignobile esempio non di “servizio pubblico”, ma di servizio al governo di turno, che in un modo o nell’altro riesce a farlo funzionare a proprio favore, nonché come ufficio di collocamento dei parenti dei politicanti.

Pluralismo significa dare visibilità ai soggetti organizzati di peso notevole, che esprimono culture ed interessi diversi, che autogestiscono la propria immagine, senza affidarsi a “professionisti” terzi, che danno interpretazioni cervellotiche e non la realtà, con il linguaggio vero dei protagonisti e con la rappresentazione autentica dei problemi.

La soglia del 4% in politica ci ha dato solo 4 partiti, la soglia di 500.000 iscritti ad un movimento organizzato e controllato può darci il giusto numero di soggetti sociali a cui assegnare una frequenza televisiva nazionale.

Questo è il pluralismo. Berlusconi, Murdoch, La7, ecc., non sono pluralismo, sono una oligarchia, esattamente come negli Usa che hanno 50 televisioni private, tutte di proprietà di multinazionali.

La oligarchia delle TV commerciali non deve avere frequenze nazionali, ma solo regionali e con regole che impediscano concentrazioni e monopoli.

Per i giornali la questione è molto diversa. Anzitutto il loro peso ed influenza nei ceti popolari è quasi zero, al contrario di quello televisivo che è enorme, comunque sono tutti o quasi in mani private e ognuno è legato ad una parte politica, di giornali “indipendenti”, con tutta la buona volontà non sarei in grado di citarne nemmeno uno.

I giornali pesano non per il numero dei loro lettori, ma quando le loro notizie, confezionate ad arte, rimbalzano in TV, dove, guarda caso, sono onnipresenti i loro direttori, che sono lì a far politica e non per informare. Senza la sinergia con le televisioni verrebbero chiusi. 

La Chiesa, pur essendo un movimento organizzato di grande peso (ha già giornali quotidiani come Osservatore Romano e Avvenire, settimanali come Famiglia Cristiana, radio, televisioni, case editrici), non è però un soggetto politico e quindi non deve vantare alcun diritto sulle assegnazioni delle frequenze di uno Stato laico.

Commenti all'articolo

  • Di pv21 (---.---.---.201) 14 settembre 2009 12:30

    Il pluralismo non è di per sè il toccasana. Poche fonti preparate,capaci,impegnate e motivate sono in grado di offrire una informazione oggettiva,valida e compiuta. Forse è tutta colpa di Carosello se esistono gli Untori della parola e se siamo travolti dalle informazioni. Anche internet contribuisce a confondere e disorientare ... (c’è di più => http://forum.wineuropa.it

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.91) 14 settembre 2009 13:24
    Damiano Mazzotti

    Il vero problema è che in Italia non c’è una vera stampa liberale e libera...

    O sei filoberlusconiano (o filogovernativo), o filopapista (cattolici dogmatici) o filoleghista (provinciale) o filosinistra (excomunisti, radical chic e radicalcheck)

    E gli altri che possono pensare e fare liberamente devono restare con la bocca chiusa e le mani bloccate..

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