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Vita, morte e miracoli della politica. Socialismi, capitalismi e socialdemocrazie

“Guasto è il mondo” è l’opera ardita di un libero pensatore britannico naturalizzato americano (www.laterza.it, 2011).

Il governo dovrebbe “fare cose che al momento nessuno fa”. John Maynard Keynes.

Questo saggio rappresenta il testamento intellettuale di un grande umanista, Tony Judt, che ha sviluppato una coraggiosa sintesi storica e si è sporcato le mani nell’analisi politica della civiltà occidentale degli ultimi cent’anni. Judt sostiene che l’errore più grande delle sinistre è stato quello di fidarsi troppo degli ideali e della razionalità umana. In un certo senso il cervello di sinistra pensa che “l’universo condivide gli scopi” che la sinistra persegue (Bernard Williams, filosofo britannico, 1929-2003). Per quanto riguarda le destre all’americana, l’errore più frequente è quello di pensare all’abbondanza come al surrogato del socialismo (Daniel Bell, sociologo americano, 1919-2011).

Infatti l’ideologia dell’abbondanza crea deficienza: “Nonostante le cifre enormi che vengono spese negli Stati Uniti per le cure mediche, l’aspettativa di vita rimane al di sotto di quella della Bosnia e poco al si sopra di quella dell’Albania”. La forte disuguaglianza del reddito procapite e l’estrema competitività comportano la più alta incidenza di stress e di malattie mentali a livello mondiale (lo spietato marketing farmaceutico americano potrebbe indurre più dipendenza fisica e psicologica).

La disuguaglianza troppo accentuata fa perdere il senso di fratellanza, cioè la base di ogni politica decente e civile. Percepire il senso di uno scopo comune e di una dipendenza reciproca è il collante di ogni rete sociale e oltre a un certo limite la disuguaglianza finisce per diventare inefficiente. Ad esempio “Oggi l’amministratore delegato della Walmart guadagna novecento volte quello che prende il suo dipendente medio”, e la “disposizione ad ammirare e quasi venerare il ricco e il potente, e a disprezzare – o almeno a trascurare – le persone di condizione povera e umile… è la grande causa universale di corruzione dei nostri sentimenti morali… Nessuna società può essere felice se la grande maggioranza dei suoi membri è povera e miserabile” (Adam Smith). 

Comunque il libero mercato è una creatura immaginaria anche negli Stati Uniti: “A dispetto delle ingenue convinzioni degli americani, il loro governo ha sempre messo le mani nella torta dell’economia”, spesso a favore dei superricchi e degli speculatori finanziari (p. 143). Del resto “se lo Stato non interferisce, possono in tal caso interferire altre organizzazioni semipolitiche come monopoli, trusts, sindacati ecc., riducendo a una finzione la libertà del mercato” (Karl Popper, filosofo politico austriaco naturalizzato britannico, 1902-1994).

Forse “per quanto legittime possano essere le rivendicazioni individuali, per quanto importanti, possano essere i diritti dell’individuo, mettere l’accento su simili aspetti comporta un costo ineludibile, e cioè il declino del senso di uno scopo condiviso” e dello spirito di comunità. La politica è fatta di mediazioni e negoziazioni e la socialdemocrazia dei paesi nordici sembra aver trovato i giusti compromessi tra libertà, uguaglianza, giustizia, redistribuzione e regole di mercato.

Molti paesi occidentali hanno capito che “sarà sempre più economico per le casse pubbliche mettere il povero nelle condizioni di comprare il granturco, piuttosto che abbassare il prezzo del granturco fino a renderlo accessibile al povero” (Condorcet). Anche perché si corre il rischio di far fallire gli agricoltori e di arrivare così alla fame vera e diffusa. In ogni caso nel lungo periodo l’egoismo diventa poco vantaggioso o addirittura dannoso per tutti e quindi anche per gli egoisti.

Però in Occidente lo Stato si è screditato subappaltando molti servizi pubblici a dei profittatori privati: “Come nel Settecento… svuotando lo Stato di responsabilità e competenze abbiamo minato la sua immagine pubblica”. Uno studio sulle privatizzazioni in Gran Bretagna ha stabilito “che la privatizzazione in sé e per sé ha un impatto decisamente modesto sulla crescita economica a lungo termine, mentre al contrario ridistribuisce la ricchezza in senso regressivo dai contribuenti e dai consumatori agli azionisti delle compagnie privatizzate” (M. Florio, The Mit Press, 2006).

Tuttavia Judt sottolinea che “Hayek non può essere considerato responsabile delle semplificazioni ideologiche dei suoi seguaci. Come Keynes, l’economista austriaco considerava l’economia una scienza interpretativa, imprevedibile e imprecisa. Hayek considerava sbagliata la pianificazione perché doveva necessariamente basarsi su calcoli e previsioni fondamentalmente privi di senso e quindi irrazionali”. Solo le socialdemocrazie scandinave hanno usato il buon senso e se la godono.

Bisogna specificare che una cosa è pianificare i prezzi e la produzione e tutt’altra cosa è controllare l’evoluzione delle cose come fanno i banchieri centrali agendo sui tassi di interesse. E un’altra cosa ancora è la regolamentazione che evita la concentrazione di potere e ricchezza in monopoli e oligopoli che attraverso sistemi di condizionamento politico scorretti o illegittimi possono bloccare le nuove aziende, concorrenti dirette o indirette dei vecchi business. Il liberale conservatore Hayek ha quindi sottovalutato gli svantaggi economici e sociali a medio e lungo termine dei monopoli.

D’altra parte gli economisti hanno dimenticato che i modelli matematici servono per capire le cose, ma non sono la realtà. Quindi “la menzogna si nasconde nel riduzionismo matematico: è così potente che finiamo per credere che coincide con la verità” (Cédric Villani, matematico, medaglia Fields 2010). A proposito: l’unico vero economista italiano critico e propositivo è Nino Galloni, che ultimamente è stato “mobbizzato”, ma che potete ascoltare su YouTube e qui: http://wn.com (tra le altre cose Galloni parteciperà al http://blogeconomyday.altervista.org di Castrocaro Terme a metà novembre). Mentre l’economista australiano Paul Woolley ha paragonato l’attuale finanza parassitaria a un cancro e ha fondato il Centro per lo studio della disfunzionalità del mercato finanziario: www.pwc.uts.edu.au (una sua conferenza la trovate su http://ineteconomics.org).

Inoltre, molti politici non conducono una vita normale e sono poco acculturati, e le loro menti burocratiche non capiscono i problemi e il lavoro dei professionisti, dei tecnici e degli scienziati. Quindi “le repubbliche e le democrazie esistono unicamente in virtù dell’impegno dei loro cittadini nella gestione della cosa pubblica. Se i cittadini attivi e impegnati abdicano all’impegno politico, abbandonano la loro società ai suoi funzionari pubblici più mediocri e venali” (p. 119).

E i cittadini di domani sono i ragazzi di oggi, ma “gli scolari e gli studenti universitari dei nostri giorni riescono a immaginare poco altro al di fuori della ricerca di un lavoro lucrativo” e poco utile. Almeno nel mondo anglosassone. Però solo “Una volta che ci sia concesso di disubbidire al test di profittabilità di un contabile, cominceremo a cambiare la nostra civiltà”. (John Maynard Keynes).

In effetti “almeno una cosa dovremmo averla imparata dal Novecento: più una risposta è “perfetta”, più le conseguenze sono terrificanti. Miglioramenti graduali rispetto a circostanze insoddisfacenti sono il massimo che possiamo sperare” (p. 161). Dopotutto la società non è solo un’associazione “tra quelli che sono viventi in un determinato tempo, bensì tra i viventi e i trapassati, ed anche tra questi e i nascituri” (Edmund Burke). E l’egoismo estremo e l’affarismo predatorio prosperano poiché “non ci sono condizioni alle quali l’uomo non possa assuefarsi, specialmente se vede che tutti coloro che lo circondano vivono allo stesso modo” (Lev Tolstoj).

Conclusioni. Condivido pienamente il pensiero centrale dello storico: “C’è solo una cosa peggiore dell’avere troppo Stato, averne troppo poco”. Però Judt sembra dubitare dei vantaggi della difesa di ogni libertà individuale. In ogni caso “Uno studio della storia delle opinioni è un’indispensabile presupposto all’emancipazione della mente” (John Maynard Keynes). Forse leggendo questo libro riusciremo a capire che in Italia siamo riusciti a creare molto Stato cattivo e poco Stato buono. Questo succede quando una burocrazia senza meritocrazia diventa vecchia, parassitaria e ruffiana.

Tony Judt è nato a Londra nel 1948 ed è morto a New York nel 2010. Ha collaborato con la New York Review of Books e ha insegnato a Cambridge, Oxford, Berkeley (si era specializzato in storia europea). Ha fondato e diretto il Remarque Institute della New York University dedicato allo studio dell’Europa. L’influente intellettuale angloamericano ha vinto il premio Arendt nel 2007 e il premio Orwell nel 2009. 

Note personali – L’Onu dovrebbe chiedere contribuiti economici progressivi molto alti in base alle spese militari di ogni Stato aderente. I contributi andrebbero investiti in Formazione & Sviluppo & Cooperazione. E ricordo che il mondo precedente alla Prima Guerra Mondiale era molto simile a quello pacifico, globalizzato e finanziariamente illuso di oggi. Quel periodo è stato descritto in modo magistrale da John Maynard Keynes nel saggio “Le conseguenze economiche della pace”.

La paura di spendere a “Deficit Positivo” (con investimenti nell’occupazione e nella ricerca) è “una superstizione… una religione arcaica per spaventare la gente con dei miti, affinché si comportino in modo accettabile dal sistema civile” (Paul Samuelson, premio Nobel per l’Economia nel 1970). Chiaramente i problemi non esistono se lo Stato emette direttamente moneta sovrana senza dipendere da una banca centrale. E se non si indebita troppo fino a dipendere dal credito di altri Stati. E anche con le spese a deficit che riempiono solo le casse delle grandi imprese e i conti in banca dei funzionari pubblici più vecchi e più ruffiani, l’economia reale continuerà a boccheggiare.

Nel saggio gratuito “Il più grande crimine” di Paolo Barnard ho trovato questa citazione: “L’unica ragione per cui la gente non è furiosa per sta storia (dei mutui subprime e dei derivati) è che in realtà essi non capiscono cos’è successo. Se al posto di finanza si fosse trattato di costruttori di auto che avevano venduto ai cittadini dei trilioni di dollari di auto difettose, ci sarebbero sommosse per le strade oggi” (Matt Taibbi). Ma bisogna considerare che quando i conti in banca inizieranno a diventare difettosi le cose cambieranno.

Le università di oggi sono troppo chiuse in se stesse e sono corresponsabili del decadimento morale e sociale. I rettori e i professori non possono pensare solo alla carriera, al potere, alla fama e alla commercializzazione del sapere, “vendendo” iscrizioni e ricercando sponsorizzazioni. Tutti gli anni, tutte le università, dovrebbero organizzare dei Festival dei Saperi interdisciplinari e delle Settimane della cultura internazionale. L’istituzione scientifica “vive e si rinnova continuamente da se stessa, senza vincolo alcuno né finalità determinata”, però l’università deve mettere la scienza al servizio della “formazione spirituale e morale della nazione” e della comunità internazionale (www.humboldt.it, in La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere di Jean-Francois Lyotard).

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