Ventimila a L’Aquila chiedono futuro e diritti

Giovani e vecchi, destra e sinistra. Donne e uomini, imprenditori, commercianti, dipendenti pubblici, pensionati, disoccupati. La maggioranza erano questi ultimi, forse: a L’Aquila le ore di cassa integrazione sono decuplicate nell’ultimo anno: 8 milioni di ore, dalle 800.000 che erano.
Tanti striscioni, e solo una bandiera, quella nero-verde.
Una manifestazione di popolo, senza colori di parte. Il mio striscione preferito recitava: "Onna è il mio paese, L’Aquila è la mia città".
Un bel messaggio per l’Italia, che si informa in tv, e che ormai Onna la conosce come le sue tasche. Peccato che dei nostri ventimila, forse di più si sia parlato solo su TG3, TG La7 e Sky TG24. E’ il fascismo, bellezza: Onna che protesta è un calcio in culo a tutte le propagande di 14 mesi trascorsi. Non può sapersi, che è successo.
Non c’è classe sociale, economica o lavorativa che non fosse rappresentata.
C’era anche il prete della TV, quel commissario vescovile che c’è sempre senza esserci. L’ho visto in Piazza Duomo, circondato da suoi omologhi e sottoposti, ai margini del percorso del nostro corteo cittadino. A raccogliere sguardi, e a farsi guardare. C’era, senza partecipare al fiume umano. Era lì, come a contare le pecorelle.
C’erano tutti i comuni del cratere. Il corteo, aperto da tutti i gonfaloni, e dai sindaci che quei comuni rappresentano: pure lì, destra e sinistra, senza eccezioni; il nostro sindaco, fascia in mano, è nel momento di maggiore lontananza dal ruolo di Vice-Commissario cui (ad onor del vero) nello scorso anno ha aderito, perfettamente.
Ognuno aveva il suo motivo per partecipare; per nessuno le scelte del Governo sull’economia del cratere sono vincenti; sono, anzi, il secondo terremoto, e il più distruttivo. Quello economico. Temiamo tutti il suo sciame, perché fa la differenza tra restare o partire.
Tutti siamo consapevoli della scelta che abbiamo davanti, nostro malgrado: ci faccia sapere il Governo che progetti ha per la nostra città: siamo ancora in tempo a scegliere di fare le valige e metterci dentro le cartoline: di ciò che era, e non è più.
Per ora non abbiamo mollato ancora l’osso. Per ventimila buone ragioni.