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Venezuela: la sconfitta divide i chavisti

La reazione di Maduro alla sconfitta elettorale è stata inadeguata. Peggio ancora: ha fantasticato di un inverosimile rilancio del chavismo a livello istituzionale, ipotizzando un dualismo di poteri artificioso che all’Assemblea regolarmente eletta con una schiacciante maggioranza avrebbe voluto contrapporre un’assemblea delle comuni, scarsamente credibile perché fino alle elezioni di dicembre l’esperienza delle comuni era rimasta marginale e sporadica, priva di una reale dimensione nazionale.

L’ipotesi di contrapporre l’assemblea delle comuni al parlamento rivelava subito tutta la sua fragilità: se fossero state vitali e realmente presenti sul territorio nazionale, la sconfitta non sarebbe stata così pesante, e le liste chaviste non avrebbero perso due milioni abbondanti di voti. Ma mentre Maduro fantasticava su questa controffensiva chiaramente impossibile su questo terreno, a così breve scadenza e con una direzione così screditata, e tentava di far passare qualche legge prima che si insediasse la nuova maggioranza, altri dirigenti, prevalentemente militari, si preoccupavano di creare un’impresa privata collegata al ministero della Difesa, allo scopo di prendere sotto il loro diretto controllo i punti chiave dell’industria petrolifera e mineraria sottraendoli al controllo del parlamento.

Una misura condita dalla retorica della difesa della rivoluzione bolivariana, ma con l’occhio al modello della trasformazione dei burocrati in manager al momento del tracollo dell’URSS. Forse pensavano anche alla famosa piňata con cui nel 1990 molti sandinisti reagirono alla sconfitta elettorale impossessandosi di molti beni pubblici e preparando la trasformazione ulteriore del movimento. In ogni caso preparandosi a un’intesa di cogestione con i nuovi vincitori…

Le premesse, sottolinea un amarissimo commento dell’ex ministro della pianificazione Rolan Denis, era nella prassi della corruzione diffusissima, di cui erano responsabili proprio i militari collocati alla testa della maggior parte delle istituzioni, e che forzando un decreto di un governo delegittimato si sono presi il diritto di gestire privatamente la principale ricchezza del paese. Ne parla indignato in http://www.aporrea.org/actualidad/a...

Ma mentre si moltiplicano le polemiche e i sospetti, nella sinistra interna e (forzatamente) esterna al PSUV aumenta la richiesta di dimissioni almeno di Nicolás Maduro e delle altre due anime nere della destra interna, l’ex presidente dell’assemblea Diosdado Cabello y Cilia Flores, già procuratrice della repubblica e moglie di Maduro.

E qualcuno propone le dimissioni dell’intero governo, e magari un processo a tutti i suoi membri per incapacità. Il dibattito investe tutto il Polo Patriottico che raccoglie 11 partiti bolivariani, anche se pochi esplicitano le critiche al governo e al presidente, e dilaga con vari interventi sulla pagina chavista Aporrea. Appare diviso non solo il PSUV ma anche Marea Socialista, di cui alcuni esponenti come Nicmer Evans chiedono le dimissioni immediate di Maduro, e discutono su chi potrebbe risollevare le sorti del chavismo (indicando il governatore di Aragua, Tareck el Aissami, o il vicepresidente Aristóbulo Istúriz, o il ministro degli Esteri Miguel Rodríguez Torres), mentre altri si preoccupano che un cambio di presidente in condizioni di estrema debolezza e disorientamento del movimento possa generare una crisi istituzionale e una drammatica ingovernabilità. Sia Patria para todos sia il PCV parlano di mantenere Maduro ma ponendogli precise condizioni, tra cui maggiore spazio per gli altri partiti del Polo e una lotta decisa alla corruzione. Ma altri ricordano di aver raccomandato le stesse cose da molti anni, senza essere ascoltati. È difficile prevedere una soluzione a breve, anche perché si manifesta una pressione forte in direzione di un patto con l’ex opposizione che oggi ha una maggioranza schiacciante nell’Assemblea (nonostante qualche tentativo della vecchia commissione elettorale chavista di annullare qualche mandato per impedire la possibilità di modifiche costituzionali). Si parla intanto di un possibile governo capeggiato dall’ex vicepresidente José Vicente Rangel, mentre il noto analista tedesco (ma ispiratore della sinistra latinoamericana e per diversi anni mentore di Chavez) Heinz Dieterich ha dichiarato apertamente che i militari stanno “tra la spada e il muro”, e che potrebbero essere costretti o comunque tentati di imporre un loro governo per sfuggire alla situazione di progressivo deterioramento del paese, che potrebbe essere salvato solo dall’ipotetica apparizione di un Deng Tsiao Ping tropicale (http://www.aporrea.org/actualidad/a...) Una bella prospettiva! E comunque, intanto, un bel ricatto alle forze politiche che rifiutano l’accordo di unità nazionale con la destra!

 

Foto: David Hernandez/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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