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Vado o resto?

Vado o resto? Può sembrare l’amplificazione del diktat del duo Saviano-Fazio, ma è il terribile tormentone che da qualche anno a questa parte agita le coscienze di moltissime persone. Giovani e meno giovani che si trovano a dover affrontare migliaia di difficoltà, ed in alcuni casi, riciclarsi nel momento in cui si ha famiglia ma non si ha lavoro.

In Italia, il vado o resto, è più diffuso di quanto possa sembrare a coloro che godono di ogni privilegio. E’ mostruosamente difficile pensare di partire all’avventura in qualche capitale estera in cerca di un lavoro, così come ripiegare su corsi di formazione o lavoruncoli precari non in linea col proprio titolo di studio. Studiare oggi è un lusso, in quanto la crisi economica sta depauperando pesantemente le tasche delle famiglie, le quali molto spesso sono costrette, con amarezza infinita, a porre un veto ai propri figli, nel momento cui si opta per la scelta universitaria. Chi però ha avuto la fortuna di portare a casa una laurea e magari va poi a fare il cameriere perché non ha trovato di meglio, vive una condizione a dir poco avvilente.

Si può ben capire il vincitore di borsa di studio il quale decide di andare a specializzarsi fuori. Ma non si può capire come mai, il sistema nostrum, permette senza battere ciglio, una fuga pazzesca all’estero. Smettiamola di addossare la colpa della disoccupazione o dell’inocuppazione interna alla crisi, poiché quella la vivono tutti i Paesi. Guardiamo in faccia la realtà, la quale ci mostra un sistema chiuso, fatto di corporazioni e merito zero. Dall’avvocato al giornalista, mai si può essere tali se non ci si lascia sfruttare durante il periodo tirocinante per poi affrontare l’esame di stato, per poi essere disoccupato in quanto nel tempo non si è stati capaci di mettere una barriera all’ingresso idonea a regolare il mercato su una logica meritevole e concorrenziale. Per non parlare poi dei concorsi, ove la trasparenza viene interpretata nel suo esatto contrario.

La Pubblica Amm.ne, per anni è stato il serbatoio del potere politico, il quale anziché scegliere il meglio, ha sempre scelto sulla base di meri interessi, affidando consulenze, mansioni e competenze professionali a chi mostra fedeltà in ogni forma. Nonostante si parli di crisi e di tagli, la luce continua a brillare sempre per gli stessi soggetti, i quali escono dalla porta ed entrano dalla finestra, nonostante responsabilità di gestione abnormi e spesso penalmente rilevanti. Incarichi plurimi a persone ormai pensionate che non vogliono per tutto l’oro del mondo abbandonare la seggiola. Ed ecco che spuntano fuori mille domande. Allora un giovane cosa dovrebbe fare? Perché quest’ultimo è costretto a scappar via mentre il pensionato, che fisiologicamente parlando, dovrebbe scappare via, resta incollato alla poltrona? Perché dobbiamo essere il Paese in cui il pensionato arricchisce la propria pensione con consulenze auree, mentre il giovane meritevole è costretto ad arrabattarsi in favoruncoli precari che non gli permettono di poter dare una svolta alla propria vita? Ci sarebbero migliaia di perché, ma da qualche parte le risposte devono necessariamente saltare fuori, altrimenti si rischia davvero il collasso.

L’Italia festeggia nell’anno appena iniziato i 150 anni della sua Unità, ma temo vivamente che coloro che si sono spesi, versando il proprio sangue sul campo di battaglia, se potessero tornare indietro, vista la condizione, mai avrebbero dato la vita per uno schifo simile. Non è giusto chiudere sempre con la solita reprimenda, però è ora davvero di scuotere le coscienze e vedere il da farsi per dare ancora lustro ad una democrazia che non merita la morte.

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