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Lavoro: non regge il paragone tra l’Italia e l’estero

Tra le tante cose che non vanno nel nostro Paese, sicuramente va inserito anche il mercato del lavoro, caratterizzato da una legislazione ridotta a un calderone, anche in virtù degli ultimi aggiornamenti normativi. Un mercato del lavoro in cui l’essenza e la dignità del lavoratore sfumano nel vuoto, perdendo ogni tipo di razionalità. 

Il mercato del lavoro italiano, specie per chi vi si affaccia la prima volta, altro non è che una giungla in cui gli aspetti di una democrazia nobile e matura sono infangati dal più terribile dei problemi: la precarietà.

Mettiamo in chiaro subito una cosa: mobilità non è precarietà. Quando si è pensato di rinnovare il mondo del lavoro con la famosa legge Biagi, il concetto di mobilità è stato sventolato ai quattro venti per oscurare invece i riflessi più oscuri che essa avrebbe addotto, tra cui,appunto, la precarietà.

L’economia globalizzata, il flusso di scambi intercontinentali, inevitabilmente danno al sistema economico-occupazionale maggiore impulso e maggiori prospettive anche di natura occupazionale. Diventa quindi logico investire sul concetto di mobilità, la quale però trova terreno fertile nei mercati in cui sussiste una forte interazione tra diverse opportunità, per cui se una persona perde il lavoro ne troverà subito o quasi subito un altro.

Si capisce come il concetto di mobilità sia necessariamente legato ad un tipo di economia liberale, in cui l’equilibrio tra domanda e offerta lo decide il mercato, mentre lo Stato fissa soltanto dei paletti per evitare disordini e sperequazioni nell’uno o nell’altro senso. In Italia questo discorso è ormai andato perduto, la mobilità è una chimera e la precarietà rappresenta l’inferno.

Le nuove tipologie contrattuali emerse negli ultimi anni (co.co.co, contratto a progetto, ecc), sono l’emblema di come si sia voluto del tutto destabilizzare il mercato del lavoro, spostando l’intero potere di scelta e sfruttamento nelle mani del datore di lavoro. Si tratta di contratti che ipoteticamente possono anche essere accettati nel momento in cui hanno in sé una durata transitoria, capace poi di aprirsi all’acquisizione a tempo indeterminato del posto di lavoro.

Dicasi lo stesso per lo stage, il quale eticamente e giuridicamente parlando, dovrebbe fungere da periodo di prova, da trampolino di lancio per entrare poi a pieno titolo nel mercato del lavoro, e non essere fonte di assoluta disperazione. Un’azienda sana e lungimirante, se decide di investire su una persona, non può, dopo due-tre mesi, mandarla a casa perché il tempo è scaduto e ripartire da capo con un altro soggetto. Ciò significa che l’azienda non ha bisogno di nessuno nel suo organico, se non di gente a cui affidare mansioni spesso deplorevoli, lucrandoci sopra grazie a benefici fiscali garantiti dallo Stato.

Lo stage ha altre finalità, e non può essere considerato alla stregua di un’elemosina compensata con buoni pasto, senza una benché minima retribuzione. Come si fa oggi, con la crisi che sta depauperando le casse delle famiglie italiane, a chiedere ad un genitore di mantenerti a Roma o Milano durante la fase dello stage, dove altro non farai che seguire delle mansioni spicciole per qualche mese, per poi tornare a casa senza magari aver imparato nulla, e senza che quell’esperienza possa poi essere considerata positivamente per opportunità future?

È una follia, così come folle ritengo essere il classico job meeting o fiera del lavoro, ove s’incontrano domande ed offerta di lavoro per cercare di capire come funziona il processo di recruiting presso le aziende a cui si è maggiormente interessati. Ho partecipato a due di questi incontri, e se proprio devo essere buono nell’usare un aggettivo garbato, è stata un’esperienza a dir poco terrificante.

La prima impressione, entrando nei padiglioni della struttura ospitante l’evento, è stata quella di essere nell’inferno di Dante, ove la dignità, il sapere, la voglia di mettersi alla prova di tanti giovani come me, vengono spudoratamente lambiti dalle fiamme. Nei vari punti d'incontro ti accolgono hostess carinissime, le quali oltre ad inondarti di gadget pubblicitari t’invitano a lasciare il curriculum o magari farlo da casa attraverso il web. C’è bisogno di partecipare ad un job meeting per sapere che i curricula si possono inviare anche da casa? Di rappresentanti aziendali, capaci di spiegare un po’ come funziona la selezione quasi nessuna traccia, o al massimo qualcuno, messo lì dal “santo di turno”, che si appresta a ripetere la mole di notizie che sono consultabili online e che spesso danno un’idea totalmente contraria a ciò che poi avviene nella pratica.

È facile intuire come dopo tante disavventure, una domanda nasca spontanea: ma se questa è la situazione italiana, come se ne viene fuori? La verità è che da questo pantano non si esce. La precarietà fa molto comodo ai poteri forti, a quella sparuta minoranza che ama tenere in piedi logiche monopolistiche in modo da poter controllare tutto e tutti. La forza nepotistica e il gioco delle clientele si accrescono in un sistema precario, perché soltanto pochi devono essere gli eletti, mentre tutti gli altri devono perire nel girone dei dannati.

Non c’è persona che rivesta un ruolo importante nel nostro Paese senza essere sostenuta da un giro di amicizie e contatti influenti, è impossibile. È difficile entrare nella redazione di un giornale, fare l’avvocato ad un certo livello, partecipare ad oneste e trasparenti gare di appalto se qualcuno non ti apre la porta. Scrivere questo articolo, per me non è stato facile. La mia casella di posta elettronica altro non è che un "necrologio", ove a ogni domanda di lavoro ho ricevuto silenzio oppure risposte negative, senza mai nessuna motivazione.

Mi definisco un giornalista-scrittore freelance, scrivo pezzi soltanto per il piacere dei miei lettori che sono affezionati al blog, ahimé. Tutte le volte che ho fatto domanda di internship presso diverse aziende operanti nel settore, non ho mai ricevuto risposta.

Allora è inevitabile porsi un’altra domanda: che fare per non perire? Goodbye Italia è l’unica risposta che in questo momento mi soggiunge, considerando che nessun cambiamento è prospettabile da qui a breve, se non nelle parole di politici altamente incapaci, i quali hanno distrutto senza pudore un gran bel Paese, mentre altrove, la dignità dell’essere umano ha ancora un certo peso e l’impronta culturale è il vero confine tra ricchezza e povertà. Il paragone tra noi e gli altri, purtroppo non regge

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