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V per Valle: se il vento soffia anche a teatro


Quello che ci si trova davanti qui, quasi allo scoccare dei trenta giorni di occupazione, è più un Valle “liberato” che “occupato”. Una cosa è certa: non si è mai visto un teatro così pieno a luglio. Ma dal Valle, oltre a spettacoli, concerti, interventi illustri, assemblee e gag improvvisate, arriva ora un progetto di cambiamento che si propone di rivoluzionare il modo di fare drammaturgia in Italia. Il Teatro come laboratorio aperto, che coniughi storia e innovazione, uno spazio di discussione e confronto, alla maniera della Royal Court di Londra o della Schaubuhne di Berlino, un centro per la drammaturgia italiana e contemporanea.
 
Quasi un mese fa, al grido di “occupiamo il Valle per occuparci di ciò che è nostro”, decine di registi, autori, attori (soprattutto attrici), musicisti e lavoratori del mondo dello spettacolo hanno “colonizzato” uno spazio che le istituzioni, nazionali e poi locali, volevano rendere deserto. La proprietà pubblica di uno dei teatri più antichi e illustri d’Italia è passata recentemente dal demanio statale a quello comunale, che si propone di appaltarlo a privati. Il rischio è che il palcoscenico perfetto del Valle (quello che, per intenderci, ha visto la prima rappresentazione di Sei personaggi in cerca di autore di Pirandello) perda la sua natura storica. 
 
L’occupazione non-occupazione del teatro, come rivendicano i suoi “liberatori”, è figlia dello stesso vento che, già da qualche mese, tira sempre più forte in questo paese, partendo dalle elezioni amministrative per arrivare ai risultati storici dei referendum, con la riappropriazione dei beni pubblici di acqua e aria. Ed è proprio di questo che ci parlano i “ragazzi del Valle”, dell’Arte, della Cultura come bene pubblico di cui i cittadini hanno bisogno di riappropriarsi. “Col vento non si ragiona”, si sente dire qui in giro. Ma i liberatori del Valle invece ragionano, eccome. Il loro è un progetto politico rigoroso che prevede risultati a breve e - soprattutto - a lungo termine. Lo scorso martedì la loro “assemblea stampa” ha coinvolto, esaltato ed emozionato una platea mista, fatta di critici teatrali importanti, attori di fama internazionale, lavoratori della cultura e dello spettacolo, abitanti del quartiere, gente comune etc.
 
Chiamarla conferenza stampa sarebbe riduttivo ed improprio. Non se ne vedono spesso di conferenze stampa che cominciano con un cantante lirico che, in mezzo al brusio dei presenti in attesa, attacca dal nulla intonando un’aria di Vivaldi. “V di Vivaldi e V di Valle”, dice alla fine, con gli occhi lucidi e le dita in segno di vittoria. Brividi su ogni poltrona. Lo spazio del teatro, già pregno di un fortissimo valore simbolico, si carica ancora di più. E che si tratti di un luogo di condivisione lo spiegano subito i “ragazzi” seduti in una lunga fila davanti al palco. Da quasi un mese si sono dati da fare per donare al Valle la sua stagione migliore, e non soltanto, come vorrebbe qualcuno, solo la prossima programmazione. 
 
La volontà è di fare del Valle un punto d’incontro e di connessione per ogni tipo di conflittualità sociale ora in atto, con uno sguardo particolare, ovviamente, a tutte le categorie della cultura e dello spettacolo colpite a morte dai tagli della manovra finanziaria. Dal sipario aperto del Teatro Valle si spalanca quindi un florilegio di proposte, limpide nella loro semplicità, concepite orizzontalmente e in piena partecipazione dalla moltitudine degli occupanti. L’obiettivo più prossimo è proprio quello di salvare il teatro, magari gestendo una fondazione al 51% della proprietà che garantisca la qualità dei contenuti artistici (contenuti che ci sono, e che in queste settimane si stanno facendo rumorosamente notare), con una forma giuridica ibrida, non burocraticizzata e che non neghi la modalità partecipata che si sta sperimentando in queste settimane.
 
Ma la gestione del teatro non è che l’inizio. Come ci spiega Ilenia: “stiamo rendendo questo teatro un luogo dove si costruiscono degli anelli, dove si attua una condivisione totale rispetto a forme di cittadinanze attive e dirette”. Obiettivo a lungo termine è infatti la riqualificazione, più che la regolarizzazione, di tutte le categorie dei lavoratori dello spettacolo e della cultura.

 
“Le forme - continua Ilenia - sono quelle dell’autorganizzazione perché da parte nostra c’è un principio di auto-ridefinizione, di presa in titolo diretta di responsabilità etiche-civili, ma anche di delegittimazione delle forme di rappresentanza che sono saltate. Forme che sono innanzitutto quelle istituzionali, perché le politiche culturali hanno dei responsabili, hanno dei nomi e cognomi che conosciamo, e quindi è difficile averli come interlocutori. Però c’è una mancanza di criteri di rappresentanza anche da parte delle associazioni di categoria, che spesso non hanno funzionato ché come gruppi di potere e di pressione; e c’è stata anche una mancanza da parte dei sindacati i quali, per vari motivi, si sono trovati in grosse condizioni di debolezza”.
 
Ilenia e Manuela, due tra le “liberatrici” più combattive, ribattono con decisione alle dichiarazioni (se non alle minacce, poiché oltre che di sgombero c’è chi ha parlato persino di “incendio”) rivolte agli occupanti dicendo che non hanno paura di un’eventuale prova di forza. Gli è stato proposto un interregno di un anno, ma a loro non interessa.
 
“Quest’incontro, dicono, è atto a testimoniare una condizione di lotta ancora aperta”. E a chi gli chiede quando e se si siederanno ad un tavolo per trattare rispondono che non hanno intenzione di traslare il tutto verso una vertenza, che sarebbe solo “un’ingerenza e un tentativo di cooptazione da parte dei politici”. Sono decise e rigorose (oltre che visibilmente incazzate), non intendono farsi mettere i piedi in testa da nessuno. “È ovvio – dicono - che le interlocuzioni sono aperte, ma non possono essere unilaterali, non possono arrivare dalla politica alla base, qua c’è un movimento che si sta espandendo e loro devono ascoltare”.
 
Uno dei progetti più sentiti è senz’altro quello di far detonare la logica infelice della trafila “biglietto spettacolo-arrivederci”, per rendere piuttosto il teatro uno spazio da vivere, un luogo d’incontro, di formazione, di scrittura. “Un teatro non può essere un luogo di ‘consumo’, non può avere solo una finalità di profitto”, dice Fausto, “il prezzo del biglietto dev’essere accessibile, politico”. Ma perché ciò sia possibile, gli fanno eco i suoi amici occupanti, bisogna che paghino tutti: uomini politici, attori e registi famosi e celebrità etc etc.
 
“Un autore di teatro non può vivere con il computer, ma deve vivere nel teatro” dice Fausto Paravidino, uno dei più acclamati attori italiani, che è anche regista e drammaturgo. L’obiettivo certo è ambizioso: fare del Valle un centro di formazione per tutti gli animali da palcoscenico, dagli autori ai tecnici, in un luogo che è un patrimonio culturale internazionalmente riconosciuto, con trecento anni di storia alle sue spalle. E allo stesso tempo continuare l’esperienza di questi giorni, espandere il modello virtuoso di un sano rapporto con il pubblico. Insomma, creare un luogo aperto dove si possano condividere beni comuni.
 
Ieri, dopo un affollatissimo concerto a sorpresa di Jovanotti, gli occupanti hanno manifestato ufficialmente la loro solidarietà al movimento No Tav in Val di Susa. Come a voler dire che non importa se si è lontani, se da un lato ci si sta occupando del proprio mestiere e dall’altro della propria terra: finché si lotta uniti il vento non può che continuare ad alzarsi.

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