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Una grande lezione di criminologia: alla ricerca della moralità perduta

"Cosmologie violente. Percorsi di vite criminali" è un ottimo libro che può aiutare tutti noi a capire meglio le basi psicologiche della moralità (www.raffaellocortina.it, 2009).

Una grande lezione di criminologia: alla ricerca della moralità perduta

L’opera è molto ampia e approfondita e quindi molto adatta a studenti e operatori del settore. Gli autori sono Adolfo Ceretti e Lorenzo Natali, due criminologi dell’Università di Milano-Bicocca, che hanno deciso di esaminare alcune moderne teorie criminologiche e di valutare a fondo la carriera di alcuni dei peggiori criminali. Tutte le persone intervistate erano state “condannate definitivamente a pene molto severe per delitti gravissimi (omicidio e violenza sessuale), dei quali, già nel corso del processo, si erano dichiarate responsabili” (p. 12).

I due autori analizzano il pensiero di due criminologi americani poco conosciuti in Italia, dove si continua a preferire la logica perdonista, burocratica, semplicista, acritica, che ancora oggi intende perdonare molti criminali recidivi, evidentemente non pentiti. Il primo è Lonnie Athens, un criminologo nato in mezzo alla violenza e un interazionista simbolico che considera i rapporti umani come un sistema di relazioni di dare e avere tra soggetti interdipendenti che usano dei modelli interpretativi individuali, più o meno condivisi. Il criminale aderisce a una sottocultura e a una comunità alternativa attraverso una forma di socializzazione violenta, costellata da episodi di brutalizzazione e “violentizzazione”. Il secondo è Jonathan Haidt, che ha sviluppato il modello sociointuizionista (SIM). Questo paradigma eclettico “tiene conto dei dati provenienti dalle ricerche empiriche (quelle svolte da neuro scienziati), nonché dalle riflessioni storico-filosofiche, psicologiche, sociopolitiche e artistico-letterarie sulla natura della moralità umana” (p. 55).

In sostanza se si segue l’evoluzione storica del famoso “processo di civilizzazione” descritto da Norbert Elias (1939), si può capire meglio questa definizione di Francesco Viganò: oggi “Il passaggio alle “vie di fatto”, il mettere le mani addosso” marca la soglia oltre la quale i conflitti intersoggettivi perdono immediatamente ogni connotato di “adeguatezza” sociale e vengono per ciò stesso stigmatizzati come brutali, primitivi e violenti” (2002).

Comunque riporto qui di seguito tutte le possibili definizioni di condotta violenta del diritto penale (Viganò, 2002):

1) Chi cagiona la morte o un danno all’integrità fisica di una persona, o esercita attivamente una forza fisica, direttamente o attraverso mezzi meccanici, sul corpo di una persona;

2) Chi espone una persona a un pericolo imminente di morte o di danno all’integrità fisica;

3) Chi pone una persona in stato di incapacità, anche parziale di intendere e di volere;

4) Chi impedisce a una persona di allontanarsi dal luogo in cui attualmente si trova;

5) Chi danneggia, trasforma ovvero muta la destinazione naturale di una cosa;

6) Chi altera, modifica o cancella in tutto o in parte un programma informatico, ovvero impedisce o turba il funzionamento di un sistema informatico o telematico.

Invece per quanto riguarda le caratteristiche principali della personalità criminale, si possono riassumere in quattro: egocentrismo (ignorare i giudizi altrui), labilità (l’indifferenza cognitiva alle conseguenze delle azioni delittuose e la menzogna sistematica), l’aggressività (reattiva e strumentale) e l’indifferenza emotiva (Jean Pinatel, 1970). Ma Athens ha trovato che gli individui violenti interpretano le situazioni critiche o minacciose come potremmo fare noi, con paura, rabbia e odio, anche se alla fine i criminali reagiscono con la violenza (a volte con premeditazione e a volte in modo incontrollato). Del resto “non tutte le persone che si sottomettono al dominio ritengono che tale adattamento sia giustificato. Alcuni ritengono l’esercizio del potere ingiusto e vi si conformano solo perché non scorgono alternative. Per costoro, il dominante diventa un oggetto frustrante, e il sentimento che segue è comunemente chiamato risentimento” (Shibutani, 1961).

In sintesi: “La moralità è innata (in quanto dipende da un numero ristretto di moduli) e, insieme, socialmente costruita (come un complesso di virtù indipendenti). È cognitiva ma tiene conto della sfera emotiva” (Adolfo Ceretti, p. 66). E il cervello umano “ogniqualvolta vi sono interessi da difendere prova a convincere il mondo della loro meritevolezza morale e della loro forza logica. Così come un avvocato, il cervello preferisce la ricerca della vittoria, non della verità” (p. 59).

Anche i mass media sono degli universi sociali “che includono o escludono, uniscono o dividono le persone… e l’emergere di un sistema di informazioni unico su scala globale, sempre accessibile a tutti, ha avuto profonde ricadute sui diversi gruppi sociali che fino alla sua comparsa erano stati fondamentalmente influenzati – in ogni angolo della terra – dalle loro culture di appartenenza a una classe, a un gruppo etnico e a un’area territoriale” (p. 369).

Inoltre bisogna aggiungere che in alcuni casi i peggiori criminali sono i peggiori politici: quelli che manipolano le menti e le opinioni attraverso la “violenza simbolica” pervasiva (Pierre Bourdieu). E grazie anche alle menzogne costringono i dominati a collaborare docilmente o attivamente alla loro dominazione e ai loro soprusi, portando quasi tutti a trasgredire le più basilari regole del vivere civile.

Nota finale: se vogliamo valutare il grado di civiltà del nostro paese, possiamo utilizzare il metodo Dostoevskij: “Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni” (Memorie dalla casa dei morti).

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