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Un Carnevale resistente.

Reportage scritto e fotografico del corteo di Carnevale organizzato dal centro policulturale GRIDAS e giunto ormai alla 27a edizione, un corteo che attraversa quasi tutta Scampia...

carnevale gridas 2009 Partecipare alla sfilata di carri allegorici carnevaleschi organizzata dal gridas (gruppo risveglio dal sonno… della ragione che genera mostri, altro che quartiere dormitorio, un teschio che diventa pagliaccio è il suo simbolo) del mai troppo compianto Felice Pignataro significa entrare, passare, in luoghi proibiti il cui accesso è vietato ai più, luoghi che nell’immaginario comune significano una sola cosa: pericolo. E in effetti, forse, così è, come ci confermano spesso le più tristi cronache, ma tuttavia questo è il ventisettesimo anno che si ripete questo Carnevale e qualcosa, questo, vorrà pur dire.

La sfilata parte dal quartiere Monterosa, proprio dal gridas appunto, il laboratorio policulturale dove tra le tante iniziative vengono costruiti, con cartapesta e materiali riciclati, questi carri che raccontano la nostra realtà più contemporanea (le banche, l’A(h)l’Italia, la scuola e i tagli più o meno esistenziali, il ghetto, l’innominabile).

Il corteo si protrarrà per qualche chilometro, per più di due ore, e ai carri, circondati da festanti bambini con maschera e costume di ordinanza (alcuni trampolieri addirittura), si aggiungeranno via via le biciclette della Massa Critica, i salti della Capoeira Triarte, i fiati della Titubanda, i clown musicanti della Malamurga, semplici curiosi attratti dal festoso fracasso. A piedi, e senza scorta delle istituzioni (la minuscola è d’obbligo), si attraverserà quasi tutta Scampia, periferia delle periferie anche nota come la 167: ovvero la piazza di spaccio più grande del mondo, probabilmente.

Tuttavia questo non significa che qui non vivano persone oneste: infatti eccole qui, le persone oneste, ce le ho davanti, sono quelle che organizzano il tutto e sfilano per le strade a ritmo incalzante di trombe, tamburo e parodia cantante, proprio lì dove fino a qualche ora prima si stava spacciando. Come tutti sanno a Carnevale ogni scherzo vale, ed ecco che oggi tutto è permesso: i criminali si fermano attoniti e stupiti di fronte a tale felicità vociante e colorata, e quasi ci si commuove a vedere tanti colori in mezzo a tale degrado: sì, è proprio vero, una risata li seppellirà.

I bambini ovviamente sono quelli più contenti (soprattutto quelli rom, mentre quelli italiani vengono tenuti più a bada da protettivi genitori), tutti ridono, ballano, lanciano coriandoli (non fa capolino nemmeno un uovo), si affollano davanti all’obiettivo della mia macchina fotografica. Truccati semplicemente di colori, barba e baffi finti, una maschera di cartone, si fanno avanti, spavaldi, e chiedono una, cento, mille foto: me la porti poi, per favore?

Anche altri ragazzini di Scampia, non mascherati ma con indosso la divisa impostagli dalla vita e una pistola giocattolo stretta in pugno, vogliono una foto, si mettono in posa e sorridono, sono bambini anche loro d’altronde.

Intanto quelli che si credono grandi in occhiali scuri, tuta e scarpe da ginnastica, osservano increduli e forse anche un po’ infastiditi, tutto questo burdell’ disturba il loro lavoro.

Poi all’improvviso la banda tutta si ferma in uno spazio angusto, un posto le cui vie di accesso sono chiuse da cancelletti abusivi, è che non tutti sono ammessi qui, alcune persone sono indesiderate. Ma la banda passa e suona lo stesso, e la gente si affaccia dai balconi a guardare in giù: basta poco per colorare il grigiore delle loro vite.

Il corteo, sempre più numeroso, si avvia ormai all’ultima tappa dove si procederà a bruciare, in barba alla sfortuna, quei carri con tanta passione costruiti: una fiammata, e tutto scomparirà.

La strada che porta al Campo Nomadi (ma sono veramente nomadi, queste persone?) è una strada cieca mai completata che muore lì dove dovrebbe continuare, una strada riconoscibile dai tombini scoperti, vuoti, basta un attimo di distrazione per caderci dentro. Su questa strada c’è la carcassa di un piccolo cane che stranamente non puzza, un auto data alle fiamme chissà quanto tempo fa, e svariati pupazzi di peluche che si ammassano, a significare chissà cosa, chissà che, per terra, tra detriti e rifiuti. A completare la cartolina, sullo sfondo, il famigerato asse mediano.

I bambini rom, quegli stessi bambini pronti a giocare in un campo da calcio senza pallone e a chiedere se quella è la mia fidanzata e se possono sposarla subito, sembrano non accorgersi di niente, ancora più eccitati dall’imminente rogo dei carri.

I fuochi d’artificio bruciano in un attimo quello che è stato costruito in settimane, i colori scompaiono, e naturalmente l’ultima a morire è l’effige del potente di turno, preso infine a calci, come si conviene in tutte le dittature del mondo. (più scarpe per tutti!)

Adesso fuori dal campo è comparsa pure qualche ragazzina nomade che, come tutte le ragazzine del mondo, si sente lusingata e arrossisce, quando le chiedi una foto; viene da domandarsi anche chissà i padri di questi bambini, ragazzi, dove sono, non si vede nemmeno un adulto in giro, giusto qualche mamma che è lì lì per partorire ancora una volta. Intanto questi bambini hanno cominciato a prendere a calci anche quei carri non destinati alla distruzione, alla fine sono solo bambini, per loro tutto è, o dovrebbe essere, almeno, gioco.

Nel frattempo il corteo intanto si sta sciogliendo, sopravvive solo qualche capannello, si comincia a tornare a casa, le lasagne aspettano. Altri però rimangono al campo, come sempre. La loro casa è quella, anche se a pensarci, a vederla, una baracca di legno e lamiera piazzata in mezzo a un nulla recintato da reti arrugginite, sembra incredibile.

Nell’aria si sente l’odore del fuoco, le vampate di calore mi bruciano il viso, il fumo invade i polmoni. Ecco, il sole è andato via, il cielo si è fatto nero, si è alzato un vento freddo, tutto lascia presagire che tra poco pioverà.


(qualche foto qui)

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