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Ugo Mulas. L’operazione fotografica all’isola di San Giorgio a Venezia

Sta per chiudersi (domenica 6 agosto) l’ampia retrospettiva, a 50 anni dalla scomparsa dell’artista, che ha inaugurato il nuovo spazio Le stanze della fotografia

Acquistata dall’Istituto Berggruen la neogotica “Casa dei Tre Oci”, la Fondazione Venezia sposta il suo raggio d’azione dalla Giudecca a San Giorgio Maggiore, assieme a Marsilio Arte e con la collaborazione della Fondazione Giorgio Cini.

Non c’è il minimo dubbio che le mostre fotografiche continueranno a proporre materiale di sicuro interesse, visto che il direttore artistico, continua ad essere Denis Curti, che ha curato la mostra assieme ad Alberto Salvadori, direttore dell’archivio Mulas.

Nelle Sale del Convitto, che ospitano le “Stanze della fotografia”, il nuovo spazio espositivo e di ricerca, e che constano di circa 1850 metri quadrati disposti su due livelli, si possono ammirare 296 opere, tra cui 30 immagini mai esposte prima d’ora, documenti, libri, pubblicazioni, filmati, che offrono una sintesi in grado di riflettere sull’opera di Ugo Mulas (Pozzolengo, Brescia, 28 agosto 1928 – Milano, 2 marzo 1973) fotografo trasversale a tutti i generi precostituiti, e capace di approfondire tematiche diverse, cercando sempre la profondità della quantità umana.

Tra le figure più importanti della fotografia internazionale del secondo dopoguerra, Mulas comprende presto, da autodidatta, che essere fotografo vuol dire fornire una testimonianza critica della società, ed è proprio questa consapevolezza che guida i suoi primi reportage tra il 1953 e il 1954: le periferie milanesi e l'ambiente artistico e culturale dei primi anni cinquanta del celebre Bar Jamaica. Mulas si impone rapidamente nei più diversi ambiti della fotografia, dalla moda alla pubblicità, pubblicando su numerose riviste come "Settimo Giorno", "Rivista Pirelli", "Domus", "Vogue". In questi anni il fotografo sviluppa un’importante collaborazione artistica con Giorgio Strehler, grazie al quale pubblicherà le fotocronache “L’opera da tre soldi” (1961) e “Schweyck nella seconda guerra mondiale” (1962).

L'attenzione al mondo dell'arte e alla produzione artistica diventa uno dei principali interessi di Mulas, che fotografa le edizioni della Biennale di Venezia dal 1954 al 1972.

Nel 1962 documenta la mostra Sculture nella città a Spoleto, dove si lega soprattutto agli scultori americani David Smith e Alexander Calder. Di questo periodo è anche la serie dedicata alla raccolta Ossi di Seppia di Eugenio Montale (1962-1965).

L’estate del 1964 è significativa per Mulas. Alla Biennale di Venezia viene presentata la Pop Art americana al pubblico europeo; il fotografo ottiene la collaborazione del critico Alan Solomon e l’appoggio del mercante d’arte Leo Castelli, che lo introducono nel panorama artistico americano durante il suo primo viaggio negli Stati Uniti.
Può, così, documentare importanti pittori al lavoro tra i quali Frank Stella, Lichtenstein, Johns, Rauschenberg e ritrarre importanti presenze come Andy Warhol e John Cage.
La collaborazione con gli americani continuerà poi nel 1965 e successivamente nel 1967, anno nel quale Mulas presenta la sua analisi del lavoro degli artisti pubblicando il celebre volume New York: arte e persone. 

Fondamentale, tra le altre, anche la collaborazione con Marcel Duchamp, che rivela qualcosa di più profondo e generale nella concezione di Mulas dei ritratti d’artista. «Le fotografie di Duchamp – precisa Mulas – vorrebbero essere qualcosa di più di una serie di ritratti più o meno riusciti, sono anzi il tentativo di rendere visivamente l'atteggiamento mentale di Duchamp rispetto alla propria opera, atteggiamento che si concretizzò in anni di silenzio, in un rifiuto del fare che è un modo nuovo di fare, di continuare un discorso»All’analisi formale e concettuale della fotografia sono dedicate le Verifiche (1968-1972), una serie di quattordici opere fotografiche attraverso le quali Mulas s’interroga sulla fotografia stessa.
Il titolo della mostra veneziana, Ugo Mulas. L’operazione fotografica, prende spunto proprio dalla seconda delle Verifiche e condensa la straordinaria riflessione del fotografo.     

Il percorso espositivo si snoda lungo 14 sezioni che ripercorrono tutti i campi d’interesse di Mulas. Dal teatro alla moda, con i ritratti di amici e personaggi della letteratura, del cinema e dell’architettura fotografati come “modelli in posa”, dai paesaggi e dalle città alla sua esperienza con la Biennale di Venezia e con gli artisti della Pop Art.

Una sezione, naturalmente, è dedicata a Milano e al celebre bar Jamaica, che il grande Luciano Bianciardi descrive nel suo libro “La vita agra” come “il bar delle Antille”.
«Il Jamaica – osserva Denis Curti – è il luogo degli incontri, delle amicizie complici, quelle con Mario Dondero, Piero Manzoni, Alfa Castalfi, Pietro Consagra, Carlo Bavagnoli e Antonia Bongiorno, che diventerà sua moglie. A questa sezione segue un capitolo dedicato ai progetti industriali e alle esperienze più interessanti con Olivetti e Pirelli. A chiudere il percorso, le “serie” più significative per lo stesso Mulas, quelle dedicate a Calder, a Duchamp e le fondamentali “verifiche”, che sono certamente da considerarsi come uno dei più interessanti “esperimenti di pensiero critico” sulla fotografia».

Dopo Milano, la città più fotografata è Venezia. Sono esposte alcune immagini del 1961, con vedute dall’alto di Piazza San Marco, calli e passanti, a far parte di un’ampia sezione Luoghi, che comprende scatti di Parigi, della Germania, di Copenhagen, della Sicilia, della Calabria, di Vienna e della Russia. Bianco e nero affascinanti, che parlano da soli.

Per la prima volta, nella sezione ritratti, sono esposte numerose foto di artisti, scrittori, poeti, politici, editori, industriali, giornalisti: Marella e Gianni Agnelli, Dino Buzzati, Maria Callas, Joan Mirò, Giorgio De Chirico, Renato Guttuso, Eduardo De Filippo - con due espressioni diverse, a testimoniare, forse, la bravura dell’attore - , Luigi Einaudi, Oriana Fallaci, Totò, Giorgio Strehler, il Rolling Stones “Keith Richards”, P.P.Pasolini, Carla Fracci, Giangiacomo Feltrinelli, Giorgio Morandi, Salvatore Quasimodo, Emilio Vedova, Dacia Maraini, Alberto Arbasino.

Eleganti e nitide, le fotografie per la messa in scena di Woyzeck di Alban Berg ; quelle realizzate nelle campagne dei castelli inglesi per Giro di Vite di Benjamin Britten, stampate con l’uso della solarizzazione.

Per chi non riuscisse a recarsi alla mostra, è altamente consigliabile il catalogo Marsilio, che si chiude con le foto relative a “Nudi e gioielli”, in cui compare Mulas mentre fotografa, nel 1970, una concentrata Anna Maria Mazzini, in arte Mina.

Le Stanze della fotografia rimarranno, calato il sipario, chiuse per poco tempo. Il 30 agosto si aprirà una nuova mostra, L’orizzonte degli eventi, aperta fino al 7 gennaio 2024.

I conflitti della contemporaneità e gli effetti del cambiamento climatico saranno testimoniati attraverso le immagini di uno tra i più importanti fotografi italiani viventi Paolo Pellegrin, vincitore di undici edizioni del World Press Photo Award e membro dell’agenzia Magnum dal 2005.

Nato a Roma nel 1964, Pellegrin si è distinto fin da subito per l’umanità del suo sguardo, caratteristica che ha reso unici i suoi lavori e che gli ha permesso di andare sempre al di là della superficie.

Gli oltre 300 scattiincluso un reportage inedito sull’Ucraina, dove il fotografo si è recato nei mesi successivi allo scoppio della guerra e più volte in quest’ultimo anno, coprono l’arco di tempo dal 1995 al 2023 e raccontano l’attività sul campo : da Gaza a Beirut, ma anche Roma, il Giappone, l’America, i cambiamenti climatici in Namibia, Islanda e Groenlandia. Le immagini comunicano la fragilità e la forza di un’umanità che manifesta le proprie emozioni più intime in relazione alla grandezza della Natura, nel tentativo di sviscerare uno dei temi cruciali della contemporaneità: il rapporto tra l’uomo e il suo ambiente naturale.

La mostra è curata da Denis Curti e Annalisa D’Angelo e realizzata in collaborazione con Magnum Press.

 

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