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Faber: molto più che un cantautore

Tredici anni fa se ne andava il più grande cantautore italiano, lasciando un senso di vuoto che il tempo non ha lenito.

Un dolore dentro al petto, come quelli che proprio Fabrizio De André aveva sempre cantato, regalandoci ritratti umanissimi di personaggi derelitti, abbandonati ai margini della società, sui quali posava il suo sguardo sensibile e comprensivo, rendendoli visibili a tutti. Uno sguardo che non voleva certo esprimere un giudizio, visto che è sempre difficile stabilire cosa sia giusto e cosa sbagliato.

Ladri, prostitute, travestiti, drogati, assassini, umanità pescata nei bassifondi, che “viaggia in direzione ostinata e contraria” tra il piscio e il vomito dei suburbi, ai quali va però riconosciuto – con maggiore forza rispetto a chi ha avuto la fortuna di nascere e vivere in un contesto migliore – il diritto a cercare di “consegnare alla morte una goccia di splendore, di umanità, di verità”.

Considerare Faber un cantautore è riduttivo. I suoi testi sono ormai nelle antologie di letteratura e anche se non amava essere definito un “intellettuale”, è stato un influentissimo maître a penser, per generazioni di musicisti e non solo. Certificato dal fatto che c’è un “prima” e un “dopo” De André. Basta confrontare i suoi testi con quelli dei suoi colleghi contemporanei.

Mentre quelli erano ancora fermi, più o meno, alla rima “cuore/amore”, il cantautore genovese aveva già raccontato il suicidio in carcere di Miché, assassino per amore, e aveva pubblicato quel gancio allo stomaco che è, ancora oggi, l’album Tutti morimmo a stento. Mi sono spesso chiesto cosa avrebbe detto oggi De André. E come l’avrebbe detto. Perché la sua discografia è studio e ricerca continua, non si accomoda mai sulla poltrona per godersi il successo, ma va sempre alla ricerca del nuovo, nei contenuti e nello stile.

Echi di culture che Faber raccoglie e rimodella. Georges Brassens, la contestazione, i Vangeli apocrifi, Edgar Lee Masters, le collaborazioni con Giuseppe Bentivoglio, Francesco De Gregori, Massimo Bubola, la Premiata Forneria Marconi, Ivano Fossati. Una ricerca che raggiunge la sua summa in Crêuza de mä, un capolavoro che, in sette tracce, racchiude tutta la cultura e le sonorità del Mediterraneo.

Fare una graduatoria tra le sue canzoni sarebbe blasfemo. Ci sono giorni in cui La domenica delle salme è un martello in testa, altri in cui ci lasciamo abbracciare dalla malinconia di Se ti tagliassero a pezzetti. Oggi non possiamo che respirare la nostalgia di Amico fragile, nella versione realizzata dal vivo con la PFM. Gli arrangiamenti della band di Franz Di Cioccio, in particolare la chitarra di Franco Mussida, fanno venire la pelle d’oca. Buon ascolto.

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