Il pantano del dopo-elezioni
A me sembra che il Pd si stia impantanando in un’eccessiva elaborazione del lutto. Non che non ci sia stata la sconfitta, o comunque una non vittoria: “Siamo i primi, ma non abbiamo vinto”, l’analisi a caldo, onesta, del segretario Bersani. E però gli altri sono già in campagna elettorale, proiettati sul futuro: al risultato del 24 e 25 febbraio neanche ci pensano più.
Berlusconi minaccia di chiamare a raccolta la piazza una volta al mese e da qui in avanti il motivo lo troverà sempre, visto che l’arma del legittimo impedimento è al momento parecchio spuntata e i suoi processi invece andranno avanti.
Grillo tifa spacciatamente per il “tanto peggio, tanto meglio” (cinico, ma ineccepibile dal suo punto di vista) per continuare a monetizzare lo scontento di larga parte dell’elettorato. Inutile attendersi che i richiami al senso di responsabilità producano effetti positivi, sponda M5S. Che fare (ah, vecchio Lenin), quindi? Fare i conti con la realtà sarebbe già un utile primo passo. E la realtà ci dice:
a) che nessuno ha i numeri per fare un governo
b) che il centrosinistra, pur non avendo la maggioranza nel Paese, ha la maggioranza alla camera.
L’iniziativa politica non può che spettare a Bersani. E poi? E poi, come diceva un mio vecchio professore, “a mio modesto e subordinato parere” bisogna tirare fuori gli attributi.
Mi pare che Bersani sia su questa strada e me ne compiaccio, anche perché ultimamente l’ho parecchio criticato, tanto da avere disertato le urne nell’illusorio tentativo di lanciare il mio pezzettino di segnale di insofferenza nei confronti della gestione del partito in Calabria: commissariamento infinito, candidature calate dall’alto, solito sconcio di primarie dalla dubbia credibilità.
“Scurdammoce ’o passato”: è stato un errore non chiedere di andare al voto dopo la caduta di Berlusconi; è stato un altro errore farsi impiccare a quel “senso di responsabilità” dal quale il leader pidiellino, furbo e previgente, si è smarcato, tanto da far credere che il disastro sia stato provocato da altri e non da chi ha vinto le elezioni nel 2008, governato per tre anni e mezzo, sostenuto Monti per un altro anno.
È stato un errore gustarsi dal divano la campagna elettorale degli altri, incapaci di prendere posizioni nette sia perché sicuri della vittoria, sia perché troppo attenti al mantenimento dell’equilibrio tra Monti (che invece ci è andato giù pesante) e Vendola.
Si guardi al futuro, senza cedimenti né paure. Occorre recuperare il feeling con la società, ma questo è un processo che richiederà tempo e una nuova classe politica. Per il Pd potrebbe essere positivo il dato di fatto che Grillo non rappresenta tutta la protesta: l’alto astensionismo, da questo punto di vista, è eloquente.
Il senso della proposta degli otto punti “irrinunciabili per qualsiasi governo” è condivisibile: presentarsi al Parlamento con un paio di cose da fare (e speriamo che sia finalmente la volta buona per la riforma elettorale) e su quelle chiedere la convergenza delle altre forze politiche.
C’è poi la chiarezza del no ad un’alleanza Pd-Pdl che sarebbe un suicidio politico e il più grande favore a Grillo. In definitiva, un governo di minoranza o comunque qualcosa che gli somigli (l’ultima moda è il governo “di scopo”). A tempo: poi, di nuovo al voto.
Se non dovessero esserci le condizioni per una soluzione del genere, però, meglio andare subito alle elezioni. Ma a quel punto il Pd dovrebbe avere la forza di cambiare tutto, a partire dalla premiership (non ero fan di Renzi, ma allo stato attuale non vedo altro all’orizzonte), per evitare di essere travolto dallo tsunami.
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