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Il gran rifiuto da Celestino V a Benedetto XVI

Il pensiero è corso istintivamente a Pietro Angelerio da Morrone, passato alla storia con il nome di Celestino V, il Papa scovato da Dante tra la massa delle anime degli ignavi in uno dei passaggi più celebri della Divina Commedia: “Poscia ch’io vebbi alcun riconosciuto,/ vidi e conobbi l’ombra di colui/ che fece per viltade il gran rifiuto”. Ma, ora come allora, si tratta di viltà o la rinuncia al soglio di Pietro, proprio perché quasi inconcepibile (“dalla croce non si scende”, l’esempio recente di Giovanni Paolo II, che la croce abbracciò fino all’ultima stazione del suo personalissimo calvario), è un atto rivoluzionario, finanche eroico?

Già Petrarca era stato più indulgente e, nel De vita solitaria, aveva sottolineato come il gesto di Pietro da Morrone fosse stato “utile a se stesso e al mondo”, epilogo quasi naturale per uno spirito libero, refrattario a imposizioni e giochi di potere: un asceta dedito allo studio e alla solitudine della preghiera, gli unici veri strumenti per arrivare a Dio.

Quasi settecento anni dopo (Celestino fu Papa per sei mesi, nel 1294), sarebbe toccato a Ignazio Silone fare giustizia con L’avventura d’un povero cristiano (1968), ultimo libro pubblicato dallo scrittore marsicano prima di morire. Pietro da Morrone appare nella sua dimensione storica, quella di un eremita di origini contadine con fama di guaritore e santo, eletto Papa per una questione politica: la necessità della ratifica pontificia sull’accordo che prevedeva il passaggio della Sicilia da Giacomo II d’Aragona a Carlo II d’Angiò, a fronte della perdurante incapacità, da parte del Conclave, di eleggere il nuovo pontefice, nonostante fossero trascorsi più di due anni dalla morte di Niccolò IV. Una soluzione di compromesso, considerata vantaggiosa per l’età (ottantacinque anni), ma soprattutto per l’estraneità di Pietro da Morrone agli ambienti della Curia, circostanza che avrebbe consentito agli alti prelati di continuare a coltivare i rispettivi orticelli e ad accrescere potere e ricchezza. Calcoli sbagliati, evidentemente. Quando infatti si accorse che i cardinali utilizzavano in maniera illegittima il suo nome e le pergamene papali in bianco, Celestino V abdicò per “non offendere la propria coscienza”. Dopo di che fu fatto rinchiudere dal suo successore (Bonifacio VIII) in un castello a Fumone, nei pressi di Anagni, e lì morì nel 1296.

In Celestino, ci dice Silone, la coscienza viene prima del potere. Considerazione che probabilmente oggi vale anche per Benedetto XVI, travolto da una delle più grandi crisi abbattutesi sul cattolicesimo in duemila anni di storia. Il carattere rivoluzionario del gesto pone il paradosso della “relativizzazione” della Chiesa per mano di colui che più di tutti si è scagliato contro la “dittatura del relativismo” (Missa pro eligendo romano Pontefice, 18 aprile 2005), ma non sorprende. Nella Via Crucis del 2005 l’allora cardinale Ratzinger aveva infatti denunciato con forza la “sporcizia” che c’è nella Chiesa, “una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti”.

La superficialità con cui ci si esercita nel confronto tra Benedetto XVI e Giovanni Paolo II non meriterebbe alcun commento. Senza volere qui esprimere giudizi di valore, si consideri soltanto quanto il corpus teologico del pontificato di Wojtyla debba alla riflessione del cardinale Ratzinger, sin dal 1981 prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede: un dato che aiuta a comprendere come tale contrapposizione sia illogica e banale.

Spesso la realtà è più semplice di quanto si creda. Vatileaks, scandali finanziari, vicenda dello Ior, corvi nel Vaticano, pedofilia nel clero: la barca è davvero sballottata dalle onde e solo un gesto dirompente poteva richiamare l’attenzione sulla drammaticità del momento che sta vivendo la Chiesa.

“Nascosto al mondo” Benedetto XVI dedicherà gli ultimi anni della sua esistenza alla preghiera e agli amatissimi studi che era stato costretto ad accantonare, con dichiarato rammarico, in un silenzio che fuori dal suo rifugio potrebbe risultare assordante.

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.82) 28 febbraio 2013 02:59

    BRAVO!

    Purtroppo Ratzinger-Benedetto XVI non è stato compreso perché riservato e non "fotogenico", non di moda, mentre Giovanni Paolo II è stato esaltato perché attirava le folle e a molti (pur se sfegatati anticlericali) faceva comodo anche farsi riprendere con lui per raccattare qualche voto (vedi i due clown radicali Pannella e Bonino).
    Alla fine teologicamente dicevano cose molto simili ... e riguardo altro Benedetto XVI si è fatto carico di responsabilità (colpe) non proprie, ma dei suoi predecessori (in particolare quello immediato). Benedetto XVI ha fatto quel che poteva per dipanare una matassa fin troppo ingarbugliata e per ridurre o ammorbidire (!?) i casini al successore. Ovviamente non è un mago. 
    Ma purtroppo si parla bene o male di qualcuno a seconda delle mode. Perché c’è una fabbrica del consenso, ma anche una del dissenso. Aspettiamo di vedere quale si attiverà per il prossimo.

    gf
  • Di Geri Steve (---.---.---.166) 28 febbraio 2013 09:54

    Dissento:
    il paragone con Celestino V non regge: questi non era minimamente responsabile del marcio che ha trovato dentro la chiesa cristiana (allora non c’era distinzione cattolici-protestanti), mentre Ratzinger sì: lui proveniva proprio da dentro la chiesa, ad es. fu proprio lui, come capo sant’uffizio (ex-inquisizione) ad attuare l’insabbiamento di tuttte le faccende di pedofilia. Cose che Pietro da Morrone mai avrebbe fatto. Poi, insediatosi, fu proprio lui a nominare Bertone segretario di stato, consolidando quel marcio.

    Può esserci al più un’analogia nell’essersi sentiti incapaci di cambiare la chiesa e nell’averlo riconosciuto pubblicamente, ma i due personaggi non sono paragonabili, perchè andavano in due direzioni opposte: Ratzinger è un reazionario, Pietro da Morrone era un frate francescano, che probabilmente credeva sinceramente in una chiesa povera e vicino ai poveri, come descritto nell’Avventura di un povero cristiano.

    Paragonarli è quasi una bestemmia.

    GeriSteve

    • Di domenico (---.---.---.237) 28 febbraio 2013 11:51
      domenico

      il senso dell’articolo non era quello di fare le pagelle di questo o quel Papa, della Chiesa attuale o di quella del XIII secolo. Più terra terra, è soltanto l’opionione di chi pensa che non ci fu "gran rifiuto" allora e non c’è stato nemmeno oggi... Il resto (eventuali bestemmie comprese) è roba per teologi e storici della Chiesa

  • Di (---.---.---.82) 28 febbraio 2013 16:53

    Geri Steve è un’altra vittima della fabbrica del dissenso ...

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