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Traiettorie Sociologiche: il Videogame e la “rimediazione” del Cinema

di Fabio Lena Cota

Vi siete mai chiesti qual è il motivo che vi spinge a vedere continuamente (o di tanto in tanto) pellicole cinematografiche? Qualcuno l’ha fatto, e tra questi abbiamo anche alcuni importanti studiosi, primo fra tutti Edgar Morin (1962). Tra gli ultimi troviamo invece un giovane studioso italiano di nome Vincenzo Bernabei (2007) che, interrogandosi sul medium cinematografico come strumento d’evasione mentale, ha definito disvasione l’atto di fuga momentaneo e consapevole che attua l’individuo fruitore di un testo narrativo realizzato per il “grande schermo”.

Essendo anche noi partecipi di questa pratica, è stato spontaneo domandarci se attualmente esista un mezzo di comunicazione capace di attingere dal cinema linguaggi, tecniche e strutture, riuscendo però ad offrire delle nuove forme di interazione con il medium precedente. All’interno della scena mediale nella quale ci troviamo immersi, il videogame ci è da subito parso quello più facilmente accostabile, per diversi motivi: l’uso massiccio che oggigiorno viene fatto – nelle varie produzioni videoludiche – di scene narrative (cut scenes) dai tagli dichiaratamente cinematografici, realizzate attraverso un sapiente uso di regia e montaggio; l’abbondanza di computer grafica presente nelle pellicole odierne; i tanti casi di famose pellicole trasformate in videogiochi, come Lord of the Rings – Il signore degli Anelli, Matrix, Spider-Man, e viceversa: Doom, Lara Croft - Tomb Raider, Mortal Kombat, etc…

Ma la cosa più interessante è che le influenze del cinema non si fermano alle sole tecniche di ripresa e/o montaggio, bensì s’insinuano in quasi tutti gli aspetti che caratterizzano i due media. Tanto per cominciare è necessario sottolineare che sono entrambe delle industrie culturali che si basano sulla produzione di opere d’arte per un pubblico differenziato, attraverso una classificazione di generi, cui unico obiettivo è la massimizzazione dei profitti monetari.

Il videogame sembra ripercorrere la strada battuta dal cinema agli albori della sua diffusione: l’avvento del sonoro ne rivoluzionò la natura, poi col tempo la sua evoluzione ha fatto sì che il cinema si scrollasse di dosso le influenze del teatro, della radio e del vaudeville, permettendogli di sviluppare una propria estetica. Al cinema delle attrazioni fece seguito il cinema narrativo.

Il videogioco vive oggi un’analoga transizione: nato come pura forma di spettacolo ludico, si evolve in maniera sempre più complessa ed articolata. Come il film, nella sua prima fase di vita è stato completamente ignorato dalla comunità scientifica perché, esattamente come il cinema, ha debuttato come espressione culturale bassa, popolare. Ormai sono sempre meno sviluppati software ludici che si basino sulla sola leva delle mirabilia tecnologiche, perché c’è sempre più bisogno di accompagnare al piacere estetico la capacità di coniugare una narrativa complessa, che sia interessante per il giocatore, nonché di realizzare un gameplay che sia allo stesso tempo tradizionale ed innovativo.

Oltre che sotto il profilo storico, bisogna riconoscere che i fenomeni di convergenza mediale in atto – e di rimediazione, secondo la definizione di David Jay Bolter e Richard Grusin (2002) che sta ad indicare la capacità di un nuovo media di attingere a forme e tecniche di un media precedente per riproporle in forme nuove – non sono solo di natura tecnologica, ma soprattutto culturali, sociali ed estetici.

Il Videogame sintetizza contemporaneamente una pluralità di linguaggi, e, allo stesso tempo, offre a chi ne fruisce la possibilità di vivere esperienze personali, procedurali e configurative. Rende il giocatore co-autore del testo, mettendo in discussione la tradizionale distinzione tra gioco e lavoro, ricreazione e impegno, produzione e consumo.

Attraverso queste capacità, il medium videoludico ha riformulato le strutture narrative classiche, senza però superarle definitivamente. Ne ha tratto spunto e le ha reinventate, lasciando al lettore del testo l’impressione di avere maggiore libertà, che in realtà è solo ed esclusivamente una maggiore libertà d’azione all’interno del testo – tranne che non si abbia accesso al codice sorgente.

Se invece spostiamo nuovamente l’attenzione sulla domanda d’aperturaPerché guardiamo film? Alla quale ora possiamo aggiungere: Perché giochiamo ai Videogame? - troveremo un nuovo ancoraggio che ci permette di riaccostare, e quasi sovrapporre, i due media. Questo perché l’atto del giocare è una pratica attraverso la quale s’interiorizzano i modelli del contesto sociale d’appartenenza, ma che allo stesso tempo permette all’individuo d’inscriversi in un universo simbolico alternativo, in cui poter riposare dalla complessità della vita reale. Quindi cinema e videogame sembrano fare entrambi leva sulla necessità dell’uomo di evadere, quantomeno momentaneamente – siccome l’unica alternativa sarebbe esclusivamente la morte – dalla realtà che lo circonda, ed entrambi i media utilizzano uno schermo come finestra sul mondo alternativo proposto.

Schermi che per qualcuno potrebbero sembrare diametricalmente opposti, in quanto a livello d’immaginario accostiamo la sala cinematografica alla visione di un film e lo schermo domestico alla fruizione di videogiochi, quasi riproponendo la sfida di circa un secolo fa fra cinematografo e kinetoscopio che ha visto vincere il primo modello per la forza della fruizione collettiva, contro quella individuale del secondo. Ma anche qui, se riusciamo ad inquadrare globalmente la situazione, ci renderemo conto che le azioni di convergenza mediale toccano fortemente entrambi i media, avvicinandoli anche in termini spaziali. Due esempi per illustrare quanto detto: da un lato abbiamo lo schermo televisivo, medium che per primo ha utilizzato e riscritto le tecniche cinematografiche, che oggi non è atto alla sola visione di programmi televisivi, ma è diventato uno strumento domestico (tendenzialmente sempre più somigliante allo schermo cinematografico in termini di grandezza e formato) che viene utilizzato per l’output d’informazioni, scindendo definitivamente televisione (medium) e televisore (strumento); mentre non bisogna poi dimenticare che il Cinema non si ferma alla sala cinematografica, ma arriva nelle abitazioni attraverso l’etere, la parabola, il web e/o il lettore dvd, condividendo spesso lo stesso schermo utilizzato dal videogiocatore.

Oltretutto la diffusione dell’home video incentiva l’ideazione e la progettazione di pellicole che si distinguono dalle narrazioni d’impostazione classica, come nel caso dell’interessante film 11:14 (di Greg Marcks, 2005). Questo film propone un intreccio narrativo che mostra l’interazione di cinque personaggi, e la trama è suddivisa in cinque segmenti che descrivono le azioni dei personaggi sino al raggiungimento della fatidica ora. Il DVD contiene un’opzione chiamata “salto di personaggio” che permette allo spettatore di selezionare a piacimento un personaggio per vedere cosa stesse facendo in quel preciso momento, opzione che lo rende di fatto co-autore del testo.

Allora la differenza fra i due media si fonda sulla virtualità dei videogame? Falso, perché le immagini impresse sulla pellicola cinematografica non sono mai state e non potranno mai essere “oggettive”, e il cinema fonda se stesso sull’uso che viene fatto del montaggio, che è una tecnica di falsificazione della realtà per una particolare produzione di senso. In più non bisogna neanche dimenticare che il cinema, anche vecchio stampo, è da sempre “digitale”, fosse solo per il fatto di avere una pellicola che campiona temporalmente il secondo in 24 fotogrammi.

Allora sono diversi perché un media è interattivo, mentre l’altro no? Anche questo è falso, e Lev Manovich (2001) è riuscito a dimostrarlo. Quest’autore ritiene che l’interattività sia un mito, soprattutto nelle tecnologie computerizzate; questo perché ogni interfaccia, che permette il rapporto uomo-macchina, rende l’uso interattivo. Volgendo lo sguardo – invece che verso l’interazione (da cui deriva il termine interattività) – verso i processi mentali che si pongono in essere nel momento della fruizione dei media, bisogna per prima cosa tenere in considerazione la classificazione che Manovich fa fra “database” e “narrazione”: il primo termine indica tutte le informazioni accessibili, mentre il secondo è il risultato di una serie di scelte. Quindi una pellicola proiettata in sala non è altro che il percorso narrativo scelto dagli autori rispetto al database di fotogrammi registrati durante le riprese. Nella visione in sala di un film è lo spettatore a creare collegamenti mentali fra le immagini che gli vengono proposte, mentre oggi è il media interattivo che ci chiede di scegliere continuamente il percorso che preferiamo seguire. Ma si tratta sempre e comunque di una sorta di dialogo fra individuo e macchina.

La vera sostanziale differenza che intercorre fra i due media risiede nelle forme d’interazione con la macchina. Tutti i giocatori sono anche spettatori, ma non il contrario. Nella visione di un film la narrazione non s’interrompe, salvo che chi abbia i mezzi per farlo non lo decida. Differentemente, in un videogioco la narrazione si blocca se il giocatore non interagisce con la periferica di input (tastiera, mouse o joypad che sia), tranne che non si ritrovi in una fase di pausa dall’atto di gioco: cut scene o full motion video (filmati in computer grafica).

Invece di ascoltare (o assistere a) una narrazione, il giocatore deve compiere delle azioni per procedere nella storia, deve parlare con gli altri personaggi, deve raccogliere degli oggetti, deve combattere con i nemici, etc… Se il giocatore resta inerte, la narrazione si ferma. Da questo punto di vista, il movimento nello spazio virtuale del gioco è una delle principali azioni narrative. Ma questo movimento concorre anche all’obiettivo dell’esplorazione. Esplorare l’universo del gioco, esaminarne i dettagli e gustarne le immagini è importante quanto procedere nella narrazione. Dunque, se da una parte le vicende dei videogiochi possono essere assimilate alle narrazioni tradizionali, strutturate anch’esse attorno al movimento nello spazio, dall’altra rappresentano l’esatto opposto. Il movimento attraverso lo spazio narrativo permette al giocatore di procedere lungo la narrazione, ma è anche un valore a sé. È il mezzo che consente al giocatore di esplorare l’ambiente. Il giocatore sfrutta lo spazio per immergersi completamente nel mondo alternativo e per ricevere il maggior numero di informazioni possibili su quel mondo nel quale viaggia momentaneamente, permettendogli una comprensione dell’intreccio narrativo più approfondita, che può tornare utile anche per il completamento del gioco stesso.

Su quest’argomento proponiamo un confronto molto interessante fra la versione cinematografica e videoludica di Blade Runner (di Ridley Scott, 1982) e Blade Runner PC (Virgin, 1997). L’emblematicità del caso è data dal fatto che il film si trovi già di per sé in una situazione di conversione (rimediazione), in quanto derivato da un famoso romanzo di P. Dick del 1968 – Ma gli androidi sognano pecore elettriche? - e sembra rifiutare l’idea di essere definitivamente ultimato, tenendo conto delle innumerevoli versioni “rivedute e correte” create, assumendo perfettamente il ruolo di metafora del software: codice infinitamente migliorabile, aggiornabile, ottimizzabile. Per quanto concerne la versione da giocare, la fruizione stessa del testo prevede l’esplorazione di tutte le aree dello schermo – e del fuori schermo – ammaliando lo spettatore per la molteplicità di oggetti manipolabili. Mentre nella versione cinematografica non è possibile ammirare ad una prima visione tutti i dettagli inseriti dal regista, come le scritte sui parchimetri, nella versione PC il giocatore può esplorare ogni zona ed utilizzare ogni oggetto, che può rivelarsi indizio depistante o utile per la risoluzione del caso. Questo significa che il videogame realizza concretamente quello che la letteratura e il cinema offrono in potentia. Il cinema ha dato visione al romanzo, mentre il videogame ha dato profondità e partecipazione al film.

Un secondo punto di divergenza riguarda l’uso che viene fatto del sonoro. Nei giochi digitali, l’avatar controllato dal giocatore è inscritto nel mondo aurale del Videogame, e come tale è in grado di produrre suoni e di reagire agli stimoli, per esempio, voltandosi nella direzione della sorgente del rumore. Quindi, mentre i sound designer cinematografici lavorano in maniera olistica e sequenziale, quelli videoludici lavorano in maniera atomistica, consapevoli del fatto che il risultato finale del soundtrack è (relativamente) indipendente dal loro operato. Hanno il compito di selezionare una palette di sample sonori disponibili e una gamma di suoni, ma la loro attivazione all’interno di un determinato scenario dipende, in buona parte, dalle azioni del player.

Quanto scritto fin qui non vuol dire che riteniamo i videogame dei prodotti direttamente derivanti dal cinema, né tantomeno che la piattaforma videoludica sia l’unico media che sia stato capace di attuare un rapporto d’influenza bidirezionale con il linguaggio cinematografico. Ma sicuramente questi due mondi della comunicazione collidono sempre più spesso, arrivando in alcuni casi a fondersi e confondersi.

 

Letture

Atkins, B., 2008, Replicando Blade Runner, tra giochi di superficie e spazi profondi, in Bittanti, M, Schermi interattivi: Il cinema nei videogiochi, a cura di, Meltemi, Roma, pag. 267.

Bernabei, V., 2007, Cinema: Evasione, strategie di fuga nel più invasivo dei media, Napoli, Tilapia.

Bolter, G. D., Grusin, R., 1999, Remediation: Understanding New Media, Cambridge (Mass.), MIT Press; trad. it. 2002, Remediation: Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, Firenze, Guerini e Associati.

Manovich, L., 2001, The Language of New Media, Cmabridge (Mass.), MIT Press; trad. it. 2002, Il Linguaggio dei Nuovi Media, Roma, Olivares.

Morin, E., 1962, L’Esprit du Temps 1. Nevrose, Parigi, Grasset & Fasquelle; trad. it. 2002, Lo Spirito del Tempo, Roma, Meltemi.

 

 

Visioni

11:14, Greg Marcks, Stati Uniti, 2004, Nexo, home video 2005

Blade Runner, Ridley Scott, Stati Uniti, 1982, Warner Bros

Doom, Andrzej Bartkowiak, Stati Uniti, 2005, UIP

Il Signore degli anelli: la compagnia dell’anello, (The Lord of the Rings - The Fellowship of the Ring), Peter Jackson, Stati Uniti, 2001, Medusa

Lara Croft: Tomb Raider, Simon West, Stati Uniti, 2001, Eagle Picture

Mortal Kombat, Paul W. S. Andreson, Stati Uniti, 1995, Warner Bros

Spiderman, Sam Raimi, Stati Uniti, 2002, Columbia Tristar

The Matrix, Andy Wachowski, Larry Wachowski, Stati Uniti, 1999, Warner Bros  

Blade Runner PC, Virgin, Inghilterra, Westwood Studios, 1997

Doom, Activision, Stati Uniti, id Software, 1993

Enter the Matrix, Atari, Stati Uniti, Shiny Entertainment, 2003

Lord of the Rings – Il Signore degli Anelli, Electronic Arts, Stati Uniti, EA Games, 2002 (serie)

Mortal Kombat, Midway Games, Stati Uniti, 1992

Spiderman, Activision, Stati Uniti, Treyarch, 2002

Tomb Raider, Eidos, Inghilterra, Core Design, 1996

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