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Toni Servillo legge Napoli. Martedì la prima di Milano

Un’ora e mezzo da lasciare senza fiato, praticamente tutta in napoletano. “Una lingua che fa scena”, dice l’artista, ma che ancor prima diventa grazie a lui lingua universale.

Si è aperta martedì la tappa milanese dell’esperimento teatrale di Toni Servillo, in scena al Piccolo Teatro Studio con il suo “Toni Servillo legge Napoli”.
Un’ora e mezzo da lasciare senza fiato, praticamente tutta in napoletano. “Una lingua che fa scena”, dice l’artista, ma che ancor prima diventa grazie a lui lingua universale. Non occorre essere napoletani o avere familiarità con il dialetto campano per comprendere lo spettacolo nella sua vera essenza: laddove si ferma la comprensione della lingua inizia l’immensa bravura di Servillo che esprime i testi con tutto il suo corpo, con la sua voce, con la mimica del volto.

Uno spettacolo che toglie il fiato, dicevamo. Si susseguono testi di autori napoletani famosi, famosissimi e altri colpevolmente meno noti. Un viaggio attraverso paradiso, limbo e inferno della realtà, che si apre con “Lassammo Fa’ Dio” di Salvatore di Giacomo, Litoranea di Enzo Moscato, e ancora “‘A Madonna d’e’ mandarine” di Ferdinando Russo.

Un alternarsi di toni opposti: dall’immensa tristezza di “Fravecature” di Raffaele Viviani, toccante storia di uno dei tanti muratori morto mentre lavorava, precipitando dal quinto piano; alla conosciutissima, profonda, ma più leggera “Livella” di Totò, dove perfino il pubblico milanese insieme con l’artista ha praticamente recitato il finale della poesia. Immancabili due poesie di Eduardo De Filippo, in cui l’artista si immedesima perfettamente e sembra quasi ne ricalchi espressioni tipiche e facciali interpretandole però in una sua personalissima chiave.

Insomma, due ore coraggiose di grande teatro. Un regalo alla Napoli che è tutt’ora un grande e fertile laboratorio artistico da cui provengono punte di diamante come Servillo e un omaggio alla Napoli che fu, cantando i versi dei più grandi drammaturghi che l’hanno animata.

Interessante proprio per il lavoro sulla lingua, vera protagonista con l’attore: l’intero spettacolo è in dialetto, spesso strettissimo. Ciononostante, l’intera platea di ieri ha compreso e si è commossa con l’artista. A riprova che non esiste distanza culturale quando c’è disponibilità alla reciproca immedesimazione.

Una lingua protagonista della scena. Un attore incredibile a renderla nuovamente viva e universale. Una città esportata finalmente per il meglio che può produrre. Cum laude.

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