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Taranto: Odi et amo

Il celebre carme di Catullo narrava: “Odio e amo. Forse mi chiedi come io faccia. Non lo so, ma sento che ciò accade e ne sono tormentato.”

Sebbene l’argomento che segue non tratti di letteratura, questo pensiero mi aiuta a sintetizzare ed esternare ciò che provo nei confronti della mia città: Taranto. Per chi non la conoscesse Taranto è uno dei capoluoghi pugliesi situato nell’omonimo golfo, precisamente nel tacco del nostro Stivale bagnato dal mar Jonio.

 

La mia città vanta tanti primati: è una delle poche città divise in due parti, la città nuova e quella vecchia unite da uno dei pochi, forse l’unico ponte girevole esistente in Europa al quale si aggiungono il ponte di pietra nella città vecchia e il ponte punta penna che collega la città con l’esterno. Taranto è la città dei due mari, il mar Grande nel quale sostano le navi sbarcate e il mar Piccolo, che è il mare interno alla città, tra i due si stabilisce un equilibrio idrobiologico dovuto alla diffusione di sorgenti sottomarine (“citri”) dalle quali confluiscono acqua dolce e acqua salmastra così che il mare assuma una condizione ideale per la coltivazione dei mitili (“cozze”) per la quale la città vanta un certa rilevanza.

Taranto ha molte altre risorse da descrivere, ma poche pagine non basterebbero, e tanti sarebbero gli aneddoti legati alle sue antiche origini risalenti alla civiltà ellenistica, tuttavia voglio arrivare al dunque narrando, tormentata come lo era Catullo, del suo record più importante, ma in senso negativo: Taranto è la città più inquinata d’Europa a causa dell’immensa acciaieria (Ilva) che nel modo più invasivo è stata fatta sorgere in uno dei quartieri più popolari, il quartiere Tamburi... anche in questo caso poche pagine non basterebbero.

La mia città non è divisa solo da un ponte, ma anche da ideologie e convinzioni. Per anni, infatti, si è discusso sul circolo vizioso che l’Ilva ha innescato, dando lavoro a milioni di cittadini e al tempo stesso togliendo loro la vita a causa delle emissioni dei fumi, strappando così i padri dipendenti nell’industria dai loro figli, figli spesso innocenti, ma colpevoli per aver giocato nei giardinetti vicino casa, contaminati dalle polveri e poi risucchiati anch’essi nel vortice di un tumore.

L’Ilva oggi crea un impatto ambientale talmente grande che l’ago della bilancia di quel dibattito ormai protende esclusivamente verso la salute dei cittadini, costretti a vivere nella città delle nuvole di diossina, che l’Arpa ha rilevato in percentuali 4 volte superiori a quelle ai limiti tollerati in Europa.

Negli ultimi 5 anni, e si spera per altri 5, Nichi Vendola, Governatore della Puglia si è battuto più di quanto non abbiano fatto i governatori precedenti, per difendere la città dall’inquinamento dell’Ilva e nella sua campagna politica non vi sono i soliti slogan: “meno tasse, più posti di lavoro, meno criminalità, ecc.”, che il più delle volte restano tali senza concretizzarsi; tra gli obiettivi principali della politica di Vendola vi è, invece quello di ridurre al 50% le emissioni di diossina, ciò principalmente attraverso il primo impianto di aspirazione delle polveri costato all’azienda 30 milioni di euro.

Io, come tanti altri giovani, sono scappata dalla città in cui sono cresciuta per 20 anni, ma ogni volta che torno vivo emozioni contrastanti come l’odio e l’amore, sorrido quando vedo il mare che a Firenze mi manca e piango quando vedo che i fumi volano più in alto del futuro dei miei coetanei rimasti lì, in attesa di un cambiamento, perché fin ora tutto è ruotato attorno all’Ilva. Non è bello sentirsi obbligati a lasciare la propria città e sapere che non potrà mai essere il luogo in cui investire il proprio futuro.

C’è chi non vive a ridosso dell’industria e pensa che non incorra in alcun pericolo, io ho vissuto in un quartiere lontano dai fumi, ma riesco a capire che i venti possono muovere le pesanti nuvole contaminate e in questi giorni, trovandomi a Taranto per le vacanze estive, ho sentito quel cattivo odore che solo il tarantino sa riconoscere, l’ho sentito dalla mia finestra nei giorni in cui il vento soffiava a favore dei fumi e, aldilà della vicinanza o meno dal pericolo, per non incappare nell’idioma del “not in my backyard – non nel mio giardino”, credo che ogni cittadino, di qualunque quartiere debba preoccuparsi della questione Ilva, parlarne il più possibile farlo sapere a chi lo ignora e a chi come tanti altri cittadini vuole ignorarlo, combattendo affinché il problema diventi una questiona nazionale, ma non solo a livello di notizia negativa, bensì anche a livello di intervento statale, di uno Stato che come sappiamo in questo momento è marcio e deve pensare prima a curare se stesso.

Nichi Vendola ha permesso di avanzare il primo passo di quell’accordo tra l’Ilva e la Città, che andava fatto molti anni a dietro, nel frattempo sono morte persone, adulti e bambini per tumori ai polmoni e leucemie, persone che abitavano a ridosso di questo “mostro” che ha invaso la mia città, città che amo per tutte le risorse che possiede, città che odio perché sottomessa al dominio capitalistico affamato di produzione, ma che oggi produce solo conseguenze ambientali e dunque vitali.

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