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Roma. Il bluff dell’emergenza immigrazione. Alemanno strilla, un prete assiste i tunisini

Tutti i giornali parlano dell’invasione dei tunisini a Roma, che sono solo 117. Alemanno esagera (“saranno favelas, via i tunisini da Roma”) e recrimina di non essere stato avvertito. La Protezione Civile aveva avvertito la Polverini, che non lo sapeva. Dopo le violente proteste dei cittadini di Roma nord, i migranti si sono dati quasi tutti alla fuga e rifugiati a Termini, abbandonati a se stessi. Un prete li è andato prendere e li ha accolti nella sua parrocchia. Il reportage dei nostri inviati.

ROMA - Quando, venerdì mattina, quei 117 migranti tunisini sono saliti sui tre pullman che dovevano portarli lontano dal centro di accoglienza di Santa Maria Capua Vetere, provincia di Caserta, si vociferava che sarebbero arrivati fino a Bologna. Il capolinea, invece, era molto più vicino. Dopo poche ore, alle 17, i tre pulmini aprono le porte a Roma nord, in Via Flaminia all’altezza della stazione di Grottarossa, un quartiere del più esteso municipio della capitale, il ventesimo, che si estende in orizzontale fino a raggiungere Via Cassia. I pullman carichi di migranti si fermano a poche centinaia di metri dal centro di accoglienza cui erano destinati, ma non fanno in tempo a raggiungerlo. Appena la notizia dell’arrivo dei profughi tunisini si diffonde tra i cittadini del quartiere, un esercito di trecento uomini si materializza sul posto e blocca la strada: «O li portate via o finiscono male». Il Tempo di Roma li chiamerà “i mariti di Grottarossa”, ma c’è chi sostiene che alle proteste si siano uniti anche gli uomini di una comunità di magrebini che risiede nel territorio da diversi anni. Due giorni dopo alcuni di loro racconteranno ai cronisti di AgoraVox di essere stati presi addirittura a sassate. Visto il benvenuto, si disperdono come possono per la città abbandonati a loro stessi, essendo tutti dotati del permesso di soggiorno provvisorio, valido per sei mesi, concesso dal Governo. La protezione civile riuscirà a trattenerne sotto la sua tutela soltanto una manciata. Gli altri, per lo più, andranno in cerca di fortuna alla stazione Termini. Allo sbaraglio. È uno degli effetti voluti dal Governo con la concessione dei permessi temporanei: disperdere gli immigrati. Anzi, lasciare che si disperdano da soli. In modo da risolvere, almeno agli occhi dei media, il problema dei migranti tunisini.

Appena il presidente del XX municipio, Gianni Giacomini, viene a sapere degli incidenti a Grottarossa si infuria: «Nessuno ci aveva avvertito che sarebbero arrivati, io non ci sto allo scarica barile, sono subito venuto appena mi hanno avvisato e così non va bene. Dovevano contattarci e informarci e invece ci siamo ritrovati improvvisamente in questa situazione». La Protezione Civile risponderà con un comunicato in cui precisa di avere avvertito la regione Lazio, il cui accordo è necessario per determinare le località destinate all’accoglienza dei migranti. Renata Polverini, che pure ammette «un preavviso, credo di un paio d’ore» agli uffici della regione, confessa che non lo sapeva. Ad Alemanno, però, non pare vero di avere per le mani un buon diversivo per distrarre l’opinione pubblica dalla crisi del trasporto pubblico romano (il cui ad ha rassegnato le dimissioni pochi giorni fa a causa dello stato disastroso dei conti della municipalizzata ATAC che ha già pianificato, in segreto, come svelato giovedì scorso da AgoraVox, la chiusura della metropolitana capitolina a luglio e agosto). Così, appena appresa la notizia dell’arrivo dei tunisini a Roma nord, il sindaco, senza esitare un momento, rutta alla stampa: «Con 20, 30mila persone in arrivo dal nord Africa c’è il rischio altissimo di accampamenti abusivi: vere e proprie favelas». In realtà i migranti arrivati nella capitale sono solo 117, una goccia nell’oceano in una città enorme come Roma in cui, a detta dello stesso Alemanno, «vivono già 8mila rifugiati e 2mila nomadi»: altro che “favelas”, una scolaresca in gita creerebbe disagi maggiori. Ma ormai le dichiarazioni di Alemanno hanno raggiunto i giornali. È emergenza immigrati: per i giorni a seguire tutti i quotidiani locali apriranno con titoli macroscopici sull’invasione dei tunisini a Roma.

Sabato sera la Protezione Civile informa AgoraVox della posizione dei centri d’accoglienza destinati ai migranti che hanno accettato di farsi assistere dallo Stato italiano: ne sarebbero rimasti 47, per lo più ospiti in una parrocchia a cinquecento metri dalla stazione ferroviaria di Grottarossa, l’Immacolata Concezione di Maria. Ieri mattina, però, quando arriviamo, il quartiere sembra deserto. Le poche persone che incrociamo per strada dicono di non sapere nulla dei migranti arrivati due giorni prima. Raggiungiamo la parrocchia. Il sacerdote ha appena finito di celebrare messa e sta per iniziare la processione della domenica delle palme. Approfittiamo per una perlustrazione della parrocchia, ma dei tunisini non c’è traccia. A dire il vero non ci sono neppure spazi adeguati per ospitarli. Partita la processione, ci avviciniamo a due parrocchiani che gestiscono il banchetto per la distribuzione dei rami d’ulivo. «Non diciamo cazzate! Qui non è arrivato nessun tunisino – dice una signora – la nostra parrocchia non li avrebbe mai cacciati».
   «Ma avete un centro d’accoglienza?»
«Il centro d’accoglienza non è ancora pronto, ma se fossero arrivati la nostra parrocchia li avrebbe sicuramente accolti e assistiti».
   «La Protezione Civile ci ha detto che sono stati sistemati qui…»
«Ma non ci è arrivata nessuna Protezione Civile! Non diciamo fregnacce! Mo’ venite a dir ‘ste cose…»



Verremo a sapere più tardi che la signora ha ragione: nessuno dei migranti ha mai messo piede all’Immacolata Concezione. Intanto contattiamo la sala operativa centrale della Protezione Civile, che passa la telefonata alla sala stampa nazionale. La sala stampa nazionale ci consiglia di chiedere al centro operativo regionale del Lazio «che sta seguendo queste cose». Dal centro operativo rispondono: «Non siamo autorizzati a dire nulla, dovete rivolgervi all’ufficio stampa della Presidenza regionale». Ma l’ufficio stampa regionale ci dice di non essere competente e ci rimanda di nuovo alla sala operativa centrale della Protezione Civile. Ricominciamo. L’operatore della sala operativa dice di volere inoltrare la chiamata alla sala stampa, ma aggancia il telefono. Poi, dalla sala stampa, rispondono: «Ma come? Ve l’avevamo detto che è un problema di competenza della Protezione Civile regionale…». Alla fine veniamo a sapere che parte dei migranti sono stati trasferiti alla Chiesa della Natività, una parrocchia in zona San Giovanni, dieci chilometri a sud di Grottarossa.

Quando arriviamo alla Natività la messa è appena terminata. Tra la folla notiamo alcuni ragazzi che dall’aspetto sembrano tunisini. Cerchiamo il parroco. Don Pietro Sigurani sta nel campetto di calcio. Ci riceve sorridendo. I migranti sono ospiti della parrocchia, ma non dalla sera prima come ci aveva raccontato la Protezione Civile, ma dal giorno, venerdì, in cui sono arrivati a Roma. Don Pietro racconta: «Li accogliamo da quando li hanno cacciati da Grottarossa. Ne accogliamo venticinque, ma la protezione civile ce ne ha mandanti solo otto». Gli altri diciassette li hanno recuperati di persona lui e i suoi collaboratori alla Stazione Termini, dove si erano rifugiati sperando di poter arrivare chissà dove senza nemmeno un biglietto in mano. «Alcuni li abbiamo accompagnati al treno perché hanno parenti a Bologna – racconta il sacerdote – quelli che non avevano dove andare li abbiamo accolti. La parrocchia è accogliente: oggi tutti i parrocchiani hanno applaudito a questi ragazzi». Andiamo a vedere il ricovero dove alloggiano i migranti. Entriamo in una grande sala comune molto spaziosa, fresca, confortevole. Un susseguirsi di porte bianche la separa dalle camere con i letti a castello dove i ragazzi passano la notte. Una più grande, con otto posti letto, altre più anguste. Dal fondo si accede alla sala mensa, dove due volte la settimana la parrocchia serve un pasto fino a cinquecento indigenti che arrivano anche da fuori città. Due tunisini stanno pranzando e non vogliono farsi fotografare, ma ci sorridono.

Gli altri ragazzi stanno fuori in veranda, riparati dal sole. Avevano aiutato per tutta la mattinata i parrocchiani a distribuire ramoscelli d’ulivo e hanno in programma una replica della partita a calcetto che avevano già disputato la sera prima. «Adesso cerchiamo di trovargli una sistemazione e poi, quando si saranno calmate le acque, anche un lavoro», dice Don Pietro. AgoraVox tornerà a vedere cosa accadrà. Per ora sappiamo che se fosse per la Protezione Civile quei ragazzi starebbero per strada, abbandonati forse con l’unica prospettiva di iniziare a delinquere. Don Pietro e i suoi parrocchiani li hanno salvati. Mentre Alemanno strepita contro fantomatiche “favelas”, le politiche sociali della città sono appaltate di fatto alla carità umana di persone perbene. «Quei tunisini rimarranno a Roma solo due giorni e poi andranno via da Roma», dice il sindaco. Don Pietro non lo permetterà.

Eccola l’orda di clandestini che terrorizza Alemanno.


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