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Riprendono con alta frequenza gli appuntamenti di musica e cultura al Teatro La Fenice

Assieme a Turandot, per la stagione Lirica e Balletto la Fondazione Teatro La Fenice presenta La Fabbrica Illuminata di Luigi Nono e Erwartung di Arnold Schoenberg, mentre al Malibran arriva Sergio Rubini. Ad ottobre, ritorna il Premio Veneziagiunto alla 40° edizione.

In occasione di un duplice anniversario - il centenario della nascita di Luigi Nono e il centocinquantesimo dalla nascita di Arnold Schönberg - la Fenice celebra i due grandi maestri della musica moderna con uno spettacolo in dittico che abbina La fabbrica illuminata di Luigi Nono e Erwartung di Arnold Schönberg.

Si tratta di un nuovo allestimento con la regia di Daniele Abbado, le scene e il light design di Angelo Linzalata, i costumi di Giada Masi e i movimenti coreografici di Riccardo Micheletti. La direzione musicale è di Jérémie Rhorer, alla testa dell’Orchestra del Teatro La Fenice. Interprete della Fabbrica illuminata è il soprano Valentina Corò, con Alvise Vidolin alla regia del suono, mentre Heidi Melton interpreta la donna in Erwartung.

Il dittico è in programma al Teatro La Fenice il 13, 15, 17, 19, 22 settembre 2024 nell’ambito della Stagione Lirica e Balletto 2023-2024. La recita di martedì 17 settembre alle ore 19.00 sarà trasmessa in diretta radiofonica da Rai Radio3.

Composta per voce femminile e nastro magnetico, su testi fortemente politicizzati di Giuliano Scabia e un frammento di Due poesie a T di Cesare Pavese, La fabbrica illuminata è una composizione del 1964 che debuttò proprio al Teatro La Fenice di Venezia il 15 settembre 1964, interprete il mezzosoprano Carla Henius e Nono alla regia del suono, in occasione della ventisettesima edizione del Festival Internazionale di Musica Contemporanea.

Entwartung di Arnold Schönberg è un monodramma in un atto articolato su quattro scene. Il libretto di Marie Pappenheim può essere considerato il primo esempio di teatro musicale espressionista: debuttò al Deutsches Landestheater di Praga il 6 giugno 1924.

«L’accostamento di un brano celeberrimo come Erwartung e un pezzo breve e intenso come La fabbrica illuminata è un inedito assoluto – spiega il regista Daniele Abbado –, inclusa la particolare successione cronologica, perché la serata inizierà con La fabbrica illuminata e proseguirà con Erwartung.

Il progetto è stato impostato così dal sovrintendente e direttore artistico Fortunato Ortombina e in un primo momento mi ha un po' stupito, ma poi ho aderito con entusiasmo, perché ho riflettuto su questa scelta. Mi sembra evidente la volontà di strappare Erwartung dalla sua abituale storicizzazione di monodramma che racconta un caso clinico, in quanto coevo agli studi sull'isteria di Freud e Breuer. Rinchiudere Erwartung in questa lettura storica non sembra più interessante. Il significato e il valore di quest'opera oggi vanno ben al di là dell'analisi clinica. Anzi la travalicano completamente. Questo è stato il primo impulso che ho provato. Pur non essendo la prima in assoluto, La fabbrica è l'opera in cui Luigi Nono si confronta totalmente e con coraggio con le possibilità tecnologiche del suo tempo. Stiamo parlando di un nastro magnetico su quattro piste, cioè di suoni reali registrati nella fabbrica di Cornigliano ed elaborati poi nello Studio di Fonologia di Milano con la collaborazione di Marino Zuccheri. È questa nuova possibilità di teatro musicale in presa diretta con la realtà a interessare e stimolare Nono, che affronta l'impresa con un coraggio enorme. Per lui significa soprattutto rifuggire da qualsiasi lettura o interpretazione di tipo naturalistico. Non si tratta di comporre un ritratto, ma di fissare l'esperienza della fabbrica, degli operai, e allo stesso tempo anche l'esperienza del compositore, che entra come protagonista in questo rapporto. Giuliano Scabia, parlando di questo lavoro, dice appunto che la composizione illumina un momento di relazione, composta da diversi soggetti e situazioni. L'opera parla cioè della realtà della fabbrica attraverso i suoni, le voci, le parole, i testi che Nono e Scabia acquisiscono. Dietro questo c'è la realtà esistenziale che vivono gli operai, e ovviamente anche la presenza e l'intervento del compositore e del poeta. Non soltanto nell'elaborazione musicale, artistica e drammaturgica del progetto, ma anche 'in avanti', quindi nel confronto e nella restituzione.

Erwartung – che è attesa, ma anche lutto, perdita – parla di una solitudine disperata e collettiva. Per questo il suggerimento di proporla dopo La fabbrica illuminata nel lavoro che stiamo costruendo potrebbe costituire non tanto la prosecuzione, ma la transizione da un mondo a un altro».

«Mi sembra che il progetto di affiancare La fabbrica illuminata e Erwartung sia frutto di una intelligente visione italiana – commenta il direttore d’orchestra Jérémie Rhorer – e lo dico assolutamente in senso positivo. È un modo di creare un legame tra due opere che possono essere distanti tra loro nel panorama culturale generale, cui solo gli italiani possono dare un senso perché le immettono nelle antiche radici greche e romane che caratterizzano in senso ampio la loro cultura. Ovviamente c'è una connessione tra Nono e Schönberg, ma questo è meno interessante dell'immaginare una risonanza tra due esperienze lontane tra loro nel tempo che possono però essere ridefinite da un'altra forma artistica. Per me in Erwartung c'è una reale scienza dell'orchestrazione, basata sul peso e sulla forza variabili dell'orchestra. È quello che ho tentato di sottolineare nella mia lettura dell'opera, e sono felice che molti critici l'abbiano messo in evidenza. Si incontra la grande esplosione di suono, chiaramente identificabile come post-wagnerismo o reminiscenza straussiana, ma allo stesso tempo ci si imbatte in una riduzione della tessitura musicale in termini minimali, che rivela gli elementi psicologici dell’opera. Mi piace molto questo lato di Erwartung, dove l'orchestra è ridotta quasi al silenzio dopo il grande climax. In questo contrasto si può definire Schönberg un maestro dell'orchestrazione. Non è tanto il trovare il giusto equilibrio in ogni momento, ma il padroneggiare la struttura bilanciando l'opposizione dei timbri e delle densità».

Ecco il dettaglio delle recite con orari e turni di abbonamento: venerdì 13 settembre 2024 ore 19.00 (turno A); domenica 15 settembre ore 17.00 (turno B); martedì 17 settembre ore 19.00 (turno D); giovedì 19 settembre ore 19.00 (turno E); domenica 22 settembre ore 17.00 (turno C). Le recite del 13 e 17 settembre fanno parte dell’iniziativa La Fenice per la città realizzata in collaborazione con il Comune di Venezia; quelle del 15, 19 e 22 settembre fanno parte della Fenice per la città metropolitana, in collaborazione con la Città Metropolitana di Venezia .

Sergio Rubini interpreta Gli occhiali di Šostakovič, un testo teatrale di Valerio Cappelli dedicato a Dmitrij Šostakovič, il grande compositore russo (1906-1975) vissuto durante il regime staliniano. Lo spettacolo sarà in scena giovedì 12 settembre alle ore 20.00 al Teatro Malibran, arricchito da musica registrata e musica dal vivo, immagini, fotografie, arredi scenici, per una produzione firmata Angelo Tumminelli per Prima International Company, Roma.

Šostakovič ha avuto i massimi onori e le maggiori umiliazioni ; i funerali da eroe di Stato, ma dormiva con la valigia accanto al letto, temendo di essere arrestato da un momento all’altro. È stato il compositore più decorato e frainteso, più premiato e minacciato. Ha dovuto fare i conti con i condizionamenti del potere, cercando di mantenere per quanto possibile la sua verità artistica. La vita di Dmitrij Šostakovič è, essa stessa, un corto circuito drammaturgico. Fu accusato dalla «Pravda» di formalismo, contravvenendo al diktat del partito comunista che chiedeva opere musicali patriottiche inneggianti al realismo socialista e all’ottimismo rivoluzionario.

Gli commissionarono la Nona Sinfonia, doveva essere la risposta sovietica alla Nona di Beethoven, e lui compose un breve irriverente componimento di venti minuti. Della sua opera Lady Macbeth, la Pravda scrisse un articolo intitolato «caos anziché musica». È la Russia di Putin moltiplicata per mille.

«Ho pensato agli occhi. Il mio primo pensiero è stato lo sguardo di Šostakovič – spiega Valerio Cappelli, autore e regista dello spettacolo – che sembra scivolare via e invece è impenetrabile, imperscrutabile, dietro le spesse lenti da miope. Sono gli occhiali di chi cerca di mettere a fuoco la verità occultata dal potere. È uno sguardo sul mondo in cui viveva. Ma c’è molto altro. I suoi occhi svelano un uomo passionale, buffo, irascibile, introverso, fragile, acido, timido, riservato, tenace. Tutto, in lui, è contraddizione. In questo spettacolo, come in un gioco di specchi, con Sergio Rubini abbiamo provato a rimontare queste note con la sua vita, attraverso le sue parole e la sua musica, ora registrata ora eseguita dal vivo, dalla polistrumentista Giovanna Famulari.

Ho scelto musiche iconiche, adatte al momento descritto nella drammaturgia. È uno spettacolo con una dimensione storica, tra parole, note, arredi scenici, fotografie, immagini. È un racconto in presa diretta, dove la voce di Šostakovič si fa filtro di un’epoca tragica. Non è un itinerario cronologico. Sono flash, basati su appunti e documentazione autentica sulla vita di un gigante della musica che ha lottato con i fantasmi del suo tempo, con cui ha dovuto venire a patti, e con i suoi fantasmi: penso a certe dichiarazioni enigmatiche sui propri lavori, mentre sulla vita personale era più riservato.

L’immaginazione si è nutrita di saggi e romanzi, oltre alle lettere che Šostakovič scrisse in maniera compulsiva e ossessiva per un cinquantennio: Šostakovič di Piero Rattalino ; Šostakovič di Franco Pulcini ; Testimonianza. Le memorie di Šostakovič raccolte e curate da Solomon Volkov (l’allievo che qui e là aggiunge il proprio punto di vista e la suggestione a volte predomina, causando qualche mal di pancia a persone vicine al compositore) ; Il rumore del tempo di Julian Barnes ; Sinfonia Leningrado di Sarah Quigley.

L’intento è quello di restituire anche il sapore dell’epoca, ma anche della Russia di oggi, in una musica che riflette il tempo drammatico in cui è stata scritta: la Settima Sinfonia, composta durante l’assedio di Leningrado, divenne un simbolo della resistenza all’invasione nazista, e nello spettacolo quelle note saranno accompagnate da immagini su quell’assalto di novecento giorni che incontrò una resistenza stoica, inaspettata; scrisse l’Ottava Sinfonia nel 1943, raccontando il cataclisma bellico. Racconta, non spiega. Šostakovič non è mai descrittivo. Eppure nell’Ottava Sinfonia si ‘vedono’ quasi i palazzi bruciare sotto i bombardamenti, e nel terzo movimento la tensione diventa parossistica.

Non c’è politica esplicita nelle sue Sinfonie, ma ne resta un alone forte in quel mare in tempesta: le purghe, la guerra civile, la guerra contro Hitler ; tantomeno si prestano a essere, con sparute eccezioni sui dorati campi di grano lavorati dai contadini, o sugli operai, cassa di risonanza delle fanfare retoriche e patriottiche».

Giunto alla sua quarantesima edizione e realizzato con il sostegno della Regione del Veneto e del Comune di Venezia, il Premio Venezia è tra i concorsi pianistici nazionali più prestigiosi, annoverando nel suo albo dei vincitori musicisti divenuti oggi tra i più importanti del panorama attuale, quali Maurizio Baglini, Giuseppe Albanese, Roberto Prosseda, Alexander Gadiiev, solo per citarne alcuni.

La finalità principale del concorso è quella di dare ai neodiplomati più preparati e promettenti l’opportunità di farsi conoscere al grande pubblico, con un aiuto concreto per muovere i primi passi nella difficile carriera di concertisti, che richiede un continuo perfezionamento artistico. Grazie al contributo di numerosi sponsor e generosi mecenati, il Premio Venezia si distingue per il significativo ammontare di premi (oltre 95.000 euro) assegnati ai cinque finalisti, nonché, per il primo classificato, la possibilità di esibirsi in quindici concerti in Italia e all’estero, di cui uno con l’Orchestra del Teatro La Fenice.

Il concorso è aperto ai pianisti di ogni nazionalità con età non superiore ai 24 anni alla data del concorso; ai titolari di un diploma di Conservatorio di Musica o di Istituto Musicale Pareggiato italiano conseguito in tutte le sessioni nell’anno accademico 2022-2023; voto minimo di diploma del vecchio ordinamento 10, oppure diploma accademico di I livello da 105 a 110.

Il calendario del concorso prevede nelle giornate di martedì 8, mercoledì 9 e giovedì 10 ottobre lo svolgimento delle prime selezioni a porte chiuse alle Sale Apollinee del Teatro La Fenice, alla sola presenza della giuria tecnica.

La seconda fase, il concerto dei concorrenti, si terrà venerdì 11 ottobre alle 9.00 e alle 15.00, sempre alle Sale Apollinee, alla presenza del pubblico e di una giuria popolare della Fondazione Amici della Fenice, che affiancherà quella tecnica.

La terza prova sarà sabato 12 ottobre alle 15.00 per la cinquina dei semifinalisti, che si esibiranno nella Sala Grande del Teatro.

Il gran finale, il concerto dei finalisti, sempre in Sala Grande si svolgerà domenica 13 ottobre alle 17.00. La novità dell’ edizione 2024 è che la finale vedrà protagonisti i tre migliori pianisti del concorso.

I componenti la giuria tecnica del Premio Venezia, scelti tra musicologi ed esecutori di chiara fama, sono Joaquin Achucarro, Luca Mosca, Carla Moreni, Filippo Gorini, Enrico Brondi e Marco Tutino.

La Giuria Popolare sarà composta da dieci soci della Fondazione Amici della Fenice.

I pianisti svolgeranno le loro prove su un pianoforte Fazioli, partner tecnico.

Infine, ancora giovedì 12 settembre, prima di recarsi al Malibran, ad ingresso libero, alle sale Apollinee alle 18 verrà presentato il volume Claudio Monteverdi, miracolosa bellezza, edito per i tipi di Zecchini nel 2023. Ne parleranno, l’autore, Giuseppe Clericetti e la prefatrice, Carla Moreni.

Claudio Monteverdi raccoglie l’eredità del Cinquecento per trasformarla nella nuova estetica concertante, è protagonista della prima stagione del melodramma, è in prima linea nella trasformazione della musica sacra attraverso elementi inauditi di modernità.

Autore e prefatrice della nuova biografia del compositore ci raccontano il suo percorso biografico e artistico, e contestualizzano la sua musica nella magica stagione di inizio Seicento: i madrigali e le sperimentazioni scandalose, la nascita dell’opera e gli sviluppi veneziani, la direzione musicale a San Marco, con uno sguardo alle altre arti (letteratura, pittura, architettura).

Carla Moreni è critica musicale del Sole24Ore, dove scrive dal 2000 sul supplemento culturale della domenica. Milanese, ha compiuto gli studi presso il Conservatorio Verdi e l’Università Statale. Insegna Poesia per musica e drammaturgia al Conservatorio di Milano. Collabora con ReteDue, il canale culturale della Radio Svizzera di lingua italiana.

Giuseppe Clericetti è autore dell’edizione critica delle composizioni per strumenti a tastiera di Andrea Gabrieli. Per l’Editore Zecchini ha pubblicato un saggio su Charles-Marie Widor, l’epistolario di Andrea Gabrieli (Cessate cantus, Premio letterario Venezia Al Graspo de Ua 2015), due studi su Camille Saint-Saëns e la biografia di Reynaldo Hahn.

 

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