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Religiosità. Sarebbe meglio una più spirituale

Religiosità. Sarebbe meglio una più spirituale

Le religioni non hanno mai fatto del bene all’umanità. Ma alcune di esse hanno fatto meno danni rispetto ad altre. Ma forse, più che di religioni diverse, bisogna parlare di interpretazioni delle religioni e delle varie fedi. Nella storia dell’uomo le religioni hanno avuto principalmente due interpretazioni.
 
La prima è un’interpretazione più spirituale, la seconda più terrena. Nel primo caso la religione serve più che altro a fondersi con lo spirito, con la natura, col creato. Si tratta di una religione per lo più personale, intima, che mira a ottenere una sorta di pace spirituale, di tranquillità. E’ il tipo di religione che, solitamente, anima le persone più colte e sensibili. Questa religiosità spinge l’uomo a comportarsi il meglio possibile da sé, e non per avere qualcosa in cambio. Solamente per rispetto di fronte alla natura e a Dio.
 
Il secondo tipo di religiosità è invece quello che contraddistingue le dottrine ufficiale delle tre grandi religioni monoteistiche, ma non solo. Ovvero una religione dottrinale, che, invece che aiutare le persone a stare bene con se stesse pretendono di imporre una morale autoreferenziale, che tutti devono rispettare, indipendentemente dalla loro fede. Questo tipo di religione, comune in quest’epoca e, più in generale, alle persone meno illuminate, è una religiosità bambina, bisognosa di premi e punizioni, che rinuncia a spiegare il mondo riempiendolo di misteri della fede, dogmi e quant’altro.
 
Questa religiosità non è sicuramente adatta per responsabilizzare le persone, anzi. Questa religiosità, più che premiare le buone azioni (anche se bisognerebbe definire quali sono le buone azioni e quali quelle cattive) premia la fede cieca, la creduloneria e, in definitiva, la sottomissione acritica a ciò che qualcuno, con voce tonante e abiti imponenti, dichiara essere l’assoluta verità. Con quali prove a sostegno di questo, non si sa.
 
Purtroppo però la cultura odierna, specialmente in Italia, ma anche in altri paesi occidentali, sta andando sempre di più in direzione della religiosità bambina. E di certo il cristianesimo e la Chiesa non incoraggiano l’altra direzione. Una religione che si limita ad essere un elenco retrò di precetti morali, fisici, sessuali, di abbigliamento e quant’altro, può essere positiva per una società moderna?
 
Spesso i credenti più ferventi e i sacerdoti accusano l’ateismo di aver indotto le persone ad essere più tristi, ad aver rinunciato al conforto religioso e dunque di essere più sensibili e vulnerabili agli inevitabili brutti momenti della vita di tutti i giorni. Ma, a parte il fatto che se una persona è diventata atea ha dovuto prima sconfiggere le imposture culturali che sin da bambino ognuno di noi riceve, bisogna anche pensare che forse tutte quelle norme essenziali per poter ottenere il biglietto per il paradiso non sono proprio quello di cui l’uomo ha bisogno per essere felice.
 
Nemmeno le verità rivelate, in fin dei conti, rendono felice l’uomo. Forse adottare una religiosità meno umana, antropomorfa, definita da precetti e regole antiche sarebbe più saggio. Abbracciare una religiosità più spirituale, serena, desiderosa di conoscere i segreti dell’universo, desiderosa di rispettare l’universo stesso per quello che è, senza premi e minacce, forse questo tipo di religiosità potrebbe sollevare maggiormente l’umanità dai propri affanni. 
 
Rinunciare a determinare il bene e il male in base a dei valori assoluti e imparare a valutare ciò di cui l’altro ha bisogno, rinunciare a imporre la propria idea, per quanto bella e ragionevole essa sia. Smettere di interpretare e cominciare a capire. Forse questa religiosità calmerebbe molti animi. Ma oggi, questa religiosità non è contemplata da chi adora Dio, quanto invece da alcuni di coloro che in Dio non credono più. Forse, dunque, che l’ateismo e lo scetticismo si riveleranno una possibile via verso la serenità dell’anima? Sempre, sia ben chiaro, che l’anima esista.

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