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Quel gruppo che perora il suicidio on line

Quel gruppo che perora il suicidio on line

Oggi in provincia di Treviso è apparsa una notizia particolare, sintomatica dei tempi in cui viviamo. Un ragazzo di diciassette anni si è iscritto, su FaceBook, a un gruppo che promuoveva il suicidio. Dopo poco tempo lo stesso ragazzo si è effettivamente tolto la vita. Subito dopo gli amici del ragazzo hanno iniziato a tempestare il suddetto gruppo di insulti e improperi. Cerchiamo di analizzare la situazione.
 
Il ragazzo che è morto evidentemente stava male con sé stesso e con gli altri. Quando una persona pensa al suicidio significa che è giù di corda, che ha tante cose che non vanno, molti problemi da risolvere e poche o nessuna prospettiva. Quando, dal pensarci, si passa alla messa in pratica di un suicidio, significa che veramente ogni speranza è persa, almeno in apparenza. Io non voglio condannare il suicidio. La vita era del ragazzo ed è giusto che ne facesse ciò che ne voleva. E’ un peccato però che abbia deciso, a soli diciassette anni, che non valeva più la pena vivere. Probabilmente erano problemi risolvibili.
 
Il ragazzo si è iscritto a questo gruppo per gioco o per lanciare un allarme? Chi ha creato quel gruppo l’ha fatto per scherzo, per goliardia o per dare una mano a chi era in difficoltà? Dando un’occhiata al gruppo del celebre social network sembra più una bambinata che una proposta seria di riflessione. Ciò però non giustifica, a mio avviso, le richieste di censura di quella pagina. Innanzitutto il fondatore del gruppo non può essere accusato di spingere al suicidio. E anche se così fosse bisogna considerare che è appunto un suicidio di cui si parla, dunque una decisione presa sulla propria pelle.
 
La giovane età dei protagonisti (il ragazzo morto, il ragazzo che ha fondato il gruppo) fa pensare che si tratti di ragazzate finite male. Di certo la pagina di FaceBook non è di buon gusto, ma non è nemmeno così criminale come gli amici del ragazzo vogliono credere. Anzi, avrebbero dovuto dare più peso a quella pagina, preoccuparsi per il loro amico. Se davvero per loro la vita è così importante, se veramente ci tenevano così tanto a quel ragazzino forse avrebbero dovuto ascoltarlo maggiormente, spesso basta quello. 
 
La reazione disperata è chiaramente giustificabile e umana, per carità. Ma osservando con freddezza si capisce come sia insensata. Un ragazzino ha creato un gruppo di cattivo gusto, per scherzo, un altro ragazzino, probabilmente depresso, l’ha forse scelto per lanciare un messaggio. Un gruppo di ragazzini ha sottovalutato il problema, credendolo una ragazzata. Ma così non è stato. Trovo assurdo però dare la colpa di tutto ciò che è successo a internet o a FaceBook. La colpa è prima di tutto del suicida, che ha fatto la sua scelta. La colpa poi è di chi gli era vicino tutti i giorni, che non ha capito quanto fosse depresso. Ma la colpa di sicuro non è della rete o di chi ha fondato un ridicolo gruppo denominato "Hai mai pensato di farla finita?". Se così fosse, allora, dovremmo credere che anche i suicidi dell’epoca pre FaceBook fossero dovuti alle chiacchere da bar?

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