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Quattro sfide per Obama

Ora che il sogno di molti americani e praticamente di tutto il mondo si e’ realizzato, cerchiamo di capire quali saranno le sfide da affrontare per il nuovo presidente americano, Barack Obama.

Le promesse di cambiamento fatte durante la campagna elettorale erano numerose e anche ambiziose, tanto da alimentare grandi aspettative da parte del popolo americano e non solo.
 
Ci sono almeno quattro questioni fondamentali da affrontare: la guerra in Iraq (e i rapporti con l’Iran), la guerra in Afghanistan, la situazione con la Russia e la crisi finanziaria mondiale. Tre di queste riguardano la politica estera, dove chi scrive aveva già espresso in un precedente articolo seri dubbi sulla vera capacita’ di Obama di sterzare la politica estera americana in una direzione diversa da quella attuale. Cerchiamo quindi di capire quali potranno essere gli ostacoli ai cambiamenti promessi.
 
La guerra in Iraq
La questione dell’Iraq e’ legata direttamente a quella con l’Iran. Spiego il perche’. Durante la campagna elettorale Obama aveva promesso di ritirare le truppe dall’Iraq senza lasciarne traccia. Se lo facesse davvero, aprirebbe la porta ad un controllo iraniano sul suo vicino tramortito. La presenza americana in Iraq tiene a distanza l’abilita’ dell’Iran di svolgere un ruolo di controllo sulle istituzioni irachene, mentre invece un ritiro totale americano permetterebbe all’Iran di utilizzare i suoi uomini in Iraq per influenzare la politica locale.
 
Inoltre, un maggiore controllo dell’Iraq da parte dell’Iran spaventerebbe a morte sia l’Israele che l’Arabia Saudita, entrambi partner strategici ed evidentemente irrinunciabili per gli USA. Sara’ difficile per Obama iniziare la sua presidenza affrontando la resistenza di una coalizione Israele-Arabia Saudita.
 
Obama puo’ quindi decidere di ritirare le truppe e subire la critica della destra americana, dell’Arabia Saudita e di Israele, oppure puo’ mantenere le truppe in Iraq per contenere l’Iran, ma a quel punto darebbe il primo grande dispiacere ai suoi elettori. Se non sta’ attento, potrebbe finire per far arrabbiare la destra e gli alleati per aver trattato con gli iraniani, mentre deludere in ugual misura i suoi sostenitori per non aver ritirato le truppe dall’Iraq.
 
La guerra in Afghanistan
Obama ha già dichiarato numerose volte che, per lui, la vera guerra da combattere e’ quella in Afghanistan. Ma per farlo non bastera’ inviarci le truppe (eventualmente) ritirate dall’Iraq, ma sara’ costretto a chiedere aiuto agli alleati europei e alla NATO. Gli europei, felicissimi per la vittoria di Obama saranno disposti a trattare con lui. Ma con l’avvento di una recessione mondiale gravissima, le risorse europee saranno indirizzate a far recuperare l’economia e non certo ad inviare altri soldati in giro per il mondo. In effetti, negli ultimi tempi abbiamo visto diversi paesi europei ritirare o ridurre il numero di truppe in Afghanistan per risparmiare soldi in vista della crisi economica. 
 
Se Obama decidesse di ritirare le truppe americane (altamente improbabile), lascerebbe la strada spianata ai Talebani per un ritorno in grande stile. Se continua la guerra con la strategia tenuta fin’ora, rischia che la sua presidenza venga giudicata per essere stato semplicemente uno dei tanti intervenuti in una guerra infinita. In alternativa potrebbe negoziare con i Talebani e cercare un accordo per la gestione condivisa dell’Afghanistan. Anche in quest’ultimo caso, le critiche sarebbero feroci da parte degli alleati, della destra guerrafondaia e anche dai suoi stessi elettori.
 
La Russia
In agosto Obama ha sposato l’orientamento della stampa internazionale nel condannare la Russia per un intervento che non aveva cercato. Ovvero, l’invasione fù della Georgia a spese della Ossezia del Sud, e la Russia interveni’ a difesa dell’Ossezia solo dopo l’invasione georgiana. A differenza di cio’ che dichiarava la stampa internazionale, i 2,000 morti di cui si parlo’, non furono georgiani uccisi dai russi, ma erano osseziani uccisi dai missili georgiani lanciati alle 00.15, quindi in piena notte, nel centro abitato della capitale Tskhinvali. Ma mostrarla in questa maniera avrebbe rovinato i piani della stampa internazionale che voleva dipingere i russi come i cattivi della situazione e favorire un adesione della Georgia nella sfera d’influenza occidentale. 
 
Poiche’ Obama condanno’ ferocemente la Russia per “l’invasione”, e’ chiaro che cerchera’ di guadagnarsi l’appoggio degli europei nell’isolare la Russia. Ma l’Europa non sara’ tanto disponibile a farsi influenzare, vista la dipendenza energetica europea dalla Russia. Soprattutto la Germania non potra’ permettersi di isolare Mosca, sia per motivi energetici, sia perche Berlino non vuole trovarsi in mezzo ad un’altra guerra fredda. L’Italia ha mostrato durante la recente crisi, grazie all’amicizia tra Berlusconni e Putin, di non essere disposta a seguire Washington in un altra crociata contro Mosca. Qui ci vorra’ la grande comunicazione di Obama per cercare una via di mezzo ad un problema molto spinoso e di difficile soluzione.
 
La crisi economica americana e mondiale
In un articolo interessante di Julian Delasantellis sull’Asia Times di oggi, si citava uno studio condotto dal controverso economista Henry Blodget, quasi inedito, in cui si prendeva in considerazione il cambiamento del rapporto fra tutto il debito nel mercato americano e il PIL negli ultimi 75 anni. Nel 1920 il rapporto era del 170%, il che significa che per ogni $1.00 di PIL, ce n’era $1.70 di debito. Durante la depressione il rapporto sali’ al 260%, per poi, nel dopo guerra, stabilizzarsi intorno al 140% fino al 1986, quando inizio’ l’impressionante impennata, culminata all’inizio di questa’anno al 356%. Come dice giustamente Delasantellis, sotto questo nuovo punto di vista cambia totalmente la storia dell’economia americana: piu’ che Reaganomics e le strategie di Clinton, la crescita americana negli ultimi 30 anni e’ derivata semplicemente dall’incremento continuo di accesso al credito per i consumatori, e a prezzi sempre piu’ bassi. Il credito facile ha permesso agli americani di riempirsi le tasche e di spendere come dei pazzi, finanziando una crescita economica continua e sostenuta.
 
Chiaramente ora che il mercato del credito si e’ inceppato, anzi, meglio dire, si e’ schiantato contro un muro a 300 all’ora, il castello e’ crollato tutto in una volta.
 
Il problema da affrontare per Obama quindi e’ come fare ripartire il mercato del credito. Blodget sostiene che per farlo ci vorranno 25 mila miliardi di dollari, cioe’, 35 volte il prestito tanto clamoroso di 700 miliardi chiesto dalla Fed al Congresso appena un mese fa. 
 
Qualche studioso notava però un aspetto paradossale: la prospettata esplosione della bolla del sistema pensionistico americano e’ stata praticamente ridimensionata dalla crisi stessa. Con le borse in caduta libera da quasi un anno, e con i valori drasticamente ridotti, le porzioni dei fondi pensione detenuti in azioni si sono svalutati a tal punto che costringera’ la maggior parte delle persone a rinviare di qualche anno il pensionamento. Questo e’ si, positivo per l’economia ma meno per le persone costrette a lavorare anni in piu’ per cose di cui non hanno colpe.
 
Anche sul fronte economico internazionale la questione e’ decisamente difficile, perchè gli europei, come gli americani del resto, si aspettano molto da Obama. In particolare, gli chiederanno di istituire una nuova Bretton Woods, cioe’ un nuovo sistema che governa la finanza globale. L’idea e’ giusta ma le probabilita’ di realizzazione sono poche. Negli USA c’e una certa resistenza a subordinare l’autorita’ finanziaria americana ad una burocrazia internazionale. Inoltre, gli americani sono molto piu’ restii ad espandere il potere governativo nell’economia rispetto agli europei e tendono ad evitare interventi che diano potere in mano allo stato. Seguire gli europei su questa strada gli farebbe inevitabilmente perdere consensi tra i suoi stessi elettori, ma se non lo fa, gli costera’ un un altro pezzo del supporto della comunita’ internazionale.
 
Obama si trovera’ quindi stretto tra il tentativo di far durare il piu’ possibile la luna di miele post-elettorale, oppure lavorare con la comunita’ internazionale sulla risoluzione di diverse delicate questioni di politica estera. In pochi casi le due cose sembrano viaggiare sullo stesso binario. Accontentando una parte si rischia di alienare l’altra. Per di piu’, c’e’ di mezzo una crisi economica di dimensioni che non si vedevano dagli anni ’20. Se si considera che per essere rieletto Obama avra’ necessariamente bisogno dell’appoggio del popolo americano, non dovrebbe essere molto difficile capire a quale capitolo dara’ la precedenza, ma la vera sfida sara’ quella di riuscire a coniugare questo bisogno con quello di ricostruire l’economia mondiale e, almeno in parte, i rapporti con la comunita’ internazionale sulle macerie lasciate in eredita’ dall’amministrazione Bush.

a cura di campidoglio.org

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