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Processo Dell’Utri. I giudici ancora in camera di consiglio

Il senatore: "Sono sereno, non ci sono prove". Il carcere? "Chi l’ha detto che è un male?" La sentenza entro lunedì.

Processo Dell'Utri. I giudici ancora in camera di consiglio

Mentre i documenti prodotti da Massimo Ciancimino, ritenuto attendibile dal pm Nino Di Matteo, entrano nel processo a Totò Cuffaro, a meno di cinque chilometri di distanza i tre giudici della seconda sezione penale della Corte d’Appello di Palermo stanno decidendo, chiusi in camera di consiglio ormai da quasi due giorni, quale sarà la storte di Marcello Dell’Utri, condannato in primo grado a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa. La sentenza è attesa tra oggi e lunedì. Uno dei giudici, che aveva un’udienza fissata proprio per lunedì prossimo, ha deciso di spostarla.

«Non mi faccio cadere sullo stomaco le assurdità che rovesciano addosso. Vivo una tranquillità assoluta», assicura il pluripregiudicato Dell’Utri. L’altro ieri, nel corso dell’ultima udienza del processo, a cui il senatore non ha assistito («Non serve a niente esserci. I giudici, se vogliono, sanno che non ci sono prove») , gli avvocati di Dell’Utri hanno concluso le loro arringhe, chiedendo l’assoluzione nel merito del loro assistito: «È un processo di soli pentiti. Le accuse all’imputato sono state fatte solo da loro e non hanno nessun riscontro». Ma il procuratore generale, nella sua replica, in cui ha parlato di «pistolotti» della difesa, ha precisato: «Si dice che questo sia il processo dei pentiti. E dove le mettiamo allora le testimonianze, i documenti, gli interrogatori, le intercettazioni? I difensori sostengono che tutte le dichiarazioni dei pentiti siano successive al 1994, successive quindi alla discesa in politica di Silvio Berlusconi e alle notizie di stampa sulle indagini a suo carico. Ma a questo punto si dovrebbe dimostrare che i pentiti hanno iniziato a collaborare prima del 1994 e a parlare di Berlusconi e dell’Utri dopo questa data, ma questo non è mai stato dimostrato».

«A Dell’Utri – ha precisato il pg – non vengono contestati i caffè, svariati, presi con il mafioso Gaetano Cinà o il pranzo con Vittorio Mangano, ma il significato di questi incontri. Se io bazzico con avvocati e magistrati ciò avviene perché questo è il mio mondo, il mio campo. Se io bazzico con mafiosi come Virga, i Graviano, Bontade, Teresi bisogna chiedersi quale sia il mio mondo. Ognuno risponda come crede, ma con razionalità». Poi, rivolto ai giudici, ha detto: «Non vi invidio, perché la decisione che siete chiamati a prendere è difficile e rappresenta un passo storico sul cammino verso la verità. La vostra decisione costituisce un gradino in più per salire quella scala che porta all’accertamento sulle verità che stanno dietro i fatti che hanno insanguinato il nostro paese. Per questo vi chiedo di affermare la responsabilità dell’imputato». Dura la replica della difesa: «Le parole del procuratore generale sono di una gravità straordinaria. Signori della Corte, voi non dovete fare la storia, ma dovete solo applicare la legge. Questa volta il pistolotto lo ha fatto il procuratore generale – ha continuato l’avvocato Sammarco – e noi faremo il ’contropistolotto’. Peggio di così non poteva fare l’accusa per condizionare il convincimento della Corte. A nessun giudice viene chiesto di fare la storia, ma di applicare la legge. E qui l’applicazione della legge non può che essere l’assoluzione dell’imputato per insussistenza delle prove».



Intanto sul web e sui giornali impazza il toto-Dell’Utri. Condannato? Assolto nel merito? Per insufficienza di prove? O prescritto come Andreotti? Dell’Utri non se ne preoccupa e nella sua intervista al Corriere della Sera attacca il pg Antonino Gatto: «Il procuratore generale è un replicante della Procura di Palermo. È il ventriloquo del procuratore aggiunto Ingroia». E in caso di condanna? «C’è il carcere. Già, il carcere. Beh, se uno s’adatta. Lo diceva De Filippo, mi pare: chi l’ha detto che è un male? Ho i miei libri. L’unica mia preoccupazione è per i famigliari, per gli amici veri. Per loro, sì, mi dispiacerebbe». Povero Silvio.


Leggi lo speciale di AgoraVox sul processo Dell’Utri

 

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