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Poco nero genera benefici a differenza di quanto sostiene Stratfor

“L'economia informale ha diminuito gli effetti della crisi". È questo il fondamentale concetto che esce da una controversa analisi sul "paradosso dell'economia italiana" (questo il titolo del report) fatta dalla Stratfor, organizzazione con base ad Austin, Texas, specializzata in studi geopolitici

L’Agenzia americana ha terminato lo studio sulla “economia informale” italiana concludendo che il sommerso è giunto nel nostro Paese ad una quota pari al 21,2% del prodotto interno lordo: “La crisi – scrivono gli analisti – ha ridotto le attività dell’economia formale e l’occupazione regolare in Italia, ma le operazioni irregolari hanno resistito. Il motivo sta soprattutto nella flessibilità che il sommerso può permettersi, in termini di salari ed orari. L’economia irregolare è una vera sfida per Roma, perché limita l’abilità del governo a ridurre il deficit e migliorare la sua situazione di bilancio. Nello stesso tempo, però, queste attività aiutano gli italiani a mitigare gli effetti della recessione, evitando i diffusi disordini sociali che abbiamo visti in altri paesi periferici dell’eurozona”. Il rapporto evidenzia, infine, come l’economia irregolare determini, a sua volta, una forte evasione fiscale che viene divisa in tre gruppi: imprese, le piccole attività di servizi legate soprattutto al turismo, e le singole famiglie. La prima evasione è la più consistente, e si concentra tra Lombardia, Piemonte e Veneto. La seconda è diffusa in tutto il paese. La terza è endemica con cittadini che denunciano 10 mila euro con case ed auto sportive.

Nulla di sorprendente se non fosse per i presunti benefici legati all’economia irregolare capaci di evitare disordini sociali. E si badi, la valutazione non è poi così peregrina, posto che proviene da un think tank americano “specializzato” proprio nell’analisi di temi geopolitici, minacce di terrorismo e che si dice essere legato ai servizi segreti di Washington. Ma se esatta l’affermazione è ancora più drammatica rispetto ad una errata analisi: una presunta pace sociale oggetto di baratto con l’impunità di odiose condotte illegali. Odiose perché la c.d. economia informale attinge forza lavoro negli strati più deboli della società. In definitiva, pare di comprendere che se fosse possibile portare il livello di evasione ai numeri tedeschi o francesi ne avremmo beneficio. Occorrerebbe poi decidere chi – per il bene del Paese ed il mantenimento dell’ordine sociale – può continuare ad evadere; magari introducendo una “quota annua”, come per l’ingresso degli extracomunitari.

Ancor prima dei profili etici e culturali le considerazioni espresse dall’agenzia americana sono gravemente sbagliate anche in termini economici. L’evasione e la corruzione in Grecia gareggiano egregiamente con quelle italiana ed è certo che i disordini sociali nel Paese ellenico non sono stati di poco momento. Ma soprattutto deve essere considerato che l’economia informale non può essere annoverata tra le forme proprie dell’economia in quanto in contrasto con la legge e con le stesse regole di Mercato. La concorrenza ha il limite della lealtà e l’adozione di comportamenti sleali non è tollerata – prima ancora che dalla legge – dallo stesso Mercato. L’economia informale genera un grave danno a quella legale che potrebbe, in assenza di condotte illegali, beneficiare di una enorme riduzione di costi (in termini di tasse ed oneri contributivi) e diventare, quindi, elemento di crescita. L’operatore economico informale (che in termini giuridici è un delinquente, pure per tendenza e professionale) non ha nessuna delle caratteristiche proprie dell’imprenditore perché se svolgesse la propria attività nel rispetto della legge condurrebbe la propria azienda al fallimento. Ironia della sorte è propria questa la giustificazione addotta: senza evasione non si sopravvive. Una simile affermazione è, oggi, ancor più drammatica in ragione dei numerosi imprenditori che si sono tolti la vita continuando a rispettare le regole. Ciò a prescindere dalle imprese che resistono, ed esistono, nella legalità. In questa prospettiva di analisi non è affatto suggestivo ritenere che la c.d. “economia informale” sottrae lavoro, risorse e profitto a coloro che nel mercato operano osservando la legge.

Questione che, infine, assume un rilevante profilo culturale. Etica e valori non sono certo acquisiti per nascita e le carenze nell’istruzione e nella formazione (non esistono fin dalle elementari seri programmi di studio di Educazione Civica) concorrono a formare il “carattere” di una società e delle sue stessi componenti. Se esiste una “economia informale” – così florida da preservarci, addirittura, da effetti ben peggiori dell’attuale crisi – esistono pure delle persone che accettano incondizionatamente l’illecito ed, anzi, ringraziano. Certamente si tratta di classi disagiate e fortemente deboli, ma ciò che importa è che assai raramente vi è una reazione di “legalità”. Tanto che se non esistesse il sistema di ritenuta alla fonte – per il quale è il datore di lavoro a provvedere direttamente al versamento delle imposte – è facile pronosticare percentuali di evasione elevatissime tra gli stessi lavoratori dipendenti. Frequentemente “l’esca” per ottenere il consenso ad una assunzione “in nero” è proprio quella di garantire una retribuzione ( altrettanto “nera” ) più elevata del netto percepibile in posizione “regolare”. 

Il settecento inglese è ricordato come l’epoca della “Old Corruption” dove privilegi, interessi illeciti, nepotismo, illegalità si replicavano in ogni componente del tessuto sociale: dal potere economico e politico, al ceto medio e fino alle classi meno abbienti. E la storia continua.

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