Pensieri freudiani e “neofreudiani” sulla guerra
“Sesso guerra morte” è un libretto molto scorrevole e stimolante pubblicato dalla www.pianobedizioni.com (2011).
“Se una metà del mondo continua a guardare l’altra metà mentre muore di fame, questa civiltà è giunta alla fine”. James Wolfenshon (ex presidente della Banca Mondiale).
In questa pubblicazione sono riuniti due saggi di Freud sul sesso e sulla guerra, e anche la famosa corrispondenza con Einstein nata su ispirazione della Società delle Nazioni. Dalla lettera che Einstein inviò a Freud, emerge che il famoso scienziato aveva già intuito i fattori che predispongono ai conflitti umani, anticipando in buona parte le risposte del fondatore della psicologia.
Naturalmente lo psicanalista preferì lasciare in secondo piano le cause materiali e quelle politiche e preferì soffermarsi su quelle psicologiche: se troppi individui non provano empatia per gli stranieri e senso di identificazione su interessi e sentimenti comuni nei confronti delle persone con culture differenti, si arriva prima o poi a una guerra. Soprattutto se queste persone scarsamente empatiche o ampiamente sociopatiche fanno parte delle classi dirigenti politiche e militari. Infatti “Nessun popolo ha mai fatto la guerra a un altro. Sono i governi che la fanno” (Woodrow Wilson, primo e unico presidente americano con un dottorato).
Purtroppo gran parte delle operazioni di prevenzione delle guerre, civili e non, falliscono perché “Quelli che preferiscono le fiabe fanno orecchi da mercante quando sentono parlare della tendenza nativa dell’uomo alla “cattiveria”, all’aggressione, alla distruzione e dunque alla crudeltà” (Tzvetan Todorov, in “La paura dei barbari. Oltre lo scontro di civiltà”, Garzanti, 2009).
I bambini seguono il motto “Sono amato, dunque sono”, ma i giovani e gli adulti, specialmente se hanno un’identità inconsistente o frammentata ne seguono un altro: “Sono odiato, dunque esisto”. Per i gruppi la ricerca di un nemico è quasi un bisogno politico. Però Freud concluse la sua corrispondenza lasciando spazio a una piccola vena ottimista, nel bel mezzo del suo solito cinismo e affermò che “tutto ciò che promuove l’evoluzione civile sta lavorando anche contro la guerra”.
Per fortuna la repulsione mentale e culturale nei confronti della guerra è cresciuta fino a limitarla notevolmente, almeno a livello di diffusione spaziale e temporale. Forse nei prossimi decenni la socializzazione planetaria realizzata dal web e l’unione emotiva realizzata dalle contaminazioni musicali e mediatiche potrebbero riuscire a mitigare ulteriormente gli effetti della tradizione parareligiosa della guerra. Infatti “tutto il conservatorismo del mondo non può opporre nemmeno una resistenza simbolica all’assalto ecologico dei nuovi media elettronici” (Marshall McLuhan).
D’altra parte molte istituzioni umane prosperano grazie all’ipocrisia, ma “una certa percentuale di civilizzazione ipocrita” è indispensabile per la perpetuazione della civiltà: “anche su una base così fragile, offre la possibilità di ottenere, in ogni nuova generazione, quella ulteriore modificazione pulsionale che è condizione per una migliore civilizzazione”.
Comunque gli europei sono abituati da secoli “a coordinare e accordare tra loro ideologie di origine differente” (Todorov), e questo fattore può aiutarli a prevenire, a negoziare e a mediare i conflitti a livello internazionale. Non è un caso se i migliori esperti di diplomazia a livello bellico sono i cittadini come la Svezia, la Svizzera e la Norvegia, nazioni che da molti decenni hanno capito quanto si rivela vantaggioso capire se stessi e gli altri per tenersi lontani dalle guerre.
In definitiva “Non è per altruismo che si impara a vedersi con lo sguardo degli altri, ma per la sua utilità” (Todorov). Così “quelli che integrano il punto di vista dell’altro con la loro prospettiva esistenziale imparano più cose su sé stessi e su gli altri” (Ulrich Beck). In Europa si è capito che, al di fuori delle guerre civili, la “causa delle guerre moderne è sempre la competizione per il mercato e il diritto di sfruttare le nazioni più arretrate” (Kropotkin). Il miracolo europeo è stato quello di aver trasformato dei tradizionali nemici nei migliori partner.
Adam Smith affermò che “ogni nazione non dovrebbe solo cercare di primeggiare… ma, per amore dell’umanità dovrebbe promuovere, anziché ostacolare, l’eccellenza delle nazioni vicine” (“Teoria dei sentimenti morali”, Bur, 1995-2001). Una nazione povera non può comprare dai paesi ricchi e ogni innovazione nazionale contribuisce, col tempo, al miglioramento delle condizioni dei cittadini di tutti i paesi. Bisogna quindi rafforzare il sentimento di comunità globale per sublimare le rivalità culturali e le vecchie idee politiche nazionaliste più distruttive. Per fare questo occorrono più consiglieri diplomatici, più progetti scolastici e meno burocrati della vecchia economia predatoria.
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