• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Scienza e Tecnologia > Obama.net; primo esempio di leadership globale partecipativa

Obama.net; primo esempio di leadership globale partecipativa

Histoire d’O. Ricostruire la storia del successo di Obama nelle presidenziale americane per capire cosa e come ha permesso ad unpo sconosciuto senatore di diventare il presidente degli Stati Uniti.

Siamo ovviamente ancora nella scia della suggestione del fattore O, o come Obama.
La vittoria del senatore meticcio dell’Illinois emana ancora incredulità ed entusiasmo. Soprattutto in una fase segnata dall’incertezza e d all’insicurezza non compensate dal calore di nessuna leadership credibile.

Questo è il primo punto che vogliamo segnalare: il deficit di carisma nel mondo.
C’è un eccesso di elites, ma mancano leader.

L’affacciarsi sulla scena di un personaggio di grande suggestione, dalla biografia irreprensibile e autoaffabulante, indubitabilmente coagula l’ansia di appartenenza che serpeggia nel mondo.

Obama si propone come il primo leader globale moderno. Lo fa, inconsapevolmente o meno lo vedremo, occupando uno spazio crescente che si sta generando sullo scacchiere mondiale, trovandosi di fatto a rispondere ad una domanda globale di rappresentanza e, perché no, di speranza. In termine di marketing, diciamolo, il prodotto Obama sul mercato politico coglie l’onda montante del suo potenziale consumo.

Ma Obama riesce ad interpretare questo inedito ruolo di leader solitario del pianeta, anche, ed è questo lo stimolo che ci porta a proporre un lavoro specialistico nel campo della comunicazione, perché ha adottato ed elaborato, questo in maniera sicuramente consapevole, un modello di comunicazione transnazionale, in grado di parlare, simultaneamente ad una platea planetaria.

Non solo di ottenere l’attenzione di un vastissimo pubblico che travalica i confini degli Usa, ma di coinvolgere, di sollecitare, di compromettere nell’adesione, un popolo esteso e multinazionale che attraverso il consenso ad Obama scopre di avere interessi e culture simili.

Obama è oggi il primo leader globale perché si identifica con il primo media globale: il social network.

Infatti non è la della rete la sua discriminante, la sua peculiarità.

Già Bill Clinton, nel 94, mise online i servizi della Casa Bianca; e nelle due precedenti elezioni presidenziali americani, la rete aveva fatto irruzione nel dibattito politico portando Al Gore a sfiorare la vittoria e il senatore Eduards a rimontare un gap che pareva mortale per la sua figura di contendente alle primarie contro Kerry.

Obama è andato oltre l’uso della rete come scorciatoia: ha adottato il web 2.0 come base sociale, investendolo della missione di dare forma e contenuto ad un progetto politico diretto a tutto il mondo.

Questa è la nostra tesi di partenza.

E attorno a questa tesi vogliamo organizzare una ricerca, un’inchiesta si sarebbe detto una volta, nell’ambito della cattedra di Teoria e tecnica dei nuovi media dell’Università di Perugia. Una ricerca che adotti lo stesso metodo e lo stesso linguaggio che vuole studiare: il social network partecipativo.

Per questo, ora stiamo illustrando la nostra proposta: vorremmo sollecitare una partecipazione di quanti, a vario titolo, con vari obbiettivi, e vari strumenti, vogliano corrispondere con il nostro gruppo per mettere a fuoco questo fattore O, per raccontare questa Histoire d’O.

Naturalmente, proprio perché abbiamo ben compreso l’insegnamento del fenomeno Obama, sappiamo che il coinvolgimento di soggetti nella rete, la costruzione di un social network tematico, è possibile solo disponendosi ad accettare di mettere in discussione tutto, a cominciare dalle tesi di partenza e dal metodo di lavoro.
Ci proponiamo dunque di aprire una prima discussione proprio sulla tesi di partenza che qui cercheremo di illustrare nel mondo più chiaro e sintetico, insieme al metodo di lavoro che abbiamo identificato, ma non sposato.

Il punto di partenza, lo abbiamo dichiarato in apertura, riguarda l’identificazione del fenomeno Obama come primo esempio di una leadership mondiale a carattere partecipativo.

Il livello di coinvolgimento e di attenzione che l’affermarsi della candidatura e poi la vittoria elettorale del nuovo presidente degli Stati Uniti, hanno provocato va al di là dello stupore e della simpatia che il personaggio Obama induce.

Vorremmo allora capire quali percorsi ha seguito l’attenzione che si è concentrata sul quasi sconosciuto senatore mulatto. Vorremmo anche indagare la natura di quel consenso che lo ha circondato, che in alcune aree sociali ha raggiunto livelli plebiscitari: il voto di Washington –il 95%- ha precedenti solo in consultazioni della Corea del Nord o in repubbliche centro asiatiche ex sovietiche. Un consenso che gli è venuto, in particolare, dalle aree più critiche, ma soprattutto più svincolate da comportamenti collettivi, quali appunto il popolo della rete.

Questo è il secondo elemento che proponiamo all’attenzione dei ricercatori: qual è stata la natura del rapporto fra Obama e il mondo di Internet?

Quali modelli e comportamenti hanno portato 28 milioni di giovani professionisti della comunicazione online a riconoscere la sua candidatura come un valore condiviso?
Qui si tratta di andare al di là della banale apparenza. Certo Obama ha costruito un dream team della comunicazione, con i principali guru della rete: dal CE0 di Google Schmitd, all’architetto di Facebook Chris Huges. Certo che il suo sito mybarackobama.com, progettato dal fondatore di Netscape Marc Andreesen, è sicuramente il più avanzato esempio di comunità politica online. Certo che la sua potenza di raccolta di contributi finanziari in open sorse ha sbaragliato gli avversari. Certo che alla fine della campagna elettorale si conteranno ben 500 milioni di citazione in blogs e forum del neo presidente.

Ora noi vogliamo, per usare una metafora tipica della rete, indagare non l’ultimo, ma il primo miglio della sua marcia.

Vogliamo risalire ad almeno 4 anni fa, quando terminato il suo ispirato intervento alla convention democratica del 2004 che incoronava John Kerry candidato democratico a sfidare Bush, si mise all’opera per costruire la sua candidatura. In quel momento si aprì uno straordinario cantiere politico e culturale.



Non tutto era chiaro fin dal principio. Non tutti i temi che oggi riecheggiano nelle sue promesse politiche erano allora presenti nella sua testa.

Soprattutto il senatore allora era solo. Con un manipolo di fedelissimi, e l’incrollabile fiducia della moglie Michelle. Vorremmo capire come iniziò la grande marcia. Come un debuttante, estraneo all’Inner circle della politica di vertice americana, possa essere sopravvissuto alla selezione naturale, ed essersi irrobustito e attrezzato fino a poter sfidare il cielo. Vorremmo, in particolare, riuscire a documentare, e questo è il terzo punto della nostra scaletta propositiva, capire quanto e come il mondo della rete ha interferito nella progettualità del candidato presidente.

Vorremmo cioè misurare il livello di impatto che la galassia delle comunità che ha preso forma attorno al sito mybarackobama.net ha avuto sull’impianto programmatico del vincitore.

Si tratta per questo di analizzare i data base dei siti dove sono depositati i dibattiti e le discussioni di questi anni. Si tratta di rieditare i primi documenti, le prime dichiarazioni del team di Obama e confrontarle con quelle attuali.

Nell’eventuale spread che troveremo è annidato il segreto del successo del Presidente: proporre un patto inedito alla rete, dove l’attenzione e il consenso si scambiano con la partecipazione e l’accesso alle decisioni.

In questo passaggio sta la novità del caso Obama: non un nuovo mago della comunicazione, un Reagan o un Berlusconi online, quanto il primo vero leader politico che assume la rete come linguaggio e contenuto e non come megafono.

Giustamente nel suo lucido libro su Obama: la politica nell’era di FaceBook , Giuliano da Empoli spiega come il senatore di Chicago rispetto agli altri candidati alle presidenziali mostri la stessa differenza che la Apple ha rispetto alla General Motors, paragone quanto mai esplicito in questi tempi grami per la multinazionale dell’auto.
Dunque Obama non è solo un virtuoso della rete, ma è il primo che ne assume la rappresentanza politica, legando al successo di questo mondo la possibilità per gli Usa di salvaguardare il primato anche nel XXI secolo.

Con il coordinamento del professor Rocco Pellegrini spingeremo il nostro gruppo di ricercatori a ricostruire la tracciabilità delle elaborazione del gruppo Obama, censendo i siti e le comunità che ne hanno via via ospitato il tam tam lanciato sulla rete.

Dovremo per questo allestire un sistema di analisi e ricerca specifico, che si concentri sui focus group, sui blogs che in questi anni hanno accompagnato l’emergere e l’affermazione del brand politico Barack Obama.

All’origine di questo tam tam partecipativo, a mio parere, troveremo, e non potrà che essere così ancora per molto tempo nella politica americana, lo spartiacque dell’11 settembre 2001.

Solo che, ed è questo il quarto punto del ragionamento che vi proponiamo, a differenza dell’approccio dell’amministrazione Bush, e anche di buona parte del partito democratico, Obama parte dall’esclusiva considerazione della sicurezza nazionale, quanto cerca di comprendere le ragioni di una subalternità culturale della superpotenza americana rispetto all’offensiva del fronte islamico. Una subalternità che misura in Iraq ed in Afganistan, ma anche nella reazione al terrorismo domestico.
L’epicentro del suo ragionamento si forma, mi pare, nel luglio del 2006, quando affiora sui media americani la riflessione sui nuovi equilibri in medio oriente. In particolare il 26 luglio, il New York Times pubblica un’approfondita analysis sull’ultimo conflitto in Libano, e si interroga sul perché quella contro gli Hezbollah rischia di essere la prima guerra che Israele non riesce a vincere.

Il dibattito si allarga a tutti i principali Think Tank di entrambi gli schieramenti politici. Al centro della contesa la constatazione che quella in corso in Libano è il primo conflitto che vede contrapporsi ad uno stato-nazione un network, ossia un sistema flessibile, liquido direbbe Bauman, basato non sulla difesa di un territorio ma sull’accumulo di tecnologie e saperi da parte di una struttura a rete, dove non è identificabile una testa, il centro da colpire.

Come spiega John Arguilla, uno dei più accreditati analisti della Naval post Graduate School, nonché consulente del pentagono, ed oggi uno dei consiglieri del neo presidente, "Hezbollah accede a saperi e competenze tramite la rete. Così la potenza militare viene disintermediata dagli stati nazionali".

Il networking diventa così una categoria geo politica, anzi diventa una potenza, tanto che lo stesso Arguilla conclude : "oggi il networking è una minaccia per il potere americano". E’ questo uno snodo strategico che spinge il team di Obama ad approfondire il tema. P.W.Singer del Brooking Istituto, il piccolo ma prestigioso centro di ricerca che da subito si è affiancato alla squadra di Obama, sintetizza così lo scenario che si presenta all’aspirante presidente: Siamo in una situazione dove gruppi privati possono disporre di grandi saperi e poteri tecnologici prima riservati agli stati. Ed oggi non abbiamo risposte adeguate per questo nuovo conflitto.
Probabilmente questa è la considerazione che spinge Obama ad immergersi completamente nella rete. Non solo per poter accumulare nuovi saperi e competenze, ma anche per assumere moduli e culture che lo mettano in sintonia con l’opionione pubblica globale. Per battere un networking, sostiene Singer, ci vuole un altro networking. E Obama si fa networking.

Anzi di più: per battere un networking bisogna interpretare al meglio la nuova geometria del cloud computing, del nuovo modello a rete che distribuisce spazi e ruoli per accumulare più potenza di calcolo, senza irrigidire statuti proprietari delle risorse.
Obama si candida a diventare il presidente del cloud computing, per cui, come dice Castells, il potere delle tecnologie diventano lo strumento per ideare le nuove tecnologie del potere. E qui si intravede un potenziale elemento di frizione nel sistema Obama, nella cultura del potere dolce. Se infatti, dovessimo verificare che davvero Obama ha costruito il suo eccezzionalismo attorno ad una nuova lettura del valore della rete come forma e come contenuto del programma politico, dovremo allora chiederci se la logica del social network ,che nello scambio attenzione-partecipazione si è dimostrata formidabile nella fase di costruzione del consenso e di sostegno adf una leadership che rappresenti il popolo della rete, possa funzionare anche quando si tratta di condividere decisioni strategiche, di interferire sullo studio ovale.

Insomma se mybarackobama.com è stato lo strumento di una strepitosa cavalcata elettorale il sito change.gov, allestito da Obama a sole 24 ore dalla sua elezione per raccogliere i suggerimenti e le discussioni sulle azioni di governo, possa realmente essere un luogo di codecisione, di cogestione del centro di potere più importante del pianeta.

Questo vorremmo monitorare, a partire però dalla decifrazione concreta del fenomeno Obama, e dalla analisi di situazioni e circostanze materiali verificabili. Così come vorremmo comprendere ed analizzare il modo con cui sono state usate, nella fase della mobilitazione elettorale, diciamo dunque negli ultimi 12 mesi, le piattaforme mobili. Obama infatti è stato anche il leader di Twitter e dell’iPhone, come strumento per aggregare, mobilitare e guidare le sue smart mobs di sostenitori.

Cercheremo di ricostruire questo processo e di capire che livello di coinvolgimento e condivisione è stato dato in pegno.

Oltre che tipo di struttura è stata allestita per gestire una ramificazione così capillare di rapporti individuali. Ci proponiamo di fare questo lavoro nel corso dei prossimi tre mesi, in piena trasparenza, rendendo immediatamente accessibili i nostri dati e le nostre elaborazione tramite i siti mediasenzamediatori.org e agoravox.it.

Attendiamo ora il primo eco, per capire se siamo su una strada giusta.
Facendo come ha fatto il nostro candidato: ascoltando e interagendo.
Buon lavoro a voi ed a noi.

Commenti all'articolo

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares