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#NoFreeJobs. La nuova generazione lancia un allarme: il lavoro non retribuito svaluta l’ingegno!

#NoFreeJobs è un’iniziativa di protesta nata attraverso twitter e facebook che mira a sensibilizzare la società su alcuni fattori logoranti e sfiancanti per i nuovi giovani già ribattezzati sotto l’appellativo “Generazione Sottocosto”: stagismo reiterato, apprendistato infinito, gavetta perenne, volontariato forzato, capacità e risorse sfruttate e sottopagate rendono un pessimo servizio alla qualità del lavoro e alla passione verso le attività svolte. Così il team che ha lanciato in rete l’iniziativa cerca di fare arrivare il messaggio alle italiche aziende e alla società: “Lavorare gratis non porta a niente!”. Lo fa raccogliendo le segnalazioni riguardanti proposte indecenti di lavoro gratuito o sottopagato sviluppato attraverso un sistema demotivante che produce disagio, come emerge anche dalla ricerca sulla percezione di insicurezza nel mondo del lavoro e precariato femminile realizzata all’interno dell’Università La Sapienza: durante le interviste svolte è venuto fuori – infatti - che l’attuale condizione lavorativa fa emergere in modo significativo tutti i lati negativi che si possono riassumere in instabilità, insicurezza e indefinizione professionale. La precarietà lavorativa, quando non è frutto di una libera scelta, comporta un costo piuttosto alto da pagare sul piano psicologico e sociale e i giovani non ci stanno. Il corposo passaparola è così partito al grido di “No Free Jobs!", anche attraverso la trasmissione di Silvia Vianello intitolata “Smart&App” (della quale abbiamo parlato qui) e noi di AgoraVox, visto che l’iniziativa sta raggiungendo una sua consistente diffusione, ve ne diamo notizia ospitando all’interno delle nostre pagine Cristina Simone.

Salve Cristina, com’è nata l’idea di #Nofreejobs?

L'idea è partita da me, dopo aver letto un post sul blog di Paolo Ratto che diceva: “Gratis non si lavora. Si ozia”. Ho pensato subito che dovevo twittarlo, anche perché il giorno prima avevo letto un articolo su WikiCulture di un annuncio di lavoro per cui pagavano 0,50€ a post ed ero rimasta alquanto scioccata. Ho pensato che potesse diventare un trend topic su twitter e per questo ho riflettuto un attimo su che hashtag usare. Non lo volevo troppo lungo e volevo che richiamasse l'attenzione dei giovani, precari o disoccupati, ma non solo. Volevo un hashtag incisivo e che venisse subito compreso da tutti. ln italiano mi venivano troppo lunghi, del tipo #nonlavorogratis, così sono passata all'inglese e suonava bene #nofreejobs. Aveva tutti gli elementi giusti: corto e dal contenuto facilmente intuibile. Ho così lanciato il 1 tweet, verso le 12.30. Sono tornata sul post di Paolo Ratto e lì ho chiesto a lui ed altri amici social addicted di aiutarmi per promuovere l'idea. Ho fatto la stessa cosa su twitter. L'idea è piaciuta, l'hashtag si è diffuso rapidamente e dopo qualche ora era già tra i TT di twitter. L'idea iniziale era quella di ricevere da tutti i fan e follower le proposte di lavoro indecente che avevano ricevuto.

Da subito abbiamo capito che l'idea stava spopolando in rete. Abbiamo successivamente aperto account twitter e fan page. In serata è stato ripreso da Linkiesta e TgCom, in questo modo è partita la viralità dell’iniziativa.

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Facciamo un identikit di chi ha lanciato l’idea: chi c’è dietro #NoFreeJobs e di cosa si occupa?

Cristina Simone, Nadia Plasti, Simone Cinelli, Luigi Ferrara, Dario Ciracì, Maria Pia De Marzo. Siamo tutti ragazzi e ragazze che lavorano tramite il web: ci occupiamo di Social Media, Digital Pr, abbiamo blog e siamo free-lance di web marketing. Ci conosciamo sul web e, con alcuni, non ci siamo mai visti di persona, ma capita che ci sentiamo giornalmente via facebook o twitter. Crediamo nelle potenzialità della rete e dei social network e il caso di nofreejobs è testimonianza di come questi possano essere strumenti utili a supporto di una giusta causa.

Si parla di dequalificazione del lavoro professionale basato sull’intelletto, sulla conoscenza e sulle competenze creative ma anche di svalutazione dell’impegno. Cosa intendete?

Il nostro obiettivo è proprio quello di sensibilizzare aziende e utenti in cerca di lavoro sul fatto che lavorare gratis non porta a niente. Vogliamo far capire ai giovani che fino a quando si accetteranno proposte di lavoro gratuite, le aziende continueranno a fare offerte di questo tipo, appellandosi alla formazione. Per questo vogliamo farci promotori di un'iniziativa di cambiamento che sia in primis culturale e vogliamo trasformarci in un movimento 'positivo'. Non desideriamo essere solo una protesta, ma un’iniziativa di cambiamento. 

L’abitudine ad appoggiarsi all’apprendistato e agli stage in modo esagerato è scaturita soprattutto da determinate scelte politiche, potrebbe essere un passo avanti riformare il sistema lavoro e ridare un’identità ai sindacati?

Non vogliamo “politicizzarci” come movimento. Sicuramente siamo in un momento di profondo cambiamento, anche, a livello politico con la nomina del nuovo Governo e dei nuovi Ministri. Quello che sarebbe opportuno avere è una maggior tutela nei confronti degli stage e un maggior controllo delle aziende e dei contratti che applicano. In Germania, ad esempio, hanno delle linee guida che tutelano i rapporti tra stage e aziende. Avevamo scritto su twitter all’ex-ministro Sacconi chiedendo per quale motivo non ci fossero anche in Italia, ma non abbiamo ricevuto nessuna risposta. 

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In ogni caso l’iniziativa nasce dall’esigenza di rendere noto un disagio che ha delle ripercussioni sociali. Come quelle emerse dalla banca dati ministeriale dei mercati del lavoro in merito alla demotivazione della generazione NEET, acronimo di Not Employment, Education and Training, nella quale rientrano più di 2 milioni di giovani compresi tra i 15 e i 29 anni che sono disillusi, depressi, insoddisfatti: non studiano, non lavorano, non frequentano corsi e non sono in cerca di alcuna occupazione. Ritenete che anche questa possa essere una conseguenza di un sistema che si è deteriorato?

L’iniziativa è nata sul web e all’inizio voleva essere solo una protesta per comunicare le proposte di lavoro indecenti ricevute, poi si è trasformata in un vero e proprio movimento di sensibilizzazione. Ci rendiamo conto che in Italia il problema è molto esteso e, soprattutto, ha fattori culturali. Da sempre si ritiene lo stagista una persona a cui far fare solo fotocopie, e solo dopo aver fatto anni di apprendistato è “degno” di lavorare. Così come si ritiene che chi lavora con il web fa un lavoro divertente e per questo non deve essere pagato. Ecco bisogna partire dal cambiare queste concezioni per riuscire a cambiare davvero le cose.

Prossimi appuntamenti che vi riguardano?

Gli appuntamenti sono in rete: da qualche giorno siamo on-line con il sito web, per ora è solo una landing page, ma è in costruzione. Il sito conterrà un blog multi-autore, la possibilità di pubblicare annunci che non siano "free jobs", di scaricare un badge da mettere nel proprio sito e tante altre cose. Stiamo, anche, lavorando sulla geolocalizzazione, sia lato mobile che web. Giovedì 17 siamo stati presenti negli studi di La3, nel programma Smart&App, ecco il video http://youtu.be/umfdIV73Lsg 

Dove trovarvi sul web oltre che sul sito ufficiale? 

Siamo su facebook, su Twitter, su Youtube.

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