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Neapolis Festival: due giorni di polvere, musica e divertimento

C'era una volta il Neapolis festival. E c'era un deserto di sassolini bianchi scintillanti. E c'erano persone, a petto nudo che giocavano a pallone. Ma soprattutto c'era la musica.

Anche quest'anno il Neapolis ha portato nella nostra tormentata regione un bel po' di buona musica. Chi non ha mai provato (e dico anche solo provato) ad organizzare un qualunque evento al sud, non può nemmeno immaginare le difficoltà che questa terra comporta. Moltiplica per mille i classici problemi d'organizzazione, aggiungici un enorme componente di “forse”, “meglio di no”, “uà è troppo” e mescola tutto insieme ad un'enorme dose di diffidenza e disfattismo e sarai ancora lontano dalla ricetta base per affrontare l'organizzazione di un concerto (figuriamoci un festival) al sud. Chi è lontano da queste dinamiche non sa. Chi vive in questa terra potrebbe immaginare. Ma probabilmente hanno tutti una scarsa immaginazione. Per fortuna c'è chi si sobbarca ogni anno tutto questo e riesce ad organizzare una due giorni di buona musica. Di musica, sì. Perché è la musica la nostra malattia. Ed è di musica che si dovrebbe parlare. Procediamo, quindi.

Appena entrata nell'area dell'Acciaieria sonora, lo scenario post-industriale (ma anche un po' post-apocalittico) dell'ex Italsider, mi accoglie con un torrido e insopportabile calore, ma l'essere un'assidua frequentatrice di festival europei mi ha insegnato ad affrontare qualunque tipo di clima.

Il sole è ancora alto quando gli Architecture in Helsinki salgono sul palco. Sono allegri, spontanei e divertenti. Non si può star fermi, tocca ballare. Dietro le quinte riusciamo a fare quatto chiacchiere con Kellie e Cameron (i due cantanti). Sono adorabili e solari anche di persona.

Chiediamo il perché del nome. "Sono solo due parole che stanno bene insieme, con una piccola parola in mezzo" ci risponde Cameron. E cosa vi piace ascoltare? "Amiamo molto la musica elettronica, ci piacciono molto le influenze della musica europea, i paesi scandinavi stanno producendo molta bella musica elettronica negli ultimi anni". Poi cominciamo a parlare di musica italiana. "La musica pop italiana arriva in Australia". E come mai, nonostante abbiamo fantastici cantautori e band con canzoni piene di emozioni, la nostra musica non riesce a produrre nulla di così allegro, spensierato e ballabile? "Mmmh... probabilmente è anche a causa della politica (ndr. politics nel senso inglese riguarda i rapporti di forza), - dice Kellie - l'Australia è un paese libero, non avvertiamo forti condizionamenti dall'altro e questo forse ci rende più spensierati", "Siamo la Lucky Country" aggiunge Cameron.

E nel live la loro spensieratezza viene fuori. Come stare fermi durante Heart it races, o con la più recente Conctat High (dall'ultimo album) dal beat spiccatamente '80s.

Tutt'altro sound è quello dei Mogwai. La band di Glasgow sale sul palco quando tutt'intorno è oramai scesa la sera. Lo scenario è perfetto. Il concerto dei Mogwai è una continua onda sonora. Devi chiudere gli occhi e lasciarti cullare. E' puro suono, null'altro. Nessuno effetto scenico, tutto è immobile, plastico e denso. I suoni invece sono fluidi, morbidi e vibrano nel cuore.

Credo che un'alta percentuale del pubblico fosse lì per loro. E' vero, i Mogwai tornano spesso in Italia, ma è tutta un'altra cosa non dover sobbarcarsi una trasferta per ascoltarli. How to be a werewolf, l'emozionantissima Rano Pano dall'ultimo album “Hard core will never die, but you will”, Hunted by a freak e Friend of the night alcuni dei brani, ma come dicevo non è possibile concepire il live di Mogwai come un insieme di pezzi suonati dai diversi album. E' tutto un flusso unico di note e distorsioni impossibili da ignorare.

La prima sera si conclude con un devastante momento di Amarcord. Gli Skunk Anansie sono una delle band che amavo di più da adolescente. Urlare a pieni polmoni le canzoni che dio-sa-solo-come ancora ricordo alla perfezione è stato liberatorio (un po' malinconico e forse pure patetico). Charlie big potato, One hundred ways, Secretly, Little baby swastikkka, Weak as I am – durante la quale Skin cammina letteralmente sul pubblico -, sono le canzoni che mi riportano a quando avevo i capelli rasati rossi e pensavo che con il mio attivismo avrei cambiato il mondo.

Skin era ovviamente bellissima con la sua tutina luccicante e la sua armatura dorata. Tanti, molti cantano con gli occhi innamorati i singoli più recenti (Because of you e la nuovissima You saved me).

Skin (Skunk Anansie)

E il primo giorno si conclude con una ventata di giovinezza.

Il giorno due comincia con maggior lentezza. E' domenica, tocca digerire il pranzo della nonna e i Crocodiles suonano poco dopo l'ora dell'aperitivo. Non conosco bene questa ennesima band californiana (San Diego per la precisione) ma sono curiosissima di vederli sul palco. Non c'è che dire: sono giovani e belli. Il look rockabilly è perfetto. Le movenze pure. Skinny jeans, giacca di 2 taglie più piccole e gel. Tanto gel. E poi sono così rock & roll con qualche puntina garage. Hanno vinto. Li raggiungo dietro al palco per fare due chiacchiere.

Si parla di tour. "Il pubblico europeo è decisamente meglio di quello americano. Sono più amichevoli, soprattutto gli spagnoli, i polacchi e ovviamente gli italiani. Gli inglesi? Can suck". Brandon, il front man non ha peli sulla lingua - neanche saliva a guardare gli enormi sputi che ha lanciato sul palco durante il live. "La California è un posto strano, sole, surf, gente" questa è la ricetta del sound californiano, anche se Brandon ci dice che si è trasferito a New York, dove registreranno il prossimo album "avrei preferito qualche meta più esotica, tipo il Messico". Ovviamente ci dice che il nuovo album sarà amazing, il migliore, ancora più smart. Il live dei Crocodiles si discosta parecchio dall'album, il quale suona più elettronico... "Si è vero, il suono live è più duro, più sporco e lo sarà ancora di più nel prossimo album". E il rapporto con la musica italiana? "Beh siamo molto amici con gli Smart Cops (ndr. Band garage post-punk veneziana che esce in Italia per La Tempesta)". Poi la conversazione si sposta su temi più informali: amore (Brandon sta con la cantante delle Dum dum girls), amicizia (il chitarrista dei Crocodiles è anche il suo miglior amico con cui compone tutte le canzoni), un abbraccio e si corre ad ascoltare la prossima band.

I Battles hanno appena iniziato quando arrivo davanti al palco. La scaletta è come al solito tutta concentrata sull'ultimo album Gloss drop. C'è il brano con Kazu dei Blonde Redhead (Sweetie and Shag) e quello con Mattias Aguayo (Ice Cream). Ma a sorpresa dal nulla parte Atlas. Capolavoro del vecchio album Mirrored. E' la quarta volta che li vedo quest'anno. Decisamente troppo come mi fa notare lo stesso Ian Williams. E' con lui che mi fermo a parlare più volte nell'arco della serata, è amichevole, si diverte ad ascoltare i nostri deliri, si presta a foto e abbracci. Durante l'intervista ci raggiunge anche il chitarrista/bassista David. Non è stato facile abituarmi alla nuova formazione, senza Tyondai Braxton, i primi live di quest'anno mi sono sembrati quasi noiosi ma poi l'affiatamento e la vita sul palco hanno permesso di perfezionare lo show. "E' un modo del tutto nuovo di lavorare, senza cantante, ma è divertente" dice Ian. E' difficile ricreare lo stesso sound del disco dal vivo? "Secondo me è importante celebrare la differenza che c'è tra lo show e il disco". Dopo una piccola parentesi a parlare del cambio di look di Ian (il quale si è fatto crescere dei fantastici baffi alla Hulk Hogan) il tono diventa più informale ed è quasi impossibile ricevere delle risposte serie. Com'è il nuovo album? Qual è la differenza col vecchio? "E' più sexy". Ok passiamo oltre. Un colpo al cuore è sentire che anche Ian fa parte di quella folta schiera di musicisti che dice di non avere tempo per alscoltare musica (altra musica), impossibile è definire anche le loro influenze, ci elenca una serie di nomi di cui dice "non penso che non siamo influenzati da... Steve Rush, Caetano Veloso, la musica dei '90s ecc".

Ian Williams (Battles)

Quando parliamo di musica italiana ci tira fuori i grandi compositori: Bellini, Morricone "in ogni nostro brano c'è una parte che chiamiamo la Morricone's part".

La chiacchierata si dilunga, non c'è modo di fermarci, e intanto sul palco cominciano gli Hercules and Love affair. Sono ancora dietro al palco quando sento le note di Blind il singolone che ha spopolato in giro per il mondo. Faccio appena in tempo per dare uno sguardo alla band. Sono un mix casuale di persone. Sembra che si siano incontrate pochi minuti prima in una strada di periferia male illuminata. Purtroppo non posso dare un mio giudizio sul live che ho visto per gli ultimi cinque minuti. I pareri sono discordanti, c'è chi è piacevolmente sorpreso e dice che sono molto meglio dal vivo. E chi invece è deluso e un po' annoiato.

Karl Hyde (Underworld)

La notte è oramai arrivata e con lei l'ora degli Underworld. E' evidente come tutti siano lì per loro. Salgono sul palco. I due in bianco, in tenuta da manicomio, e con un tutore al seguito, vestito di nero. S'alza il fumo. Partono i visual. E il resto è polvere. Elettropop funky, spiccatamente dance, gli Underworld sono stati per molti la colonna sonora di un'adolescenza (o giovinezza) a base di club e follia. Karl Hyde si muove come un tarantolato. Le braccia ciondolanti il corpo piccolo e saltellante. Il live non poteva che concludersi con il brano che li ha resi famosi al grande pubblico, Born slippy, storica colonna sonora del film Trainspotting.

C'era una volta il Neapolis, e speriamo ci sarà ancora.

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