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 Home page > Tribuna Libera > Moni Ovadia sbatte la porta della comunità ebraica

Moni Ovadia sbatte la porta della comunità ebraica

Moni Ovadia ha dichiarato in maniera piuttosto altisonante che se ne andrà dalla comunità ebraica milanese perché - si deduce dal titolo dell’articolo di Silvia Truzzi su Il Fatto Quotidiano - “fa propaganda a Israele”.

La cosa in sé sarebbe legittima, fino a prova contraria. Qualsiasi comunità è libera di decidere a maggioranza se dare un semplice appoggio ai suoi referenti “esteri” o se condividere acriticamente le loro politiche. E con ogni probabilità anche in questa, come in ogni comunità, esisterà una minoranza in disaccordo (mi pare che Jcall - il movimento ebraico internazionale di appoggio ad Israele, ma critico con le politiche di Netanyahu - si sia visto anche a Milano).

Ed è altrettanto legittimo naturalmente che una persona qualsiasi, libero cittadino di questo paese, aderisca ad una “comunità” che è pur sempre una semplice associazione volontaria di altri liberi cittadini fra loro accomunati da interessi culturali, sociali, politici o religiosi, oppure che se ne vada sbattendo la porta.

Ma, leggendo l’articolo, una verità sembra emergere fin dalle prime righe: il problema è che al festival della cultura ebraica organizzata nella città lombarda - Jewish and the city - Ovadia non ce l’hanno voluto. Per la verità non è detto che qualcuno l’abbia nemmeno proposto, ma - dice lui - “qualcuno ha posto il veto alla mia presenza e gli altri hanno ceduto”.

E qui verrebbe fuori un secondo livello di verità: perché Ovadia oggi sarebbe stato boicottato? (Ma non in altre occasioni organizzate pur sempre da comunità ebraiche, a cui è stato invitato nonostante le sue posizioni politiche fossero ben note).

Perché si è da sempre opposto alle politiche del governo israeliano (non solo il governo Netanyahu, ma anche dei precedenti) verso i palestinesi, dice. Quindi - questa è la sua lettura degli avvenimenti - sarebbe stato escluso dal festival per via delle sue opinioni politiche, controcorrente (sempre secondo lui) rispetto al mondo ebraico milanese.

Quindi non di lesa maestà artistica si tratta, ma di scelte politiche. Boicottaggio che ha come obiettivo quello di tacitare una voce critica. Accusa pesante.

È vero che l’artista di origini bulgare - acceso oppositore del nazionalismo ebraico - non riscuote grande simpatie in una comunità, sia di destra che di sinistra, che in Israele vede comunque la realizzazione di quel “focolare ebraico” promesso (o concesso) dagli inglesi novant’anni fa, fattosi stato dopo la tragedia dello sterminio nazista.

Non voglio riaprire qui il tema di chi ha più torti e chi più ragioni. Ognuno rimanga della sua idea e amici come prima. Ma ricordo di aver assistito ad una performance (fortemente politicizzata) in cui Ovadia sosteneva che secondo lui la vera essenza dell’ebraismo era quella della diaspora - cioè di quegli ebrei che non si sono mai voluti fare stato ed hanno continuato a vivere come minoranza in vari paesi - non quella nazionalista che ha dato origine ad Israele.

E infatti sul suo blog scrive "Gli ebrei dell'Europa centro-orientale seppero costruire un capolavoro ineguagliato: una nazione e un popolo dell'esilio, fra i confini, oltre i confini, a cavallo dei confini, una nazione non vincolata a uno specifico territorio, né a vocazioni nazionaliste". 

Non che gli ebrei avessero molta voce in capitolo nel tracciare i confini, ma colpisce la curiosa nostalgia per un passato che non c'è più; dimenticando forse che non c'è più perché gli ebrei della diaspora sono proprio quelli finiti nelle camere a gas. E il loro "capolavoro ineguagliato" è stato distrutto e non è un caso se non ce n'è stato un altro.

Ma forse intendeva parlare di quelli che, anche dopo la shoah, hanno preferito l’idea di continuare ad essere minoranza in casa d’altri: posizione legittima di cui però qualcuno oggi potrebbe essersi pentito; in Ungheria ad esempio o - ricordando i vari attentati alla sinagoga di Roma, alla comunità ebraica di Buenos Aires, ad Istanbul, a Mumbai, a Tolosa - anche in altre località.

Quindi se non è assolutamente lecito identificare l'ebraismo con il sionismo, è discutibile che il sionismo sia considerato, come fa lui, un corollario del tutto estraneo - se non una vera e propria manipolazione - al concetto di "ebraismo", che verrebbe così definito solo per caratteri che rischiano di diventare astratti rispetto alla vita concreta di quegli esseri umani che si riconoscono nella cultura tradizionale o nella religione ebraica.

Quegli esseri umani - per le vicende storiche che conosciamo - si sono convinti in gran parte della necessità di darsi un'istituzione statuale e questo non può in alcun modo essere considerato estraneo alla loro storia semplicemente perché non è mai esistito prima (se non duemila anni fa) e la loro tradizione era altra. È esattamente la stessa cosa che si potrebbe dire delle istanze nazionaliste dei palestinesi che, anche se non è mai esistito prima un loro stato, non per questo hanno meno ragione a pretenderne uno.

Insomma, Moni Ovadia, da quello che si legge, sembra più propenso a criticare l'esistenza stessa di Israele più che le pratiche politiche adottate dai singoli governi di quel paese.

Naturalmente non tutti gli ebrei italiani sono sostenitori acritici del governo Netanyahu e, soprattutto, dei suoi alleati di estrema destra. Ci sono bei nomi dell’ebraismo italiano che sono anzi fortemente critici e che tengono rigorosamente fermo il punto sul progetto dei “due stati per due popoli”, in altri tempi fortemente criticato dall’estrema sinistra in nome dell’internazionalismo proletario e comunista. Ma che oggi, per ironia della sorte, sembra essere messo in pericolo da tendenze diametralmente opposte.

Tutto il rispetto, quindi, per le critiche di Ovadia alle politiche israeliane ed gli ostacoli continuamente frapposti ad una soluzione pacifica del conflitto, ma magari senza dimenticarsi quello che lui stesso dice nell’intervista di oggi “gli ultrà palestinesi sono i peggiori nemici della loro causa”, omettendo però di aggiungere che quegli ultrà - che si chiamano Hamas - godono di ampio credito presso la popolazione e sono i vincitori di fatto delle ultime elezioni politiche sia nei Territori che a Gaza.

La comunità ebraica milanese ovviamente alle accuse di Ovadia non ci sta e il suo portavoce (di sinistra) Daniele Nahum ribatte con stizza : “L’intervista rilasciata da Moni Ovadia è piena di falsità. La decisione di escluderlo dal festival Jewish and the City è di carattere esclusivamente artistico e non politico, come dimostra la partecipazione di tanti relatori e artisti, come per esempio Amos Gitai, che hanno espresso durissime critiche nei confronti di Israele nel presente e nel passato”.

Se ad ebrei critici delle politiche israeliane, come Gitai ma anche altri - fra gli intervenuti anche Susanna Camusso, Erri De Luca, Derek Halter (uno dei negoziatori sotterranei degli accordi di Oslo) - è consentito parlare ed esibirsi nelle manifestazioni della comunità ebraica, il gran rifiuto ovadiano perde dunque i luminosi contorni del sacro sdegno politico per assumere quelli vagamente micragnosi della starlette accantonata.

In fondo non è né Lou Reed, né Bob Dylan o Leonard Cohen, né Amy Winehouse o Noah né tantomeno Mark Knopfler, tanto per rimanere in ambito ebraico. Forse è meglio se si rassegna.

Ma lui non ci sta (a ritenersi escluso per motivi artistici) e alla fine si lamenta di ricevere solo pesanti offese e mai critiche nel merito delle sue affermazioni. E su questo probabilmente ha ragione. Un qualche rampantismo arrogante - lascito forse dei gloriosi anni del berlusconismo, più che dell'israelismo - ha preso piede nel mondo ebraico italiano, ma per quello che ne so è tuttora una minoranza; scalpitante e antipatica, ma pur sempre una minoranza.

Le migliaia di altri ebrei - quelli che da sempre si sciroppano le battutacce popolari infarcite di antisemitismo così diffuse a destra come a sinistra, non subiscono più sempre zitti come da antica prassi, ma non vanno certo a cercare la rissa per difendere Bibi Netanyahu ad ogni costo.

In ogni caso né la maggioranza né la minoranza sentono probabilmente la stringente necessità di confrontarsi con Moni Ovadia ed hanno tutti i diritti di fare a meno delle sue performance teatrali e musicali senza per questo essere accusate di boicottaggio politico.

Anche perché ci sono cose più importanti di lui e della sua stucchevole interpretazione dell'ebreo "alternativo" con quella sua narcisistica kippà che fa tanto hippie...

 

 

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.1) 7 novembre 2013 18:19

    "
    "Omettendo però di aggiungere che quegli ultrà - che si chiamano Hamas - godono di ampio credito presso la popolazione e sono i vincitori di fatto delle ultime elezioni politiche sia nei Territori che a Gaza"

    Magari interrogarsi sul perché un’organizzazione simile riscuota così tanto successo sarebbe d’obbligo, o no?

  • Di Persio Flacco (---.---.---.140) 8 novembre 2013 23:58
    La propaganda "sionista" quando punta un bersaglio agisce per gradi: un po’ distorce, un po’ nasconde, un po’ esagera, un po’ riduce, un po’ mente: lasciando al grado successivo il compito di portare un po’ più avanti l’opera di denigrazione.
    A lei è toccato il compito di rinforzare su questo mezzo di comunicazione l’idea che Ovadia abbia lasciato la sua comunità (un passo grave per un ebreo) per basse questioni di interesse commerciale o di ambizione delusa.

    In tali casi conviene sempre sentire direttamente il bersaglio.


    MONI OVADIA
    08.11.2013
    Lunedì scorso tramite un’intervista chiestami dal Fatto Quotidiano, ho dato notizia della mia decisione definitiva di uscire dalla comunità ebraica di Milano, di cui facevo parte, oramai solo virtualmente, ed esclusivamente per il rispetto dovuto alla memoria dei miei genitori. A seguito di questa intervista il manifesto mi ha invitato a riflettere e ad approfondire le ragioni e il senso del mio gesto, invito che ho accolto con estremo piacere. Premetto che io tengo molto alla mia identità di ebreo pur essendo agnostico. 

    Ci tengo, sia chiaro, per come la vedo e la sento io. La mia visione ovviamente non impegna nessun altro essere umano, ebreo o non ebreo che sia, se non in base a consonanze e risonanze per sua libera scelta. Sono molteplici le ragioni che mi legano a questa «appartenenza». 
    Una delle più importanti è lo splendore paradossale che caratterizza l’ebraismo: la fondazione dell’universalismo e dell’umanesimo monoteista - prima radice dirompente dell’umanesimo tout court - attraverso un particolarismo geniale che si esprime in una "elezione" dal basso. Il concetto di popolo eletto è uno dei più equivocati e fraintesi di tutta la storia. 
    Chi sono dunque gli ebrei e perché vengono eletti? Il grande rabbino Chaim Potok, direttore del Jewish Seminar di New York, nel suo «Storia degli ebrei» li descrive grosso modo così : «Erano una massa terrorizzata e piagnucolosa di asiatici sbandati. Ed erano: Israeliti discendenti di Giacobbe, Accadi, Ittiti, transfughi Egizi e molti habiru, parola di derivazione accadica che indica i briganti vagabondi a vario titolo: ribelli, sovversivi, ladri, ruffiani, contrabbandieri. Ma soprattutto gli ebrei erano schiavi e stranieri, la schiuma della terra». Il divino che incontrano si dichiara Dio dello schiavo e dello Straniero. E, inevitabilmente, legittimandosi dal basso non può che essere il Dio della fratellanza universale e dell’uguaglianza. 
    Non si dimentichi mai che il «comandamento più ripetuto nella Torah sarà: Amerai lo straniero! Ricordati che fosti straniero in terra d’Egitto! Io sono il Signore!» L’amore per lo straniero è fondativo dell’Ethos ebraico. Questo «mucchio selvaggio» segue un profeta balbuziente, un vecchio di ottant’anni che ha fatto per sessant’anni il pastore, mestiere da donne e da bambini. Lo segue verso la libertà e verso un’elezione dal basso che fa dell’ultimo, dell’infimo, l’eletto - avanguardia di un processo di liberazione/redenzione. Ritroveremo la stessa prospettiva nell’ebreo Gesù: «Beati gli ultimi che saranno i primi» e nell’ebreo Marx: «La classe operaia, gli ultimi della scala sociale, con la sua lotta riscatterà l’umanità tutta dallo sfruttamento e dall’alienazione». 
    Il popolo di Mosé fu inoltre una minoranza. Solo il venti per cento degli ebrei intrapresero il progetto, la stragrande maggioranza preferì la dura ma rassicurante certezza della schiavitù all’aspra e difficile vertigine della libertà. 
    Dalla rivoluzionaria impresa di questi meticci «dalla dura cervice», scaturì un orizzonte inaudito che fu certamente anche un’istanza di fede e di religione, ma fu soprattutto una sconvolgente idea di società e di umanità fondata sulla giustizia sociale. 
    Lo possiamo ascoltare nelle parole infiammate del profeta Isaia. Il profeta mette la sua voce e la sua indignazione al servizio del Santo Benedetto che è il vero latore del messaggio: «Che mi importa dei vostri sacrifici senza numero, sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso dei giovenchi. Il sangue di tori, di capri e di agnelli Io non lo gradisco. Quando venite a presentarvi a me, chi richiede da voi che veniate a calpestare i Miei Atri? Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio, noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità. I vostri noviluni e le vostre feste io li detesto, sono per me un peso sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, Io allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, Io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova».( Isaia I, cap 1 vv 11- 17). 
    Il messaggio è inequivocabile. Il divino rifiuta la religione dei baciapile e chiede la giustizia sociale, la lotta a fianco dell’oppresso, la difesa dei diritti dei deboli. Un corto circuito della sensibilità fa sì che molti ebrei leggano e non ascoltino, guardino e non vedano. Per questo malfunzionamento delle sinapsi della giustizia, i palestinesi non vengono percepiti come oppressi, i loro diritti come sacrosanti, la loro oppressione innegabile. 
    Qual’è il guasto che ha creato il corto circuito. Uno smottamento del senso che ha provocato la sostituzione del fine con il mezzo. La creazione di uno Stato ebraico non è stato più pensato come un modo per dare vita ad un modello di società giusta per tutti, per se stessi e per i vicini, ma un mezzo per l’affermazione con la forza di un nazionalismo idolatrico nutrito dalla mistica della terra, sì che molti ebrei, in Israele stesso e nella diaspora, progressivamente hanno messo lo Stato d’ Israele al posto della Torah e lo Stato d’Israele, per essi, ha cessato di essere l’entità legittimata dal diritto il internazionale, nelle giuste condizioni di sicurezza, che ha il suo confine nella Green Line, ed è diventato sempre più la Grande Israele, legittimata dal fanatismo religioso e dai governi della destra più aggressiva. Essi si pretendono depositari di una ragione a priori. 
    Per questi ebrei, diversi dei quali alla testa delle istituzioni comunitarie, il buon ebreo deve attenersi allo slogan: un popolo, una terra, un governo, in tedesco suona: ein Folk, ein Reich, ein Land. Sinistro non è vero? Questi ebrei proclamano ad ogni piè sospinto che Israele è l’unico Stato democratico in Medio Oriente. Ma se qualcuno si azzarda a criticare con fermezza democratica la scellerata politica di estensione delle colonizzazioni, lo linciano con accuse infamanti e criminogene e lo ostracizzano come si fa nelle peggiori dittature. 
    Ecco perché posso con disinvoltura lasciare una comunità ebraica che si è ridotta a questo livello di indegnità, ma non posso rinunciare a battermi con tutte le mie forze per i valori più sacrali dell’ebraismo che sono poi i valori universali dell’uomo.

    http://www.ilmanifesto.it/attualita...
     
    • Di (---.---.---.27) 9 novembre 2013 01:14

      Oddio, il pistolotto di Moni Ovadia su tutto lo scibile ebraico pre e post shoah !
      Prima o poi lo leggerò, per ora mi basta capire che mette insieme Giacobbe e Isaia (ma perché non Ezechiele?), Mosè e Gesù e Marx in un minestrone raccogliticcio e superficiale necessario per arrivare ad asfissiarci tutti con la più repellente cretinata che si possa leggere (detta da un ebreo o da chiunque altro) "Il divino rifiuta la religione dei baciapile e chiede la giustizia sociale, la lotta a fianco dell’oppresso, la difesa dei diritti dei deboli". Ma ha mai studiato un minimo di storia delle religioni, questo qui ?! E voi davvero vi bevete queste idiozie ? Almeno ricordiamoci di Feuerbach, perbacco !

      Non nego che la tradizione ebraica abbia aspetti molto interessanti e, paradossalmente, più universalistici rispetto ad altre - anzi, cerco sempre di approfondirne gli aspetti più intriganti - ma quando ne fai lo strumento per arrivare poi a dire che "la creazione di uno Stato ebraico non è stato più pensato come un modo per dare vita ad un modello di società giusta per tutti..."... allora si deve pensare che no, non se ne è accorto ancora ! Lo Stato di Israele è stato pensato per dare rifugio a gente che veniva ammazzata a calci da decenni, per poi finire imbucata a calci nelle camere a gas !!! Niente, di tutto questo non ci si ricorda; è davvero incredibile! un annullamento pervicace continuo, ossessivo di banali verità storiche assodate da decenni (e poi ci si lamenta che riemerge il negazionismo!).
      Poi sessant’anni di guerre forse qualcosa vorranno dire, o no ?

      Ma questa specie di evanescente predicatore da quattro soldi, con l’aria solenne del profeta dell’antico Israele (ehi, sveglia, sono passati duemila anni!) si lamenta che "hanno messo lo Stato d’Israele al posto della Torah" !!! Ci voleva la Torah; secondo lui, doveva essere uno stato fondato sulla Torah in modo che potesse mettersi d’accordo con gli stati fondati sulla Sharia ! E poi magari con quelli del Vangelo....mamma mia, ma che ha nella testa questo qui ? E che ha nella testa il Manifesto ? Per fortuna che non se lo fila più nessuno.

      Ma lei, come spesso le capita nella sua ossessione antisionista, sbanda vistosamente fuori dal seminato.

      Primo dicendo che lasciare la comunità - che è solo un’associazione privata come tante altre - è un passo grave per un ebreo, che è quantomeno discutibile (mi permetta di saperlo): sarà stato un passo grave per Moni Ovadia, poverino (si sa ci stava per rispetto dei genitori, il bimbo), ma chissenefrega.
      Secondo perché si permette di fare una seconda affermazione che ha del ridicolo "In tali casi conviene sempre sentire direttamente il bersaglio".

      Ebbene, mi tocca informarla che tra Fatto, Corriere, Manifesto e non so quanti altri il "bersaglio" è stata la comunità ebraica milanese, casomai, perché l’unica voce che si è sentita e letta ad abundantiam è quella del suo protetto. A me la cosa suonava un po’ così così e ho voluto approfondire, cioè almeno per sentire l’altra campana a cui lei probabilmente non avrebbe dato alcuna possibilità di dire la sua, tanto si sa già dove sta il giusto e dove lo sbagliato, no ?...

      Ebbene, basta andare sul sito della manifestazione http://www.jewishandthecity.it/inde... per verificare che oltre al già citato - e iper critico - Amos Gitai gli ospiti a vario titolo delle giornate sono stati tanti. Scorra i nomi e veda se sono presenti SOLO ardenti sionisti. Ovviamente gli ebrei sono in numero prevalente, ma anche in questo caso sono tutti e solo quei maneschi nazionalisti di destra che lei ritiene essere la quintessenza del ’vero sionismo’ contemporaneo? Nemmeno per idea.

      Quindi manca solo Ovadia (no, manco anch’io se è per questo!) ma esistono le voci fuori dal coro (ammesso che il ’coro’ sia quello che dice Ovadia stesso). Ma se voci diverse e critiche sono presenti e hanno diritto di parlare nella manifestazione organizzata da quella comunità ebraica, davvero a lei non viene in mente che il problema non è la "mia" disinformacjia, come insinua sempre, ma quello che un banale tacchino che si credeva un airone scopre di essere stato accantonato perché i tacchini in fondo non sono così interessanti (e glielo posso assicurare dopo aver visto un paio di sue performance).

      Denigrazione ? Ma per favore... Flacco si rilassi, gliel’ho già detto altre volte, lei è andato troppo fuori giri per riuscire ad avere una visione un po’ meno squinternata della realtà.
      Saluti (and stop)-

    • Di (---.---.---.27) 9 novembre 2013 09:52

      ...in ogni caso grazie della segnalazione; ho avuto così l’opportunità di lasciare un commento anche su il Manifesto, un giornale che non leggo da trent’anni o più. Se lo pubblicano lo potrà leggere anche lei.

      FDP

    • Di (---.---.---.221) 10 novembre 2013 01:14

      Rispondo solo a questo.

      << Ma lei, come spesso le capita nella sua ossessione antisionista, sbanda vistosamente fuori dal seminato.

      Primo dicendo che lasciare la comunità - che è solo un’associazione privata come tante altre - è un passo grave per un ebreo, che è quantomeno discutibile (mi permetta di saperlo): sarà stato un passo grave per Moni Ovadia, poverino (si sa ci stava per rispetto dei genitori, il bimbo), ma chissenefrega.>>

      Il luogo che in duemila anni di diaspora ha custodito e tramandato il giudaismo e l’identità ebraica lei lo riduce al rango di una bocciofila, dalla quale un ebreo si può separare senza troppi patemi. L’effetto di un tale spericolato riduzionismo è più comico che provocatorio.

      La lascio con un breve frammento filmato su una comunità ebraica ridotta all’essenziale: due sole persone, litigiose come si conviene ma unite in modo indissolubile:
      https://www.youtube.com/watch?v=b4f...

      Il vecchio è morto da anni ed è sepolto in Israele; il più giovane, quello che interloquisce con lui dalla finestra e che gli da del triplo goy, è anch’esso in Israele, ma non so se sia ancora in vita.

    • Di (---.---.---.27) 10 novembre 2013 09:11

      Non intendo mancare di rispetto a chi ha tramandato per duemila anni la tradizione ebraica in mezzo a tutte le difficoltà che la storia ci ha insegnato, ma ritenere che tale luogo sia rintracciabile, oggi, in una comunità ebraica contemporanea mi pare una eccessiva forzatura. Oggi esiste uno Stato che permette alla tradizione ebraica di esistere in condizioni ben diverse dal passato e testi liberamente consultabili e corsi di studio liberamente frequantabili e così via dicendo. Questa è la contemporaneità in cui dalle comunità ebraiche ci si può allontanare (o non iscrivere) tranquillamente senza dover subìre l’accusa di "lesa maestà comunitaria". Pur avendo la certezza che la tradizione ebraica rimarrà intatta. Capisco l’affetto che si possa provare per certe ’passionali’ tradizioni comunitarie - come per le vecchie case del popolo ad esempio - ma se dico che non mi interessa più starci o che è legittimo andarsene, non offendo nessuno, mi pare.

      Ben altre accuse, mi pare, vengono da Moni Ovadia: "comunità ebraica che si è ridotta a questo livello di indegnità" pur mantenendo anche lui, almeno a parole, la volontà di battersi "per i valori più sacrali dell’ebraismo che sono poi i valori universali dell’uomo". Una delle cose dette da lui che posso condividere.

      Per finire aggiungo che il problema di Ovadia non è la scelta fatta. Quanto la tempistica del gesto. Tutte le cose che dice (condivisibili, discutibili, criticabili e anche emerite cazzate) sono cose che dice da decenni. E le problematiche fra israeliani e palestinesi sono lì dal 1948. Poteva sbattere la porta della comunità ebraica dieci anni - o cinque o tre o uno o un mese fa. Invece l’ha fatto solo DOPO che è non è stato invitato al festival ebraico Jewish and the city. Questa tempistica a me puzza di "lesa maestà artistica" ben più che di reale sdegno per le scelte politiche della comunità che esistevano probabilmente anche prima di questa occasione.

      Per questo non credo né alla buona fede di Ovadia (in questa occasione) né alla buona fede della sua difesa fatta dai supporter tipo il commentatore Persio Flacco né al megafono prestatogli da Fatto e Manifesto. E se non c’è buona fede, allora c’é cattiva fede. Saluti

      FDP

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