• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Società > Mi chiamo Giovanni e sono operaio... Anzi non lo sono più

Mi chiamo Giovanni e sono operaio... Anzi non lo sono più

Mi chiamo Giovanni è sono operaio, carpentiere... Anzi no, non sono operaio. Mi chiamo Giovanni e non so più chi sono.

Ho quarantadue anni, ho due figli ed una suocera a carico.
 
Quando ero... Quando facevo l’operaio, ero sicuro di me e della vita, del futuro. Le mie figlie le vedevo grandi serene e che lavoravano, indipendenti. Ora non ci voglio nemmeno pensare. Faccio di tutto, e quindi sono di tutto, da quando la mia fabbrica, cioè la fabbrica dove lavoravo, ha chiuso.
Ho chiuso anche la mia dignità di lavoratore.
 
Ho lottato con un vecchietto, a morsi e pugni per una cassetta di verdura marcia. Dietro i cassonetti di un supermercato. Abbiam lottato, e ho anche pensato di tirargli un calcio nelle palle, di quel che gli rimanevano di palle. Poi il mio sguardo si è incrociato con i suoi occhi. E ho visto.
 
Ho visto il viso di mio nonno, di mio padre, quel volto bruciato dal sole della campagna e arso dalla terra della campagna. Ho mollato il tutto, gli ho girato le spalle e sono andato via, mentre le sue urla mi dicevano che potevamo dividerla la cassetta. Che per lui era troppa tutta quella verdura.

Gli occhi mi bruciavano.
 
Era la pioggia, in una giornata d’agosto, che mi bagnava il volto e mi faceva tirar su il naso e mi bruciava gli occhi.
Era la pioggia.

La pioggia della dignità umana che stava abbandonandomi.

Mi alzo la mattina, presto, come quando ero operaio. Cioè come quando facevo l’operaio, anzi ancora più presto. Vado per mercati e cantieri. Cerco, elemosinando, un pò di dignità per tornare ad essere lavoratore, e per far felice mia moglie.
Vederla sorridere. Vedere i suoi occhi che mi guardano orgogliosa, quando porto qualche euro. Ma finalmente un parente di mia moglie che conosce il barbiere dove è cliente abituale, uno il cui cognato fa l’intermediario fiduciario per lavori stagionali, cioè come a dire il caporale.
 
Ma ora non si può più dire cosi.

E’ anche un po’ vicino alla Sacra Corona Unita. Sulla sua macchina, sul parabrezza, c’è il volto sacro di Gesù, simbolo dell’appartenenza all’ (non si può tradurre in parole, ma il gesto è quello di ruotare in senso orario con un mvimento di polso, le dita dela mano destra riunite, ma non unite, come a voler girare in un mortaio un liquido per sciogliere qualcosa).

Insomma ci siamo capiti. Uno di quelli che sta dentro le cose-

Insomma, mi ha parlato, gli ho dato cento euro e la mattina all’adunata lui mi sceglie sempre. Mi porta il lunedi al ghetto, si insomma al campo di pomodori, e mi riporta il sabato sera a casa. Si prende la mazzetta sul raccolto, due euro a cassonetto (tre quintali di pomodori raccolti). Ma non si chiama mazzetta, ma solo "giusto compenso per il servizio di mediazione".

Ma noi lo sappiamo che si chiama mazzetta.

Ma si sa, io ho avuto una fortuna!! La concorrenza è alta fra i lavoratori. Sono quasi tutti africani e tra questi quelli senza permesso di soggiorno sono i più ricercati fra i caporali, cioè " fra gli intermediari fiduciari per lavori stagionali" , Adesso si fanno chiamare anche "bodirental".

Mia figlia Barbara che studia ed è già una persona colta, mi ha detto che vuol dire uno che affitta gli uomini, i corpi unami. Questo fatto mi ha fatto un po’ incazzare. Come a dire che lui è padrone del mio corpo e lo dispone come vuole. In realtà è così,
 
E’ lui che decide dove andare e quanto darmi per il mio lavoro. Ma il saperlo, il prenderne coscienza mi fà un pò incazzare.
 
Quando ero operaio... Cioè quando facevo l’operaio, durante l’ora di pausa, Franco che era il più istruito fra noi, ci leggeva uno che si chiamava Marx. E lui, che ne sapeva di operai, e di lavoro, dico di Marx, già nell’800 diceva le cose che poi noi sulla pelle le viviamo. E le cose che diceva non è solo valido per gli operai delle fabbriche, ma per tutti quelli che lavorano, il ferro, il legno, la terra, insomma per tutti quelli che non posseggono altro che il loro lavoro. Solo che quando ci capita pensiamo che così "a da essere", che così va il mondo. Quando però conosci il perchè ciò accade , quando ti viene spiegato chi vuole, come e perché, che tutto ciò accade allora capisci che la ***REALTA’**** che vedevi prima è diversa dalla ***REALTA’**** che vedi adesso, ma non solo perchè tu la vedi diversa, perchè essa stessa è diversa.
 
Al ghetto, cioè al campo di pomodori, siamo tutti come in fabbrica, cioè è come, non uguale, ma simile.
 
In fabbrica eravamo fratelli, cioè anche nel campo siamo fratelli, ma in fabbrica ci sentivamo uniti, anche nel campo siamo uniti, e durante la raccolta qualche volta cantiamo, cioè cantano, perché loro cantano i loro canti che sono diversi dalle nostre canzoni.

Insomma siamo fratelli, ma non come quando ero in fabbrica.
 
I primi giorni è stato dura per me. La schiena mi faceva male, e le piaghe, dopo le prime ore del mattino, hanno incominciato a coprirmi la schiena. E cosi che ho conosciuto un africano della Nigeria. Gambo è il suo nome ed è della tribu degli Hausa.
 
Lui vuole fare il dottore, o meglio l’infermiere. Lui dice che vuol ascoltare i rumori del corpo, perché il corpo parla, quando è malato. Lui ha visto che anche i dottori bianchi ascoltano i rumori del corpo. Si mettono gli auricolari alle orecchie ed ascoltano i rumori del corpo E come, lui dice, quando si ascolta la musica emmepitre. Lui vuole andare a scuola di infermieri.
 
Il suo nome rispecchia proprio il suo fisico. E’ come un gambo di un fiore. Lui non mi parlava, ma vedevo che ogni tanto la sua mano lasciava cadere pomodori nel mio cassonetto. Io facevo finta di non vedere, ma sapevo che lì la legge è ferrea. O raccogli quattro cassoni alla settimana o sei fuori. La concorrenza è alta. I senza permessi sono lì a bocca aperta, come tanti lumi affamati, pronti a prendere il tuo posto. E poi i capi neri (cioè sarebbero i caporali neri, quelli che hanno fatto cariera, i Kapò insomma), sono senza pietà. O dentro o fuori. E poi io sono bianco, un privileggiato per loro, un raccomandato. La sera poi ci si riunisce nelle grandi tende, o quelli più anziani di lavoro, in grande baracche. Vi è un gran via vai di carrozzine, ma dentro non vi sono bambini, che pur vivono con noi, insieme a noi, maschi e femmine insieme. Dentro trasportano bidoni d’acqua. Oro, più preziosa della vita stessa. Il corpo si vede che ha bisogno d’acqua dopo dodici ore al sole. E’ come quando butti acqua su un terreno arso dal sole. Anche in queste occasioni Gambo mi ha aiutato, ma senza dirmi una parola, senza dirmi nulla. Gli occhi bassi e la mano tesa a porgermi.
 
I suoi occhi neri, e tutt’intorno il fuoco, rosso . I suoi occhi grandi che fuoriescono da un volto nero che pìu nero non si può. Mi ricorda il nero che mia mamma usava per tingere le scarpe consumate . Una bottiglietta con su disegnato un diavoletto con coda, forca: Nero Diavolo (o qualcosa di simile e che aveva a che fare con l’inferno), era scritto. Il tappo si svitava ed insieme usciva anche un pennarello piccolino. Si inzuppava e si dava piano senza sporcare. Se quanche goccia cadeva era la fine. Il nero rimaneva e niente riusciva a levarlo. Ecco.
Quel nero mi ricordava il nero del volto di Gambo. E poi le sue labbra. Le enormi labbra che sembravano due cuscini per piccole Barbi. Io allora non lo sapevo, ma Gambo è un mio amico, un compagno di lavoro, come i compagni di fabbrica, quando lavoravo in fabbrica.
 
Io ho detto a Giuliana, mia moglie, di comprare una pipa, ma di quelle speciali, di quelle etniche, come dice mia figlia Barbara, lei che studia queste cose le sa. E così una domenica al ritorno a casa, mia moglie e Barbara mi hanno fatto vedere un pacchetto ricoperta di un foglio argentato ed un nastro di color giallo, che era tutto uno spettacolo. Anche mia figlia Nicole (che non è Nicola come il patrono di Bari, e che è un nome maschile, ma un Nicola diciamo alla francese, per dare un tocco di estosità e lei è proprio così, alla francese) ha festeggiato insieme a noi, come se il regalo fosse per noi.
 
E nemmeno io sapevo come era fatta la pipa. Ma mia figlia Barbara mi ha detto che era etnica e molto bella. Io mi son fidato, perché Barbara studia ed è già una persona colta, una che le cose le studia e le sa.
 
Quando il Lunedi , alla sera, mi son visto con Gambo, anch’io senza una parola, con gli occhi bassi ho allungato una mano per porgere. Ho visto i suoi occhi lucidi, il sorriso illuminare il suo viso nero come la pece e poi senza una parola ci siamo parlati per circa tre ore e mezza o... Forse quattro.
Poi ci siam fatti una pipata di quelle da sballo, ma con quella buona.

Quella che ti fa volare, che ti fa sentire leggeri e liberi, che ti rende buono con tutti e tutti son buoni con te, così che la ***REALTA’***** ti appare diversa da quella che vivi e che vedi. Anch’io sto vivendo in un mondo che non sapevo che non conoscevo che la crisi mi ha fatto vedere e che è ******confini della REALTA’****************.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.57) 17 agosto 2009 13:19

    Tutto ciò non è obbligatorio, non è legge biologia, è solo cultura malata.
    CAMBIAMOLA QUESTA CULTURA. Serve coraggio, serve rinunciare ad amenità che abbiamo ritenuto privilegi, ma che ci hanno solo resi schiavi...ma cambiare si può.

    NO GOD, NO MASTERS.

    ANTISPECISMO.

    • Di sganapino (---.---.---.132) 17 agosto 2009 13:57

      Torno dalle ferie e vi dico quello che ho visto:
      1) Ho visto delle ragazze che al mattino si venivano ad offrire al padrone dell’albergo per vedere se aveva bisogno di lavoratrici nei vari reparti
      2) Ho parlato con operai e tutti mi hanno detto che le loro aziende li hanno messi in cassa integrazione ed anche i titolari sono in attesa della ripresa da mesi, altrimenti chiudono per sempre.
      3) Ho parlato con un carrozzaio. Credevo il settore uno dei più floridi, visto il numero elevato d’incidenti stradali. Invece mi ha detto che conta molto su questi esodi altrimenti le cose gli vanno proprio male. Molti comprano le auto nuove, altri non le riparano se proprio non sono ridotte malissimo. Tutti pensano ai bisogni primari ed anche la carrozzeria dell’auto, status simbol, comincia a passare tra i bisogni secondari.
      Concludendo: ci vuole una patrimoniale secca su chi possiede denaro e beni per un valore superiore al milione di euro e con i soldi ricavati togliere l’Iva sui beni di consumo. Sarebbe un calo immediato dei prezzi del 20%.

  • Di illupodeicieli.leonardo.it (---.---.---.174) 17 agosto 2009 18:44

    Certo dite bene voi che avete commentato prima di me: cambiare il modo di vedere la vita e di sentirla.Se vivere non è più un piacere, che senso ha? Per gli interventi che dice Sganapino, certo ma ti ricorderai che la si voleva già applicare in passato però non ricordo ,poi, con il ricavato che cosa se ne volesse fare:qui sono capaci di utilizzare il ricavato per finanziare missioni all’estero o per pagare i soldati da mettere nelle strade, dimenticandosi appunto che se il panettiere non ha i soldi non porterà l’auto dal carrozziere, che il carrozziere non ha denaro o non compra il pane o ne comprerà sempre meno.Conosco ragazzini che portano il pane della mensa a casa, per la cena.Quanto al caporalato c’è dappertutto:qui da noi sopratutto in campo edile e nella Gallura (secondo i dati ufficiosi), perchè Silvio direbbe che non c’è e che non è vero.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares