Mario Draghi e la logica del debito buono
Se esiste un debito buono, esiste anche un debito cattivo. Chi lo deciderà e sulla base di quali parametri?
A pag. 8 del Manifesto del Partito Comunista di Karl Marx e Friedrich Engels si legge:
La borghesia non può esistere senza rivoluzionare incessantemente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. Prima condizione di esistenza di tutte le classi industriali precedenti era invece l'immutato mantenimento del vecchio sistema di produzione. Il continuo rivoluzionamento della produzione, l'ininterrotto scuotimento di tutte le situazioni sociali, l'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l'epoca dei borghesi fra tutte le epoche precedenti. Si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo e di stabile, è profanata ogni cosa sacra, e gli uomini sono finalmente costretti a guardare con occhio disincantato la propria posizione e i propri reciproci rapporti.
In queste righe c'è un passaggio cruciale: la borghesia, ossia la classe dominante, non può esistere senza rivoluzionare in maniera incessante tutti i rapporti di produzione, e quindi tutti i rapporti sociali precedenti. Il capitale non può mai arrestare il proprio processo di accumulazione. Le crisi, lungi dal metterne in pericolo le fondamenta, sono anzi l'occasione per la propria rigenerazione e per far partire nuovi cicli di accumulazione. Anche l'attuale crisi scatenata dal Covid-19 non fa eccezione: come affermava il compianto Giulietto Chiesa, chi spera che l'attuale sistema economico capitalistico possa crollare in virtù delle sue contraddizioni interne si sbaglia di grosso. Il sistema infatti funziona benissimo, nello spazio che gli è proprio. Smetterà di funzionare solo quando cambierà lo spazio nel quale si trova [...] Dovremmo cominciare a capire che economia e finanza esploderanno non tanto per difetti interni, quanto per il sopraggiungere, ad esempio, di una rottura “esterna”.
Sebbene la pandemia sembri a prima vista rappresentare questa rottura "esterna", in grado di portare al crollo dell'attuale sistema neoliberista che fa dello scambio (diseguale) il suo nucleo centrale, in realtà ci stiamo rendendo conto che non è così: a distanza di un anno dalla sua irruzione nelle nostre vite quotidiane, il Covid sta accelerando le tendenze di trasformazione già insite nel sistema: dall'implementazione dello smart working all'utilizzo massiccio della didattica a distanza, dall'esplosione delle criptovalute alla definizione di un quadro giuridico sempre più "mobile" in grado di adattarsi automaticamente agli sviluppi della malattia (ed in futuro chissà a cos'altro).
Le manovre politiche che hanno portato alla dipartita di Giuseppe Conte segnano un punto di svolta nella conduzione delle azioni di governo nella fase pandemica: ancora una volta l'Italia viene eletta come laboratorio privilegiato dei cambiamenti che attraversano l'intero Occidente. L'arrivo di Mario Draghi è la dimostrazione che stavolta il grande capitale ha deciso di scendere direttamente in campo facendosi rappresentare dal suo uomo principale in Europa. Non che le linee guida non siano già state perseguite dai governi politici precedenti - e vedremo come - ma l'eccezionalità della crisi richiede ora di disvelarsi in prima persona, dismettendo temporaneamente la strategia dell'operare da dietro le quinte.
L'informazione italiana si spertifica nel glorificare la persona di Mario Draghi, come a volerci ricordare il perché siamo al 41° posto per la libertà di stampa. L'operazione "responsabili" attuata in maniera disperata dalla ex maggioranza giallorossa ha contribuito a gettare ulteriore discredito sul ceto politico, già profondamente scollato dalla vita reale, e ha spianato la strada all'arrivo dell'ex banchiere, il quale ha le idee chiare su come dovrà essere impostata la politica economica del suo futuro esecutivo. Lo si evince dall'ormai noto rapporto Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-Covid redatto tra gli altri dallo stesso Draghi da parte del Gruppo dei Trenta, uno dei tanti think-tank in cui si riuniscono i membri delle élite bancarie e finanziarie del globo.
Il presupposto da cui parte il rapporto è che le economie globali si trovano "al bordo di una scogliera" e che "le autorità devono agire urgentemente". Secondo gli estensori, alla crisi di liquidità delle imprese che ha caratterizzato la prima fase pandemica, e che è stata affrontata con l'aumento della spesa pubblica, seguirà una seconda fase caratterizzata da un'ondata di insolvenze. Per contenerne la portata, gli estensori del rapporto ritengono che i governi debbano ridurre l'entità degli aiuti forniti, in quanto la loro elargizione a pioggia determina la nascita di imprese definite "zombie" che rischiano di trascinare il debito pubblico oltre misura, alterando così gli equilibri del mercato. Agire in questo modo rappresenta un azzardo morale, poiche tali finanziamenti maschererebbero agli occhi degli imprenditori l'entità della crisi, determinando negli stessi una sottovalutazione circa le reali capacità produttive delle proprie aziende, spingendoli a fare investimenti sbagliati.
Calando questo rapporto nel contesto degli interventi attuati negli ultimi mesi dal governo Conte, si tratta di porre uno stop alla miriade di bonus, ristori, cashback etc, insomma a questa forma mascherata di helicopter money, che pure aveva finora consentito se non di ripartire, quantomeno di sopravvivere. A pag. 3 del rapporto si legge chiaramente:
3. Adattarsi alle nuove realtà aziendali, piuttosto che cercare di preservare lo status quo. Il settore delle imprese che emerge da questa crisi non dovrebbe apparire esattamente come era prima a causa degli effetti permanenti della crisi e dell'accelerazione delle tendenze esistenti provocata dalla pandemia, come nel caso della digitalizzazione. I governi dovrebbero incoraggiare le trasformazioni aziendali necessarie o auspicabili e gli aggiustamenti dell'occupazione. Ciò può richiedere una certa quantità di "distruzione creatrice" poiché alcune aziende si rimpiccioliscono o chiudono e se ne aprono di nuove, e i lavoratori dovranno spostarsi tra aziende e settori, con un'adeguata formazione e assistenza temporanea. Tuttavia, anche i governi che sostengono tale adattamento in linea di principio potrebbero dover adottare misure per gestire i tempi della distruzione creatrice per tenere conto degli effetti a catena di cambiamenti eccessivamente rapidi, così come per i le situazioni di insolvenza che potrebbero sopraffarli.
La nuova strategia dei governi, secondo Draghi, dovrà quindi incentrarsi su interventi selettivi, finalizzati a supportare le imprese che presentino adeguate prospettive di redditività, lasciando invece morire tutte quelle imprese non in grado di adeguarsi alle nuove esigenze del mercato. E' il fondamento della distruzione creativa, che viene esplicitamente richiamata nel rapporto: l'espressione è dell'economista austriaco Joseph Schumpeter, che proprio dall'analisi dei testi di Marx sviluppa questa concezione, definendola come quel processo evolutivo dell’economia capitalistica, nel quale innovazioni tecnologiche e gestionali trasformano il ciclo produttivo, scompaginando l’equilibrio dei mercati ed eliminando le imprese incapaci d’innovare. Un meccanismo che detto così sembra essere perfettamente funzionale, in realtà è puro darwinismo sociale che condanna milioni di persone a precarietà e disoccupazione, ed è il pilastro dell'economia capitalistica e del suo tumultuoso procedere.
La novità - ma neanche tanto - è che i protagonisti del nuovo processo di centralizzazione del capitale nelle mani di quei pochi ritenuti capaci di far ripartire gli investimenti (perché questa è la sostanza della politica poc'anzi delineata) saranno propri gli Stati, che dalla funzione di stato sociale diventeranno nuovamente i custodi e i sicari dell'ordine neoliberista. Una funzione questa che già s'intravedeva in alcune delle precedenti politiche del governo Conte, come evidenziato da Domenico Moro su l'Ordine Nuovo, e che con tutta probabilità saranno ulteriormente implementate dal governo Draghi.
Il decreto rilancio del giugno scorso identifica ancora una volta nella Cassa Depositi e Prestiti, ossia nella depositaria del risparmio postale degli italiani, lo strumento mediante il quale lo Stato dovrà gestire gli interventi selettivi citati nel rapporto. Questi interventi dovranno avvenire non più mediante l'accesso al credito garantito dallo Stato come accaduto finora, bensì attraverso la partecipazione diretta statale nelle aziende identificate dal decreto come "strategiche" o con "prospettive di reddività". Il nome dell'operazione è Patrimonio Destinato: trattasi di 44 miliardi di euro frutto degli apporti allocati dal Ministero dell'economia che andranno a sostenere le imprese con un fatturato minimo di 50 milioni di euro all'anno, e ogni intervento autorizzato dalla CdP non dovrà essere inferiore a 100 milioni di euro. Trattasi pertanto di paletti estremamente selettivi che escludono la maggior parte delle piccole e medie imprese che si trovano in difficoltà. Queste partecipazioni inoltre non dovranno comportare poteri di controllo in favore della CdP, e quindi dello Stato, limitando quindi il suo ruolo a erogatore del denaro drenato dal pubblico senza alcuna contropartita in termini di gestione aziendale. Infine si stabilisce che l'accesso agli aiuti dovrà rispettare determinati requisiti e una valutazione compiuta dai soggetti individuati nei successivi decreti attuativi.
E qui si apre un'ulteriore dilemma: chi, e sulla base di quali parametri, dovrà decidere quali sono le imprese meritevoli di essere salvate e quali no? Il rapporto del G-30 suggerisce che questi soggetti siano le banche e gli investitori stessi, in quanto hanno l’expertise per valutare la redditività delle aziende e sicuramente subiscono minori pressioni politiche. Ossia, come sentenzia Moro, senza dover rispondere agli elettori, che ne subiranno le conseguenze. Analizzando lo schema del decreto attuativo all'esame delle Camere, all'art. 26 possiamo infatti leggere:
E' questa la logica del debito buono. Se esiste un debito buono, deve esistere anche un debito cattivo, e per i membri del G-30 quest'ultimo è rappresentato dalla liquidità fornita a pioggia dai governi. Un piano che come al solito finge di ignorare che il libero mercato di cui ci si preoccupa tanto di salvaguardare non è affatto equo e prevedibile, è anzi una giungla pericolosissima. Anzitutto le imprese definite in maniera dispregiativa zombie non scompariranno di per sé, ma saranno fagocitate dal sistema bancario nel momento in cui non saranno in grado di ripagare i prestiti ottenuti: questo vuol dire che ci saranno licenziamenti, famiglie rovinate, piccole proprietà espropriate, e lo Stato dovrà comunque sostenere tutto ciò con gli ammortizzatori sociali. Inoltre si ignora, o si finge di ignorare, che l'interruzione della liquidità per le piccole e medie imprese non considerate "redditizie" farà ulteriormente deviare la domanda di denaro dai sistemi legali a quelli criminali, e quindi l'usura praticata dalle mafie. In altri termini siamo dinanzi al pericolo di una spoliazione senza precedenti, forse peggiore di quella praticata ai tempi della bolla immobiliare americana, in cui ci rimetteremo due volte: come parte debole della società e come Paese.
Eppure l'ampio consenso di cui gode il futuro governo Draghi ci restituisce una situazione nella quale non esistono alternative all'ulteriore rapina di risorse pubbliche a cui stiamo per assistere inermi, o almeno non esistono nell'ambito dell'attuale sistema come affermava Giulietto Chiesa. Affermazione elementare la sua, ma proprio per questo terribilmente veritiera. E' tempo di rielaborare un'alternativa socialista a questo sistema dopo trent'anni di prese in giro, dalla "Terza via" al capitalismo dal volto umano. Paccottiglia che è servita (e serve tuttora) solo a gonfiare carriere vergognose.
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