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Manuale psicopolitico per affrontare la complessità del mondo

"Il gioco della verità e dell’errore. Rigenerare la parola politica" è l’opera di Edgar Morin, uno dei grandi studiosi eclettici del pensiero e delle attività umane (www.erickson, 2009).

Manuale psicopolitico per affrontare la complessità del mondo

Edgar Morin è nato nel 1921 a Parigi, dove vive tuttora, ma ha vissuto anche in Italia, Spagna e Turchia. Durante la Seconda Guerra Mondiale è stato membro della resistenza francese. Attualmente è Presidente dell’Associazione per il Pensiero Complesso con sede a Parigi e Presidente dell’Agenzia europea per la Cultura dell’Unesco. Di lui si può certamente dire che nulla di ciò che è umano gli è estraneo (Alain Touraine).

La tesi centrale di Morin afferma che “Siamo ancora nella preistoria della mente umana. Questa comincia appena ora a concepire la propria autoconoscenza. Non abbiamo ancora esplorato il continente noologico delle “cose mentali”, dove i sistemi di idee hanno regole di esistenza e di organizzazione che ci sono ancora sconosciute… questa sfera vitale nella quale la conoscenza si produce inconsapevolmente, che permetterà di scoprire le fonti, le cause, i processi stessi dell’errore che affligge la preistoria della nostra mente: l’errore ideologico. Allo stesso tempo, il linguaggio umano ha consentito che le astuzie, le trappole, gli inganni si potessero sviluppare in maniera inaudita, nella parola parlata, come nella parola scritta, sotto forma di menzogna, il che accresce, moltiplica, aggrava, rinnova il problema onnipresente dell’errore” (p. 49).

Si arriva così alla costruzione del mito, una costruzione della mente che può assumere un valore di realtà oppure di verità metafisica. Questo processo nasce dai limiti della prima legge della comunicazione per cui per poter avviare e mantenere una comunicazione (e una relazione), bisogna ritenere vere le informazioni e le affermazioni espresse dal linguaggio. È il fenomeno di cui approfittano le pubblicità ingannevoli e i politici ingannatori (con le loro astuzie, i loro segreti e le loro bugie). Così “lo spirito medio di un tempo, le opinioni medie, le menti medie respingono nello stesso modo l’oro e la feccia. E un’idea nuova, non sa se sia oro oppure feccia” (p. 93). Quasi tutti non si rendono conto che “le idee chiare e distinte hanno un potere di accecamento pari a quello che ci permette di vedere” (p. 93). E tutti temono “l’angoscia sconvolgente dell’incertezza” e del provvisorio.

Però “la scienza ha abbattuto le verità rivelate, le verità fondate sull’autorità. Dal punto di vista scientifico, queste verità sono illusioni… Tuttavia, la storia delle scienze ci mostra che le teorie scientifiche sono mutevoli, e cioè che la loro verità è temporanea… una teoria è scientifica non soltanto perché sembra rendere conto dei dati o dei fenomeni ai quali si applica, ma anche perché fornisce i mezzi per la sua stessa confutazione… una teoria è scientifica non perché è vera, ma perché consente che il suo errore si possa dimostrare” (p. 50). Dopotutto “Il pensiero complesso riconosce pienamente il valore e la debolezza del carattere soggettivo della verità. La sua formula è: ”Faccio vivere la verità che mi fa vivere” (p. 53). Oppure accade frequentemente che lasciamo riprodurre quelle verità che ci fanno vivere nell’illusione del benessere e dell’abbondanza

Inoltre Morin ritiene che l’astrazione matematica può generare “una scissione con il concreto”. La matematizzazione è un processo che “taglia e isola”, che può formare delle “menti parcellizzate e tecno-burocratizzate” che “percepiscono le realtà viventi e sociali secondo la concezione meccanicistica-deterministica, valida soltanto per le macchine artificiali” (1994). L’analisi di un concetto, di un oggetto o di un fatto, necessita quasi sempre dell’integrazione con un processo di sintesi, in una discussione e valutazione sistemica più generale, e risulta migliore se resa è operativa attraverso il punto di vista di più osservatori e pensatori (alcuni suoi articoli sono reperibili nel sito www.persee.fr/web/revues/home).

Nel gioco della verità e dell’errore non vince necessariamente il più forte: quando due avversari sono in lotta, il vincitore non è “il più forte materialmente, ma quello che ha commesso meno errori, che ha saputo meglio sfruttare gli errori del suo avversario, chi ha saputo meglio correggere i propri errori” (p. 54). Nei Paesi totalitari o a democrazia molto limitata, i monopoli della verità e gli oligopoli del potere politico bloccano o distruggono il gioco della verità: la repressione delle critiche permette “una produzione continua di illusione e di menzogna” (p. 58).

Dunque “Il venir meno della concorrenza tra le idee è un cataclisma intellettuale. La soppressione della concorrenza tra le idee è un crimine politico”. Oltretutto “Abbiamo bisogno di devianti, di marginali, di esclusi. Essi ci sono molto più necessari degli inseriti e degli integrati” (p. 58), dato che eminenti religiosi, famosi intellettuali e grandi scienziati hanno troppe volte avallato l’oppressione e la violenza manifestata dai potenti più dispotici, volgari e criminali. Sartre è l’esempio più rappresentativo di amore comunista cieco e incondizionato. E l’élite al potere oggi in Italia è l’esempio peggiore di “Nomenklatura” corrotta nei corpi, nelle menti e nei conti bancari.

Inoltre “gli intellettuali riescono a vedere di sé stessi soltanto la funzione critica. Vedono meno che essi sono anche i maggiori produttori o formulatori delle ideologie, o addirittura dei miti, che per altri versi si danno la missione di criticare. Ancora più difficilmente vedono l’ideologia che è celata sotto la critica” (p 79). “L’astrazione filosofica costituisce il più raffinato dei vasi chiusi” e i premi Nobel non salvano dalla stupidità politica o economica. Ad esempio un grosso e famoso fondo di investimento fondato da un premio Nobel è fallito miseramente negli anni ’90 e i grandi economisti non si arricchiscono con i loro investimenti, ma fanno fortuna grazie alle esose consulenze pubbliche e private.

Comunque “La politica è una cosa generale che necessita di idee generali in un mondo in cui le conoscenze generali sono insufficienti proprio perché generali, e le conoscenze specializzate insufficienti proprio perché specializzate” (p. 43). Tutto ciò che è politico possiede dimensioni non politiche e tutto ciò che non è politico ha anche dimensioni politiche. “La politica si occupa di ciò che vi è di più complesso e di più prezioso: la vita, il destino, la libertà degli individui, della collettività, e ormai dell’umanità. E tuttavia, è proprio nella politica che regnano le idee più semplificatrici, meno fondate, più brutali, più cruente. È il pensiero meno complesso che regna su questa sfera, che è la più complessa di tutte. Sono le strutture mentali più infantili che impongono in essa una concezione manichea dove si oppongono Verità e Menzogna, Bene e Male. È nella sfera politica che regnano il pensiero chiuso, il pensiero dogmatico, il pensiero fanatico… è nel mito politico che si sono rifugiate e riversate le promesse di salvezza, che hanno trasformato questi miti in illusioni” (p. 44).

E ricordatevi bene: il cattivo politico “Mentirà e farà promesse, ma voi non lasciatevi trarre in inganno” (citato da Ryszard Kapuscinski). La vera parola politica si dà la missione di proclamare la verità, di snidare l’errore, di smascherare la menzogna. Mette in guardia contro i pericoli mortali ai quali conduce l’errore” (p. 47). Il pensiero politico insegna a conoscere e a pensare i problemi legati alla complessità ed è “capace di farsi carico della problematica economica, invece che andare a rimorchio dell’economia e dei processi sociali che essa mette in atto” (p. 36).

Purtroppo ancora oggi “Ci sono troppe leggi e troppo poche istituzioni civili” (Saint-Just). Occorre quindi educare tutti i cittadini e tutti i professionisti al pensiero della complessità. Altrimenti l’esperto perderà la capacità di concepire il globale e il fondamentale, e il cittadino perderà il diritto alla conoscenza. Le attuali scuole attualmente non aiutano in questo, ma per fortuna “i bambini e gli adolescenti sono immersi in un’altra cultura… Una cultura adolescenziale, che oltrepassa la scuola e in cui essi si formano da soli” (p. 155). In modo più realistico e imparziale.

I giovani conoscono meglio l’arte del gioco e della verità e sanno che la cosa più importante non è controllare il gioco, ma giocare. E agli esseri umani meno abili e coraggiosi che non amano l’agonismo e la lotta per affermare la verità, “rimane un ultimo modo di agire: non partecipare alla menzogna” (Solzhenitsyn). Per fare questo occorre affrontare la responsabilità del rischio di vedere il proprio pensiero. Infatti “il proprio pensiero è l’unica cosa sulla quale ognuno di noi può avere un’influenza personale, anche se fino a oggi è la cosa sulla quale ognuno di noi ha avuto in realtà l’influenza minore” (p. 136). Infatti durante l’infanzia abbiamo subito una specie di lavaggio del cervello da parte di genitori, insegnanti e preti, e l’imbrattamento e l’imbruttimento della mente da parte di giornali e Tv. 

Del resto tutte le arti hanno prodotto meraviglie, e forse “solo l’arte di governo non ha prodotto che mostri” (Saint-Just). In realtà c’è una grande eccezione a questa regola. Il ventesimo secolo ha prodotto una grande novità positiva: una pacifica e libera associazione economica, monetaria e politica di Stati. Con un po’ di fortuna l’Unione Europea e l’ONU saranno gli esempi politici che guideranno i destini del mondo. Però serviranno nuovi responsabili politici in grado di comunicare, ispirare, organizzare, animare, rielaborare, verificare. E la prima e unica regola di un moderno movimento di cittadini attivi dovrebbe essere questa: “Migliora te stesso”. E ai movimenti più idealisti suggerirei questo slogan: "Migliora il prossimo tuo come te stesso".

“Poeticamente l’uomo abita la terra (Holderlin) e “La felicità cammina a fianco dell’infelicità” (Tao). Ma “Dov’è la conoscenza che perdiamo nell’informazione e dov’è la saggezza che perdiamo nella conoscenza?” (Eliot). Di certo “senza speranza non troveremo l’insperato” (Eraclito).

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