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Libri gratis contro il razzismo: intervista allo scrittore Maurizio Alfano

Si è celebrata in questi giorni la Settimana di azione contro tutte le forme di discriminazione e razzismo proposta dall’Unar, organizzata ogni anno in occasione della Giornata per l’eliminazione delle discriminazioni razziali, fissata il 21 marzo dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Quest’anno però non è stato possibile organizzare manifestazioni pubbliche ed eventi di sensibilizzazione come ogni anno a causa dell’emergenza Covid-19 e l’iniziativa è finita in secondo piano. 

Per l’occasione Stranieriincampania ha deciso di intervistare lo scrittore Maurizio Alfano, che nei suoi libri si è occupato di tematiche legate all’immigrazione e al razzismo e che in questi giorni ha promosso l’iniziativa “Leggere non ti costa nulla, ma ti apre un mondo” rendendo scaricabili gratuitamente le proprie opere.

Ciao Maurizio benvenuto su Stranieriincampania. La prima domanda è: perché secondo te è necessario tenere alta l’attenzione sul razzismo in questo periodo?

L’emergenza Covid – 19 ci ha scaraventati tutti – dentro una dimensione parallela e surreale delle nostre vite inducendoci a cambiare l’ordine delle nostre priorità, almeno così appare in questo momento. È addirittura un ordine delle priorità per la sopravvivenza, ovvero dove ognuno di noi è chiamato attraverso una serie di azioni e comportamenti a tutelare la propria salute e quella degli altri. Ma i fenomeni migratori, mi chiedo, non rispondono proprio a questa esigenza atavica di mettere in salvo la propria vita e quella dei familiari spostandosi lì dove esistono le condizioni minime di sopravvivenza della propria specie? È come se esistesse dunque una legge del contrappasso, i migranti per mettersi in salvo devono viaggiare, noi che nella stragrande maggioranza osteggiamo tali spostamenti, per mettere in salvo ognuno la propria vita dobbiamo di contro fermarci, isolarci dentro casa e vivere il pregiudizio di venire respinti o mandati via da molti Paesi europei e non solo. Ecco perché è necessario tenere alta l’attenzione sul razzismo in questo periodo, poiché credo, che anche in questi giorni di emergenza Covid – 19 dove è manifesto il concetto di finitudine, si stiano attuando invece politiche ed azioni pubbliche che covano un sentimento nazionalista che per sua stessa natura produce la chiusura e il non riconoscimento dell’altro diverso da noi, nonostante quest’ultimo sia un’opportunità per tutti noi. Lo dicono gli indicatori economici, ma soprattutto quelli sociali che dovremmo tutti preferire. 

Perché ha deciso di rendere fruibili i suoi libri gratuitamente per i lettori?

Proprio in questa direzione ho voluto maggiormente rendere fruibili i mie testi, le mie ricerche che partendo dall’osservazione diretta dei fenomeni sociali, svelano, parlando dei migranti, quali sono i nostri sentimenti, limiti, aberrazioni comportamentali che nella quotidianità abbiamo finito per ripetere in maniera ossessiva stigmatizzando lo straniero, il migrante come il nemico della nostra comunità. Qui, interessante è il concetto di comunità che abbiamo interiorizzato e in soccorso ci viene Bauman. Quest’ultima è diventata quel luogo che agiamo in maniera separatista ed egoistica ogni qual volta esterniamo le nostre paure per presunti attacchi o minacce alla nostra sopravvivenza che arrivano dall’esterno, ovvero dalla presenza dei migranti. È proprio quanto sta accadendo in questi giorni, con un’importante eccezione però, che ne svela la sua pretestuosità ogni qual volta la agiamo contro i migranti oramai a prescindere. Il pericolo non viene dai barconi dei migranti, o dalle carovane umane ammassate ai confini tra la Turchia e la Grecia, ma viaggia spesso su un aereo, in prima classe ed è invisibile. Mentre sul corpo dei migranti sono chiari i segni delle torture e delle violenze subite, qui quello che fa paura, che ha cambiato le nostre vite è un virus invisibile che ha reso però ben visibili tutti i nostri limiti e pregiudizi al contrario. In questo caso farsi un’altra opinione, non costa nulla. Ecco il senso di offrire gratuitamente i miei libri.

Tu lavori e ti confronti molto con i più giovani e infatti uno dei tuoi libri “Il razzismo non è una favola” è proprio dedicato ai bambini e ai ragazzi, ci puoi raccontare come è nato questo libro?

Nasce dalla consapevolezza di raggiungere una parte importante del nostro presente, e ancor più del nostro futuro prossimo attraverso un linguaggio ed una narrazione alternativa a quella preponderante dei social, ovvero di informazioni di seconda mano che più infettano ed invadono il mondo delle giovani generazioni su questo tema. Allora la scommessa è stata quella di scrivere una favola, utilizzare i disegni che ne rappresentano le parti più importanti ed una modalità di scrittura, in questo caso di rima baciata, che ti coinvolge, spero, e ti porta a leggere e riflettere con voracità. Con voglia di andare avanti per scoprire cos’altro accade, per poi riprendere fiato e ragionare che è la favola, anzi la triste storia, per alcuni aspetti della nostra vita quotidiana. Ecco, nasce per tutto questo, ma come provocazione anche per gli adulti. Infatti – il razzismo non è una favola – è scritto per i più piccoli, ma è pensato per gli adulti. Per tutti quelli che dicono che non trovano mai il tempo di leggere qualcosa. La speranza allora, che mentre leggono qualcosa per i propri figli o nipoti, possano riflettere sulla loro condizione di adulti su un fenomeno come quello dei flussi migratori.

In uno dei tuoi libri “I rom. La razza ultima” tratti anche la condizione dei rom, che in questo momento vivono una situazione particolare, secondo te quali possono essere per loro i rischi legati all’emergenza coronavirus?

Rischi ulteriori che nella più totale indifferenza collettiva, e pubblica, si sommano su altri rischi divenuti cronici nel tempo in danno delle popolazioni Rom, tra gli altri per esempio, proprio la mancata pari opportunità di accesso ai servizi di cura e assistenza sanitaria. Se contestualizziamo poi, la loro condizione come nel caso delle comunità Rom che vivono nella Terra dei fuochi si può banalmente e fatalmente concludere come tutte le persone lì presenti siano esposte ad un rischio maggiore per i gas prodotti dall’interramento di rifiuti tossici e che loro da anni respirano ininterrottamente. Sono molto di loro, per questa politica di esclusione socio -sanitaria compromessi con il sistema respiratorio, con patologie gravi legate ai polmoni. Chi si è occupato di questo, atteso che il Covid – 19 aggredisce con più ferocia proprio quegli organismi deboli con riferimento alle patologie prima indicate? E poi, in quali condizioni di sicurezza possono rispettare le norme di quarantena sanitaria, loro che vivono la quarantena e l’isolamento sociale messo in atto nei loro confronti attraverso forme di razzismo istituzionale e sociale che si autorigenera nel tempo con ferocia inaudita. Come i senza fissa dimora, o i migranti fuori dal circuito dell’accoglienza, anche i Rom sono tra quelle fasce di popolazioni che corrono maggiori rischi, poiché privi e deprivati dagli strumenti minimi ed indispensabili per potersi adeguatamente proteggere. È come se avessimo già deciso che insieme agli anziani – rinominati morti con altre patologie, esserci tra gli ulteriori effetti collaterali anche le morti delle persone di cui ho parlato prima, rese categorie giuridiche per il sistema delle leggi, peggio, corpi a perdere per la sociologia che ne restituisce l’uso prevalente che ne fano i sistemi economici e capitalistici del nostro tempo. 

Quali possono essere le politiche delle amministrazioni locali per supportare le fasce più vulnerabili della popolazione e non lasciare nessuno indietro?

Iniziare con il restituire a tutte le fasce vulnerabili la loro soggettiva, compressa ed umiliata da forme a volte di assistenza caritatevole e benefattrice che non genera alcuna consapevolezza, ma al contrario stigmatizza ancora di più la loro condizione di esclusi incolpevoli. Altra cosa è il Terzo Settore, quello di trincea, quel microrganismo cellulare fatto di tante associazioni e cooperative sociali che da anni ha fatto una scelta di campo offrendo competenza ed umanità. Hanno creato tutte queste persone che ci lavorano, avete creato, come nel vostro caso, quello che viene definito spesso un modello virtuoso di interazione. Un modello che arricchisce, che sana quella frattura sociale da tempo stagliatasi nelle nostre comunità tra autoctoni e nuovi residenti. Ecco, siete quella che io chiamo una cerniera sociale che ricuce lo strappo di una società ferita. Ecco quello che le amministrazioni locali devono incentivare sempre, e non solo appellarsi a questo mondo in situazioni di emergenza come questa. Questa è più visibile, ma l’emergenza dell’esclusione sociale è sempre tra noi. Dotarsi, o mettere a disposizione tutti gli strumenti giuridici quindi per affermare la loro piena titolarità di diritti, che non sono scontati, nonostante ne siano portatori al pari di ognuno di noi e in questa direzione godere del potenziale umano, sociale ed economico che possono di contro innestare nelle singole comunità. Valorizzare la diversità, dalla quale ancora si continua a prendere le distanze, o avere per paura per ignoranza o pregiudizio è il sentiero da percorrere. Conoscere poi, ognuno per le proprie competenze le emergenze sociali presenti sul proprio territorio e non scoprirle in coincidenza di eventi come quelli del Covid – 19 che ci trova impreparati nel non lasciare nessuno indietro. Ecco, se impariamo che nessuno mai, e in nessun momento, deve rimanere indietro, forse quello che stiamo vivendo in questo periodo ci avrà insegnato qualcosa. 

Possono emergere delle nuove situazioni di razzismo in questo periodo? Se sì, come prevenirle e combatterle?

Beh, più che nuove forme di razzismo intanto si sono palesate ancora di più tutte quelle forme che gran parte della società italiana ha sempre fatto finta di non vedere, o addirittura negato. È sicuramente discriminatorio infatti non avere le stesse tutele in un momento particolare come quello che stiamo attraversando in questi giorni. Quello che stiamo vivendo ci restituisce infatti, per intero, il cambio del paradigma avvenuto purtroppo da anni nel nostro Paese risiedere nel passaggio appunto da episodi di razzismo a situazioni di razzismo come Lei giustamente indica. E la differenza non è di poco conto. Le nuove forme di razzismo che latitano al momento imbattano sul costo degli stranieri presenti in Italia, e c’è chi inizia ad indicare quest’ultimi, ancora una volta, essere fonte di dispersione della ricchezza nazionale che in questo momento avrebbe potuto garantire maggiore sanità al Paese. E’ ovvio, come tutti sappiamo che il problema in Italia sono i clandestini al fisco, e non i migranti resi clandestini da un sistema economico. Ma quello che stiamo vivendo sta facendo emergere una nuova forma di odio strisciante, di razzismo ancora una volta di ritorno come nel caso per esempio del continuare ad inveire verso chi dal Nord ha cercato di fare ritorno al Sud. Qui non entro nelle dinamica di cosa sia giusto o sbagliato, governare la paura non è facile, ma restituisce per intero il nostro essere stati nel tempo predisposti e disponibili a trovare sempre un nemico sulla quale inveire. La prevenzione per questo passa obbligatoriamente attraverso la conoscenza delle cose. Parlare di razzismo, ovvero del suo contrario implica una conoscenza trasversale di diverse discipline accademiche. Sociologia, economia, demografia, studio delle religioni, geografia delle migrazioni, geopolitica, climatologia, antropologia, studio delle culture ed usanze dei popoli nel mondo, biologia, studio delle probabilità, scienze umanistiche, filosofia, storia, arte, lingue. Un caleidoscopio di conoscenze che in sua assenza produce prendendo a prestito i titoli dei miei libri, razzisti perbene, nel migliore dei casi, razzisti a prescindere, nel peggiore. 

In un recente articolo hai parlato di contraddizioni, quali contraddizioni sta evidenziando l’emergenza nella nostra società?

La più vistosa? Quella che io chiamo – una forma di umanità temporanea dettata proprio dalle nostre ansie, dalle nostre paure. Basti pensare al comportamento schizofrenico sui medici. Oggi eroi, ieri pestati di botte nelle corsie degli ospedali e nei pronto soccorso. Ed anche qui vale quella distinzione di cui parlavamo prima, ovvero del cambio di paradigma dal passare da episodi a situazioni di violenza diffusa contro una categoria di professionisti come quella dei medici. Un’altra contradizione poi, a mio parere, più intima alle nostre vite, alle nostre anime è quella forse di iniziare a chiudere i balconi, spegnere la nostra saccenza finora accumulata e aprirsi ad un rinnovato modo di imparare a conoscersi. Impariamo a parlare a noi stessi, a trovare quel coraggio necessario a fare i conti si, con noi stessi, anziché parlare, anzi, sparlare degli altri, i migranti per esempio. Impariamo a parlare anche animatamente se necessario con la nostra anima, con il nostro essere. Ci vuole coraggio, lo so. Affrontarsi è tra le sfide più difficili che possano esistere, è terribile, ma necessario se vogliamo sperare in cambio di prospettiva. 

Cosa dovremmo imparare dall’emergenza coronavirus?

Il concetto di finitudine della nostra esistenza come esseri umani, economicamente rimosso, come se più ai soldi e più eterno sei, e di caducità delle cose che accumuliamo e che nulla servono in momenti come quelli di cui stiamo qui questionando. Che la nostra stessa sopravvivenza può dipendere da quell’aiuto che ti viene offerto anche da chi è sempre stato stigmatizzato come nostro nemico. Ed ancora, essere stati trasformati da essere umani e in quanto tali portatori di umanità, a esseri economici, e in quanto tali mezzi di trasformazione delle merci di cui siamo anche destinatari finali e consumatori fedeli ha reso fronteggiare questa emergenza ancora più difficile. Ecco cosa dovremmo tutti imparare. Maturare un senso di ritrovata consapevolezza come il sentimento di bene comune che è il solo che può tenerci al riparo da pandemie mondiali alle quali tentiamo di rispondere in ordine sparso. È il senso del cosmopolitismo che dobbiamo sempre più imparare ad apprezzare come l’unica via che può tenerci tutti in maniera equa e solidale uniti. Si può essere d’accordo o no con la globalizzazione, ma tutti non possiamo essere d’accordo che le nostre vite lo siano già di fatto, e questo è un processo irreversibile. Tutti ogni giorno siamo collegati con il resto del mondo, le merci circolano ad una velocità impressionante, prima degli esseri umani addirittura se pensiamo ai migranti e per questo dobbiamo imparare a tenere a mente che tutto ciò che si muove in uno spazio come il nostro Pianeta deve essere nella disponibilità di tutti e produrre pari opportunità di accesso alle ricchezze naturali ed alle sue trasformazioni per ogni essere umano, nessuno escluso. Quello che dovremmo imparare poi, più crudelmente è che basta uno starnuto ed opsss può cambiare la nostra vita. Quindi imparare ad essere umani. 

Stranieriincampania ringrazia Maurizio Alfano, a questo link potete scaricare i suoi libri. 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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