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Libia: arginiamo Parigi, ma cacciamo Gheddafi

Sono le misere gelosie tra i Paesi europei a stagliarsi sulle ceneri della leadership americana. L'Italia ha ragione nel pretendere un comando Nato della missione, ha torto nel porre limiti alle operazioni, ma in questo sembra in linea con le ambiguità del presidente americano Obama.

Se si tratta di arginare il protagonismo francese - che ha tutta l'aria di essere dettato non da un afflato umanitario, ma dalla volontà di sostituire la propria influenza a quella italiana in Libia e dall'ambizione personale di Sarkozy, che cerca di rianimare la sua immagine nell'imminente corsa alla rielezione - ok; se è un modo per tornare su una posizione "neutralista" e prolungare surrettiziamente il regime di Gheddafi, decisamente no, perché ciò non risponde più ai nostri stessi interessi e prima ce ne convinciamo, meglio è. Invece, nel centrodestra stanno confondendo la legittima reazione al protagonismo francese con le sorti del raìs. E' certamente vero che siamo di fronte ad un intervento per lo più di carattere "neocoloniale" da parte di francesi e inglesi, che mirano a sostituire la loro influenza alla nostra in Libia, ma la soluzione non è piangerci addosso e addolorarci per Gheddafi. Il punto è un altro: che il Colonnello cada, e il prima possibile, è ormai anche nel nostro interesse, dal momento che il ritorno a qualcosa che somigli anche lontanamente allo status quo ante è impensabile e quindi il nostro comodo "posto al sole" in Libia è perduto. Dobbiamo riconquistarlo non prolungando l'agonia di Gheddafi, bensì non lasciando il comando delle operazioni - belliche e politiche - ai francesi. Questa è la sfida, rispetto alla quale l'alternativa è ritrarsi, rinunciando però in partenza a riguadagnare le preziose posizioni perdute in Libia.

Ad aver lasciato campo libero ai francesi purtroppo siamo stati noi stessi, paralizzati - a quanto pare ancora oggi - dall'imbarazzo per la nostra (ex?) amicizia con Gheddafi. Guardiamo agli Stati Uniti di Obama, a quanto velocemente hanno scaricato il loro miglior "amico" in Medio Oriente, Mubarak, quando si sono accorti che lo scenario era cambiato per sempre. Dobbiamo riconoscere, come fa non da oggi Mario Sechi su Il Tempo, che Sarkozy «è stato svelto nello scavalcarci perché ha capito qual era lo scenario»: in breve, che le rivoluzioni in Tunisia, Egitto e Libia stavano aprendo lo «spazio geopolitico» del Mediterraneo a chi fosse stato più rapido nel riempire quel vuoto; e che gli Stati Uniti sarebbero stati refrattari a svolgere un ruolo da protagonisti nella crisi libica. In questo spazio avremmo dovuto infilarci noi, invece Sarkozy ci ha preceduti. Ora non possiamo far altro che rincorrere, non negare la situazione.



Di fronte a quanto stava accadendo, e alla Francia che puntava chiaramente a sostituire l'Italia nei rapporti con la nuova Libia, due erano le possibilità per il nostro governo: o sostenere dichiaratamente il Colonnello, con tutto quello che avrebbe comportato, e senza nasconderci che comunque il suo destino sarebbe stato segnato nel medio termine; oppure, contendere ai francesi il dopo-Gheddafi, ma puntando decisamente a favorire il "dopo". Tertium non datur. Per questo è giusto sollevare un problema di comando, ma sarebbe sbagliato restare nell'ambiguità sull'obiettivo ultimo: cacciare Gheddafi prima possibile.

Questa guerra è cominciata tardi e male essenzialmente per responsabilità americane, per la debolezza della leadership di Obama. La confusione sull'obiettivo ultimo della missione infatti è innanzitutto la sua. Da una parte ripete ogni giorno che nessuna risoluzione dell'Onu autorizza a cacciare il raìs, quindi che l'obiettivo della missione non è rovesciare il regime, dall'altra aggiunge che il dittatore «se ne deve andare», non si capisce bene come. Indica una sottilissima «distinzione» fra l'intervento militare autorizzato dall'Onu e la politica del suo governo. La risoluzione 1973 richiede la protezione dei civili dalle violenze di Gheddafi, dunque l'obiettivo della coalizione non è il «cambio di regime», ma ciò non toglie che la Casa Bianca ritenga che «Gheddafi deve abbandonare il potere». Eh sì, sono lontani i tempi della chiarezza cristallina di George W. Bush. Solo con le lenti dell'ipocrisia si può fingere di non vedere che laddove la risoluzione autorizza «ogni mezzo necessario» a proteggere la popolazione civile, de facto autorizza - se necessario - anche la rimozione di Gheddafi dal potere. Ma secondo Obama l'intervento armato si dovrebbe limitare a proteggere i civili, mentre le sanzioni dovrebbero bastare a far cadere il regime. Questo per lasciare almeno all'apparenza nelle mani dei libici il loro destino, come in Egitto nel caso di Mubarak, evitando di impegnare gli Usa in un vero e proprio "regime change", che ricorderebbe troppo Bush. Se è lecito dubitare che una no-fly zone possa provocare da sola la caduta di Gheddafi, figuriamoci le sanzioni. O si tratta di ipocrisia liberal allo stato puro - e a questo punto c'è da augurarselo - oppure c'è da dubitare delle doti politiche del presidente Usa.

Stupiscono infine certe obiezioni sollevate nel campo del centrodestra, che somigliano in modo sospetto a quelle sollevate dalla sinistra ad ogni guerra americana: perché in Libia sì e in altre parti del mondo no? Il fatto che di dittature anche più minacciose e di genocidi sia pieno, purtroppo, il mondo non significa che bisogna rimanere con le mani in mano anche quando c'è la possibilità di intervenire. E' il solito trucco dialettico: siccome si dovrebbe intervenire ovunque, o comunque "ben altre" sarebbero le situazioni che richiederebbero un intervento, allora non si interviene mai.

Commenti all'articolo

  • Di Luigi Nicotra (---.---.---.21) 23 marzo 2011 16:16

    Concordo sull’analisi di fondo, circa la necessità che a questo punto si vada fino in fondo, vale a dire fino ad ottenere la cacciata di Gheddafi. Aprire un negoziato col satrapo sarebbe, a questo punto e nella migliore delle ipotesi, una mera perdita di tempo e, nella peggiore, un entrata nel suk delle richieste estorsive del tiranno.
    Quello che non capisco è questo dare addosso alla presunta ambiguità della linea poltica di Obama. Gli USA hanno fatto per tempo sapere che non intendevano impegolarsi in un altro conflitto, dopo IRAQ ed Afghanistan e che ritengono che debba essere l’Europa, con il mero appoggio americano, anche per evidenti ragioni geo-politiche, a farsi carico in prima persona del conflitto libico. Il problema vero è proprio questo, vale a dire il nanismo politico dei paesi europei che non hanno una linea comune in politica estera e della difesa di difesa, nemmeno in ambito NATO. Quel nanismo che ha fatto sbottare il Segretario generale Nato Rasmussen il quale ha dichiarato, in buona sostanza, di non capire che ci sta fare una struttura così complessa ed estesa se poi i paesi membri, europei in primis, non intendono usarla. Insomma, che l’Italia e l’Europa si prendano le loro responsabilità senza aspettare che gli USA gli tolgano le castagne dal fuoco!
    LN

  • Di marcello console (---.---.---.206) 24 marzo 2011 00:47

    In base a cosa dici che in Libia c’è una dittatura?

  • Di Luigi Nicotra (---.---.---.21) 24 marzo 2011 13:05

    Strana domanda…..Mi limito a risponderle rammentandole che la rivolta libica ebbe inizio con una manifestazione davanti a una stazione di polizia a Bengasi, nel pomeriggio di martedì 15 febbraio, dove si erano radunate un centinaio di persone per protestare contro l’arresto di un avvocato difensore dei diritti civili, Fathi Tarbal. L’avvocato si sta battendo per fare luce sulla rivolta nel carcere di Abu Salim di Tripoli, nel 1996, durante la quale morirono circa 1.200 detenuti politici.
    Per il resto, circa il fatto che a Libia sia universalmente considerata come un regime dispotico, la rimando ai vari rapporti di Amnesty International, fra i quali "La Libia di domani: quale speranza per i diritti umani?" pubblicato il 23 giugno 2010, nei quali ben si evidenzia che in Libia la violazione dei diritti umani è una realtà concreta nella quale si fa ricorso alle torture, alla fustigazione delle donne ed alla pena di morte.
    Secondo le ricerche di Amnesty, a molti detenuti vengono estorte, mediante tortura, confessioni. I maltrattamenti da parte delle forze di polizia sono pratica comune: bastonate, scariche elettriche, sospensione per le braccia e il diniego deliberato di assistenza medica, questi i metodi utilizzati nei confronti dei detenuti. I detenuti, poi, sono privi di un’assistenza legale e non possono avere alcun tipo di contatto verso l’esterno.
    Le forze di sicurezza abusano del loro potere in maniera incontrastata, arrestando e imprigionando dissidenti. Gli attivisti per i diritti umani vengono perseguitati e arrestati. I richiedenti asilo, gli immigrati regolari e i rifugiati vengono regolarmente sfruttati e subiscono violenze e abusi, nell’assenza di qualsiasi tipo di garanzia.
    Alle medesime risultanze perviene Freedom House la quale pone la Libia tra i nove Stati peggio del peggio ( v. rapporto " I peggiori dei peggiori: le società più repressive del mondo " ). E la Libia e’ anche nella lista nera di un’altra organizzazione non governativa Human Rights Watch tra i paesi che compiono abusi e sopraffazioni.
    Per finire, le rammento che di recente , l’Assemblea Generale dell’Onu ha espulso la Libia dal Consiglio sui diritti umani, Consiglio all’interno del quale non si capisce a che titolo la Libia sedesse!
    Su mandato dell’Onu, inoltre, la Corte Penale Internazionale dell’Aja ha avviato indagini su crimini contro l’umanità a carico di Gheddafi.
    Questo è solo una brevissima sintesi delle nefandezze che si compiono in Libia. Per il resto, se si fa un giro sul Web, trova tutto questo e molto altro.
    Saluti.
    LN

    • Di yepbo (---.---.---.187) 31 marzo 2011 01:40

      Ciedo scusa, ma io invece trovo, quantomeno strana la sua risposta al Sig Consoli. E direi strana nella migliore delle ipotesi! Si fa un giro nel Web e si trova tutto ecc.?! Ma scherziamo?

      Si va nel paese, ci si va ad abitare, ci si va a lavorare, ci si va vivere tutti i giorni con la gente del posto, e lo si gira assieme a loro. Si va a mangiare con loro, si va alle loro feste, ai loro matrimoni e perché no, si partecipa ai loro funerali. Sig Nicotra, ma lei in Libia c’é mai stato? Lo ha mai visto un libico? Io da anni vado in Libia, ci vado ( andavo temo ) per lavoro, ci vivo per qualche mese ogni volta, ci ho dei cari amici. Ritengo di averne una certa conoscenza, e mi creda, la realtà é molto molto molto diversa da quella che vi hanno vergognosamente spacciato. 
      Mi spiace per lei, se avesse passato anche solo 15 giorni in Libia, anche da turista, lei avrebbe aquisito una conoscenza molto diversa da quella che ha fatto sua girando per il web.

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