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"Un’abbuffata di tasse", la terapia della crisi del debito

Viviamo in uno strano Paese, dove alla crisi del debito sovrano nella zona euro si risponde non tagliando la spesa e abbattendo il nostro debito con dismissioni di patrimonio pubblico, ma aumentando le tasse

Se il riequilibrio dei conti pubblici dal 2010 al 2014, cioè l'azzeramento del deficit, si realizza - lo certifica la Corte dei Conti - "in una prospettiva di ulteriore aumento del livello di intermediazione del bilancio pubblico", cioè "nonostante un ulteriore aumento del livello della spesa pubblica (più di 45 miliardi)", evidentemente l'obiettivo non è far dimagrire lo Stato, ma "salvarlo" così obeso come lo conosciamo. E infatti la bizzarra terapia sembra consistere in ricorrenti abbuffate di tasse.

Ma non deve sorprendere, perché è lo stesso Paese nel quale gli organi di stampa espressione della borghesia e del mondo industriale - come Corriere della Sera, Sole24Ore, Radio24 - da anni, e con più vigore in questi giorni, sono concentrati prioritariamente sulle campagne, per lo più demagogiche, contro la "casta" dei politici e contro l'evasione fiscale. Così Sergio Rizzo, sul Corriere, denuncia che l'evasione si è quintuplicata negli ultimi trent'anni, dimenticandosi però di ricordare che negli stessi trent'anni la pressione fiscale si è decuplicata.

Non è strano che in Italia, anziché attaccare l'elevata imposizione fiscale, il "business" metta le sue bocche da fuoco mediatiche a disposizione dello Stato per la caccia all'evasore? Se avessero profuso altrettante energie nel condannare la spesa pubblica e l'insopportabile livello della tassazione, forse oggi sarebbe stata più forte e consapevole la pressione dell'opinione pubblica in tal senso.

Finché permarrà, invece, un approccio moralistico e ideologico ai fenomeni economici e sociali, non sconfiggeremo né l'evasione fiscale né la mafia. Solo chi è troppo accecato dal populismo e imbevuto di cultura statalista, infatti, non riesce a vedere che l'evasione fiscale in Italia è un fenomeno così di massa, così diffuso e capillare, che non può avere una spiegazione soltanto delinquenziale, o peggio antropologica (lo scarso senso civico degli italiani), ma probabilmente è alimentato da un istinto di autodifesa nei confronti di uno Stato-padrone e da ineludibili necessità economiche: a certi costi le attività produttive risultano semplicemente insostenibili.

E il paradosso è che unirsi alla caccia all'evasore significa aiutare lo Stato ad intermediare quote sempre maggiori di ricchezza (non rubata, ma fino a prova contraria prodotta lavorando onestamente), in definitiva quindi aiutare proprio la "casta" degli odiati politici ad aumentare il loro potere sui cittadini. Allo stesso modo, bisogna molto laicamente riconoscere che ai livelli attuali di pressione fiscale, sprechi e inefficienze, in alcune aree del Paese le organizzazioni criminali sono più competitive dello Stato, perché meno costose e più efficienti nel controllo del territorio.

Come provano da una parte l'inarrestabile corsa della pressione fiscale negli ultimi trent'anni e dall'altra la vera e propria "Stasi" tributaria che sta prendendo forma, prima con il giustizialismo del "solve et repete" (prima si paga, poi si contesta) e i poteri sempre più invasivi di Equitalia, ora con la definitiva caduta del segreto bancario, la risposta italiana alla crisi è la socialistizzazione a tappe forzate della ricchezza che sempre meno la società è in grado di produrre.

Purtroppo il rischio concreto, nel 2012, è che il Paese si trovi stretto in una morsa recessiva letale: la lotta all'evasione che con il suo armamentario di sequestri, ipoteche e pignoramenti potrebbe provocare fallimenti a catena di piccole-medie imprese, con le ricadute che possiamo immaginare sull'occupazione; e la patrimoniale da 53 miliardi sulla casa che potrebbe causare una drastica contrazione dei consumi e/o un netto calo del valore degli immobili, se dovesse innescarsi una crisi dei mutui o un'ondata di vendite da parte dei proprietari pensionati.

Stavolta non mi trovo d'accordo con Luca Ricolfi, per il quale per tagliare la spesa bisogna prima studiare dove e come. A mio modesto avviso l'ordine dei fattori dovrebbe essere invertito: solo i tagli, anche se lineari, obbligano a "studiare". Come dimostra la nostra storia fiscale, se aspettiamo di avere i "piani operativi pronti" non taglieremo mai nulla. E' solo affamando la bestia che le si può imporre di dimagrire.

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