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Le ultime novità sul caso Parmaliana

L’estate porta novità sulla vicenda del professore Adolfo Parmaliana, il docente universitario di Vigliatore Terme in provincia di Messina spinto al suicidio da un improbabile rinvio a giudizio per aver osato esultare e gioire per lo scioglimento del consiglio municipale del proprio comune a causa di infiltrazioni mafiose. Di questa vicenda ha parlato in maniera esaustiva Alfio Caruso nel saggio 'Io che da morto vi parlo – Passioni, delusioni, suicidio del professore Adolfo Parmaliana', Editore Longanesi, pagine 220, Euro 15,00.

Oggi sembrerebbe che la magistratura di Reggio Calabria sia intervenuta chiedendo il rinvio a giudizio del dottor Rocco Sisci, ex procuratore della Repubblica di Barcellona P.G., per aver rivelato ad altri due magistrati, il dottor Franco Cassata ed il dottor Olindo Canali, le risultanze di un’inchiesta giudiziaria ancora in itinere, condotta dal dottor Andrea De Feis, anche egli sostituto presso la procura di Barcellona P.G., e dal capitano dei Carabinieri Cristaldi. L’inchiesta, avente per oggetto la mala amministrazione del comune di Vigliatore Terme, aveva finito per toccare anche il dottor Canali per le sue frequentazioni con Salvatore Rugolo, cognato del capomafia Giuseppe Gullotti. Il dottor Cassata ed il dottor Canali, infornati dell’indagine, avrebbero adoperato la propria influenza affinché le indagini non proseguissero oltre. Il dottor Canali ha già lasciato la procura di Barcellona P.G. per evitare la rimozione per incompatibilità ambientale e funzionale.

Una brutta storia, dunque, che vede più di un magistrato tenere comportamenti non proprio adeguati al ruolo ricoperto, ma gli ultimi sviluppi non possono portare a sostenere, come da qualche parte si sostiene, che il professore Parmaliana non sia morto invano. Ne siamo ancora ben lontani.

L’anomalia fondamentale rilevabile dalla vicenda riguarda le attuali procedure penali, solo formalmente garantiste verso quanti si trovano nella condizione di essere imputati innocenti, ma, nei fatti, del tutto e vergognosamente inaccettabili.

Un primo punto è quello della necessaria netta separazione fra l’attività istruttoria e quella del giudizio: non è ancora nato l’essere umano che darà torto a se stesso. Su questo si sta già muovendo il governo nel senso di una riforma che difficilmente può trovare obiezioni dettate dal buon senso.

Questo, però, non è affatto sufficiente.

Il rispetto della dignità della persona dell’imputato, di cui occorre anche presumere l’innocenza sino ad una sentenza di condanna definitiva, richiede che il passaggio dalla fase istruttoria a quella di giudizio sia oltremodo sollecito e sia accompagnato dalla possibilità di replicare in dibattimento, ossia in maniera pubblica e compiuta, alle accuse contro lui formulate.

Non è credibile che un magistrato, nel corso di una prima pubblica udienza di questo tipo, avrebbe mantenuto l’assurda ipotesi di colpevolezza avanzata nei riguardi del professore Adolfo Parmaliana.

Ed invece il professore Parmaliana, ben conoscendo le discrasie dell’attuale sistema giudiziario, dopo il suo rinvio a giudizio ha capito subito a cosa sarebbe andato incontro. Non è sbagliato rileggere questo passo della sua lettera d’addio: «La Magistratura barcellonese/messinese vorrebbe mettermi alla gogna, vorrebbe umiliarmi, delegittimarmi; mi sta dando la caccia perché ho osato fare il mio dovere di cittadino denunciando il malaffare, la mafia, le connivenze, le coperture e le complicità di rappresentanti dello Stato corrotti e deviati. Non posso consentire a questi soggetti di offendere la mia dignità di uomo, di padre, di marito, di servitore dello Stato e docente universitario. Non posso consentire a questi soggetti di farsi gioco di me e di sporcare la mia immagine, non posso consentire che il mio nome appaia sul giornale alla stregua di un delinquente. Hanno deciso di schiacciarmi, di annientarmi».

Deve aver avuto gli stessi sentimenti l’ispettore di polizia Americo Rogas, nel romanzo di Sciascia "Il contesto", mentre veniva ucciso per aver proseguito le sue indagini in senso opposto ai desiderata di quel potere che – sono parole del grande scrittore siciliano - «sempre più degrada nella impenetrabile forma di una concatenazione che approssimativamente possiamo dire mafiosa».

Quando non sarà più possibile a nessuno, qualunque sia l’incarico che ricopra, oltraggiare la dignità di un cittadino come è stato fatto con il professore Adolfo Parmaliana, allora e solo allora potremo dire che egli non è morto invano. Ma, se mai questo accadrà, allora vorrà dire che il nostro Paese non sarà più terra di frontiera nella ricerca del rispetto delle regole della civile convivenza e che avrà completato un suo lungo, necessario percorso di civiltà.

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