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Le scelte africane

Quando i Paesi africani si incontrano e si organizzano per il loro futuro, ma vengono oscurati sui media dal continuo rimandare paesi industrializzati.

Le scelte africane

Una carenza d’informazione sui fatti del Mondo potrebbe far venire il sospetto dell’innato interesse dei media italiani per l’ombelico del Bel Paese, come possibile grimaldello di potere e ricchezza. In realtà i confezionatori delle notizie sono convinti che le vicende fuori dai confini italiani sono di poco interesse se non hanno un evidente riflesso sulla politica o l’economia italiana, dimenticando che tutto può avere delle conseguenze su di ognuno, come la suggestiva enunciazione di Ray Bradbury, nel racconto Rumore di tuono (1952), sull’effetto farfalla «Si dice che il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo». Un’anticipazione della "Teoria del caos", basata sulla causa-effetto che in una realtà globalizzata rende inevitabile i piccoli e grandi cambiamenti che può avere il comportamento di ognuno sulla vita degli altri.
 
L’inquinamento europeo non rimane circoscritto al “vecchio” continente, ma viaggia per mare e cielo, influenzando gli altri Paesi e gli equilibri della Terra e l’incontro di undici paesi africani a N’Djamena (Ciad), è uno di quegli avvenimenti che non si può ignorare, come spesso accade per le iniziative che vengono intraprese dai Paesi del Sud del Mondo, perché è stata un’occasione per porre concrete basi ad una visione ambientalista della vita.
 
Avvenimenti d’Africa sopraffatti, se non sono i Campionati del Mondo di calcio, dai vertici e riunioni dei “Grandi”, o degli aspiranti tali, che consumano energia e sprecano centinaia di milioni di Euro o Dollari, evidenziando l’inadeguatezza politica dei partecipare, nello stilare generici comunicati per perseguire gli intenti comunitari, ma lasciando ai singoli paesi la scelta del metodo e dei mezzi per raggiungerli.
I Paesi “progrediti” o dalle economie emergenti si confrontano per cercare delle soluzioni valide per tutti e impegnandosi ad aiutare le popolazioni in zone depresse, producendo un comunicato che consiglia certi accorgimenti non vincolanti, lasciando ogni Paese libero di trovare la sua strada, come i tempi di erogazione dei fondi promessi all’Africa rimane a discrezione dei singoli Governi, come quello italiano che invece di aumentare progressivamente, come concordato a Gleneagles nel 2005 e ribadito a L’Aquila lo scorso anno, riduce l’impegno del 6% rispetto al 2004. Fortunatamente l’Africa cerca di non essere in balia degli umori dell’Occidente, come dimostrano gli undici paesi (Burkina Faso, Gibuti, Eritrea, Etiopia, Mali, Mauritius, Niger, Nigeria, Senegal, Sudan e Ciad), riunitisi a N’Djamena per trovare una soluzione alla desertificazione del Sahel, recuperando il progetto per la realizzazione, entro cinque anni, di una barriera verde.
 
Una Muraglia Verde di oltre 7.000 chilometri di lunghezza e larga 15 che secondo i sostenitori del progetto dovrebbe rallentare l’erosione del suolo, riducendo la velocità dei venti, permettendo al suolo di assorbire l’acqua piovana, arrestando la desertificazione e aumentando l’assorbimento annualmente del CO2.
 
Già nel 2004 l’Unione africana aveva avanzato il progetto, ma la mancanza di coordinamento, i conflitti e la penuria di fondi non aveva aiutato a renderlo realizzabile. Ora appare ottimistico sperare nel finanziato dalle aziende per bilanciare il loro inquinamento, grazie ai meccanismi previsti dal protocollo di Kyoto. Un rimboschimento per il credito anidride carbonica, oltre a contribuire alla produttività del suolo in queste regioni, per sviluppare l’agricoltura e la pastorizia, fonti primarie di sostentamento per gli abitanti.
 
Un primo tentativo nel 2008 aveva portato la messa in dimora di cinquemila alberi e diecimila lo scorso anno, per arrivare a 50mila piante l’anno per dieci anni. La riuscita è affidata alla buona volontà, a tale fine sono stati coinvolti non solo studenti dell’Università di Dakar, ma soprattutto i contadini, in particolare le donne, per la cura dei vivai e sopperendo alla successiva mancanza di cure adeguate.
 
Superare le diffidenze dei contadini verso gli alberi, scegliendo di piantare l’eucalipto e l’acacia albida per arginare la famelica popolazione di uccelli e locuste, mentre le foglie secche proteggono le colture dal sole e ingrassano il suolo di azoto.
 
Il coinvolgimento delle popolazioni locali, responsabilizzandoli sul loro futuro, eviterà che i giovani arbusti rimangano vittime dal sole secco o bestiame famelico, riducendo un costoso lavoro in polvere. Un progetto ideato da africani per gli africani, ma anche per migliorare il future di tutte le generazioni.
 
A N’Djamena, solo qualche giorno prima della definizione della Muraglia Verde, sei, su nove, Paesi africani si sono impegnati a proibire "qualsiasi forma" di arruolamento di bambini. Bambini che dovranno aspettare il loro diciottesimo anno per imbracciare un fucile, ma che potranno vivere la loro infanzia, oltre ad ostacolare l’inizio di nuovi conflitti.
 
La farfalla, a N’Djamena, ha battuto due volte le ali, per influenzare il futuro di molti. La Muraglia Verde ha basi concrete, più di cinque anni fa, per vederla realizzata, mentre la dichiarazione firmata da 6 (Camerun, Centrafrica, Ciad, Niger, Nigeria, Sudan) dei 9 partecipanti alla conferenza regionale sui bambini soldato, organizzata dal governo del Ciad e dall’UNICEF, rischia di rimanere solo una dichiarazioni di intenti, grazie anche alla mancata adesione della Repubblica Democratica del Congo, Liberia e Sierra Leone, se all’iniziativa vengono dedicate solo isolate righe sul web.

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