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Le circostanze ripetibili: narrazione di una vittoria contro il racket

La camorra e l’antiracket (Felici Editore, Ghezzano, 2012, p. 209, € 13.00), di Nino Daniele, Antonio Di Florio e Tano Grasso, è un testo che meriterebbe di stare nella libreria di ogni cittadino che si occupi seriamente del proprio Paese e ritiene che si debbano articolare sempre nuove strategie per affrontare la grande criminalità. L’Italia, ed in particolare il Sud, gronda dei segni del degrado e della corruzione, umana e culturale prima ancor che economica, dovuti alla presenza della criminalità che, come fosse un castigo biblico, sembra dover accompagnare i popoli del Meridione (e non soltanto) verso un destino ineluttabile di sottomissione e sfruttamento. In questo contesto chi ha ruoli di responsabilità nel settore pubblico o in quello privato se non vuole essere complice si scontra con la forza monolitica di una contro-istituzione che sembra essere più radicata dello Stato stesso, pervasiva e capace di torcere a suo vantaggio ogni iniziativa (sia pubblica che privata) sulla quale metta gli occhi, in un circolo vizioso, che sembra inarrestabile, di spoliazione, profitti sudici e violenza.

Eppure, nonostante questo contesto sia ben noto, La camorra e l’antiracket ha una caratteristica molto rara: a differenza, ad esempio, del classico per eccellenza della lotta tra Stato e mafie, Il giorno della civetta (Sciascia, 2002), il libro che esaminiamo racconta di una vittoria, un successo dello Stato e dei cittadini, e non di una sconfitta. Inoltre, non si tratta di fiction – per quanto essa sia forse, a volte, più vicina alla realtà delle cronache e delle verità giudiziarie – come il libro di Sciascia (cfr. Jansen, Khamal, 2010) ma di un vero racconto autobiografico: i tre autori sono stati, infatti, i protagonisti della nascita del “modello Ercolano”, ovvero della rinascita della città campana dove, grazie all’attivismo delle istituzioni ed alla collaborazione dei cittadini, i clan camorristici della zona sono stati praticamente sgominati nel giro di un lustro.
 
Con il consueto fatalismo italiano, siamo portati a chiederci se si tratti di miracolo irripetibile o (peggio) malafede da parte di qualcuno, ma è proprio uno degli autori a svelare l’arcano: si è trattato, come scrive Antonio Di Florio, comandante della Tenenza dei Carabinieri di Ercolano, di “una serie di circostanze fortuite ripetibili (p. 95, corsivo nostro), la prima delle quali è senza dubbio l’incontro tra rappresentanti delle istituzioni con capacità e competenze diverse ma con la comune volontà di contrastare lo strapotere della camorra. Uno dei protagonisti di queste circostanze fortuite è proprio Nino Daniele, sindaco in carica dal 2005 al 2010 e proveniente dall’area del centrosinistra, con all’attivo una lunga carriera ed una grande esperienza nella politica locale; sua è l’idea delle “passeggiate”, un’abitudine semplice che diventa grimaldello contro l’omertà ed il controllo del territorio operato dei clan. Anche solo il passeggiare nelle strade abitate dai criminali, in queste terre, diventa un segnale di vicinanza e attenzione dello Stato nei confronti dei cittadini, un segnale importantissimo laddove uno dei principali alleati della camorra è la mancanza di fiducia nelle istituzioni e nella loro reale capacità di fare qualcosa per le persone comuni.
Alle passeggiate si uniscono prima il tenente Di Florio e poi altri cittadini, ma gli autori sanno bene che, per combattere i clan, farsi vedere è solo un primo passo; per colpire a fondo, bisogna interrompere il regno dell’omertà e contrastare il controllo del territorio esercitato dalla camorra. E qui entra in gioco l’associazionismo antiracket, rappresentato tra gli autori del libro da Tano Grasso e, sul territorio di Ercolano, dall’associazione di commercianti che rifiutano di pagare il pizzo: è questo lo strumento che convince i cittadini della reale volontà di intervenire da parte delle istituzioni, ed è grazie alle leggi apposite, ed al contributo di tantissimi commercianti e cittadini che finalmente si sentono tutelati e valorizzati, che si riesce finalmente a sgominare i clan della zona.
 
La camorra e l’antiracket è quasi un “manuale” per il buon amministratore o funzionario di pubblica sicurezza del Mezzogiorno e, sicuramente, richiama i membri di entrambe queste categorie ad una grande assunzione di responsabilità; le consuete (auto)giustificazioni di chi resta inattivo vengono smentite dall’evidenza empirica della possibilità di ottenere risultati di rilievo in tempi relativamente brevi.
 
Come è evidente, tra le “circostanze fortuite” deve necessariamente esserci una “buona” politica: con questa espressione, peraltro, si chiamano in causa due distinti ambiti. Il primo, il più evidente, è quello degli individui, cioè dei politici. Il sindaco Nino Daniele, ad esempio, incarna il prototipo dell’amministratore locale di grande onestà ed esperienza, dalla solida formazione politica e culturale; nonostante venga catapultato in una situazione a lui inizialmente estranea, è capace di inventarsi metodi validi per perseguire l’obiettivo, scelto coraggiosamente, di combattere la camorra non solo con le parole, bensì anche con la pratica. Ma questo non basta.
 
Il secondo ambito in cui la politica deve essere “buona”, è quello della legislazione; se a Ercolano è stato possibile fare un piccolo miracolo civico, ciò è dovuto in non piccola parte alla buona legislazione italiana sull’antiracket, come pure dalla corretta applicazione delle leggi contrastanti l’abusivismo; fa specie notare, peraltro, che, proprio mentre viene pubblicato questo libro, il Governo italiano scelga di chiudere numerosi piccoli tribunali, moltissimi dei quali sono gli unici avamposti di legalità in territori difficili (un esempio lampante è quello di Lucera, ma si potrebbero citare anche la sede distaccata di Santa Maria Capua Vetere e tante altre). Se La camorra e l’antiracket dimostra che i segnali da parte delle istituzioni sono importanti, che tipo di segnale è una scelta come questa?
 
In evidente contrasto con le più recenti scelte politiche è anche il ruolo centrale assunto dal sindaco e dal Comune proprio mentre, come spiega Colin Crouch in Postdemocrazia, le “[…] funzioni [dei governi locali] stanno gradualmente scomparendo con scarse reazioni […]” (2003, p. 29); Crouch si riferisce, nella sua argomentazione, principalmente alla Gran Bretagna, ma Luciano Gallino e Paola Borgna in La lotta di classe dopo la lotta di classe (2012) confermano che il processo è in atto con forza anche in Italia (ed è evidente a chiunque segua la cronaca politica).
 
Tornando ad Ercolano, la citazione dei tribunali non è a sproposito; è evidente l’importanza avuta, infatti, dalla coordinazione e dalla collaborazione tra le varie componenti dello Stato quali Comune, prefettura, magistratura e, ovviamente, forze dell’ordine. Anche qui, va notato che il tenente Di Florio ha avuto la capacità di comprendere sia il contesto in cui si trovava, sia l’importanza, niente affatto secondaria, di associare alle operazioni repressive la ricostruzione della fiducia dei cittadini nell’operato dei Carabinieri.
 
Infine, tra coloro i quali sono più fortemente chiamati ad una grande assunzione di responsabilità, vi sono chiaramente i cittadini; nel libro è dato il giusto risalto all’importanza che la nascita di una associazione antiracket, animata da alcuni commercianti del territorio, ha avuto nel contrastare il potere dei clan. Non intendiamo, in questa sede, scendere nello specifico del come e perché le associazioni antiracket abbiano questa forza: per approfondire questo tema rimandiamo al testo in esame ed alla copiosa bibliografia di Tano Grasso; ciò che ci preme sottolineare è che la grande volontà di agire delle istituzioni e la competenza dei loro rappresentanti e di Grasso non avrebbero potuto incidere in modo così forte senza un effettivo sostegno ed impegno in prima persona da parte dei cittadini.
 
Dunque La camorra e l’antiracket è il racconto dell’incontro tra una forte domanda di cambiamento da parte della cittadinanza, la volontà di dare seguito a questa domanda da parte delle istituzioni, e la competenza e l’onestà di molti funzionari dello Stato e dei loro collaboratori; un mix di ingredienti non semplicissimo da realizzarsi, eppure ripetibile e ricreabile anche oltre Ercolano. Il testo che abbiamo esaminato dà seguito alla nota affermazione di Giovanni Falcone che, con grande spirito sociologico, notò che “la mafia è un fenomeno umano e, come tutti i fenomeni umani, ha un principio, una sua evoluzione e una fine”: l’esperienza di Ercolano è un passo verso questa fine.
 
Letture
Crouch Colin, Postdemocrazia, Laterza, Roma-Bari, 2003.
Gallino Luciano, Borgna Paola La lotta di classe dopo la lotta di classe, Laterza, Roma-Bari, 2012.
Jansen Monica, Khamal Jasmina (a cura di), Memoria in Noir. Un’indagine pluridisciplinare. Bruxelles-Bern-Berlin-Frankfurt am Main-New York-Oxford-Wien, 2010.
Sciascia Leonardo, Il giorno della civetta, Adelphi, Milano, 2002.
 
di Lorenzo Fattori

Commenti all'articolo

  • Di Ugo Di Girolamo (---.---.---.162) 2 settembre 2012 10:51

    Non ho letto il libro e pertanto entro nel merito solo del contenuto dell’articolo e di quanto esso lascia intendere sia la tesi sostenuta nel saggio.

    Un positivo esempio di riuscita lotta al racket viene proposto come possibile soluzione della questione mafiosa. Detto tra parentesi, mi piacerebbe capire cosa significa quel "praticamente sgominati".

    E’ appena il caso di ricordare che le estorsioni sono solo una parte, e neanche maggioritaria, delle attività delle organizzazioni criminali di tipo mafioso. La camorra, come cosa nostra, ’ndrangheta e altre minori, tendenzialmente esercitano nei loro territori il monopolio su ogni forma di attività criminale nonché tendono a penetrare nell’economia legale.

    Ma l’identificazione tra racket e fenomeno mafioso è solo il primo di errori suscettibili di provocare reazioni negative in quanti avversano le mafie.

    La replicabilità dell’esperimento (pur positivo) di Ercolano da la sensazione di colpevolezza nella sopravvivenza del fenomeno dei cittadini e degli estorti. In fondo, sembra dire l’articolista Lorenzo Fattori, come i cittadini di Ercolano ci sono riusciti altrettanto possono fare in tutte le città d’Italia infestate, il risultato sarebbe quel "praticamente sgominati". Quindi le responsabilità di un fenomeno bisecolare, che fino all’inizio degli anni settanta del novecento è rimasto confinato quasi esclusivamente in tre aree del sud Italia (piano campano, provincia di Reggio C. e Sicilia occidentale) per poi debordare sull’intero territorio nazionale, sarebbe in primo luogo delle vittime, che non si ribellano.

    Ne consegue, inoltre, che un ceto politico che per 150 anni (almeno) ha consentito la sopravvivenza di una forma di criminalità organizzata peculiare solo dell’Italia in Europa occidentale, ne esce praticamente indenne.

    Nell’articolo poi si ripropone un altro vecchio errore - da tempo superato, ma quì riproposto - delle mafie viste come "antistato", "contro istituzioni" è il termine usato. Anche quì è appena il caso di ricordare che mai le mafie si sono sognate di sostituire lo Stato, ma sempre hanno perseguito l’obiettivo di penetrare e condizionare a proprio uso e consumo le istituzioni.

    Per chi fosse interessato a conoscere una strategia - diversa - di lotta risolutiva del fenomeno mafioso suggerisco la lettura di questo articolo e dei relativi testi: http://mafiepolitica.blogspot.it/2012/02/nuovi-orientamenti-nella-lotta-alle.html.

     

  • Di (---.---.---.213) 2 settembre 2012 16:25

    Buonasera; innanzitutto La ringrazio per essere intervenuto, perché il Suo commento mi permette di tornare su alcuni punti della mia recensione che, evidentemente, non ho chiarito nel modo adeguato. Le chiedo anche di perdonare la mia pedanteria se risponderò per punti, ma su questi temi la precisione non è mai a sufficienza.

    1. "Praticamente sgominati" vuol dire che i maggiori esponenti dei clan operanti a Ercolano sono stati arrestati e condannati, non è più presente il fenomeno del racket e la camorra non opera il controllo del territorio né sono riscontrabili elevate attività criminali. Ho preferito utilizzare il termine attenuativo "praticamente" perché, come gli autori chiariscono nel testo, nell’eventuale caso di un calo di attenzione da parte della cittadinanza o delle istituzioni, il fenomeno camorristico potrebbe ripresentarsi.

    2.Noto un singolare errore nel Suo commento: Lei parla di "identificazione tra racket e fenomeno mafioso", cosa che non mi è neanche passato per la testa di fare. Ma Lei dovrebbe sapere bene, da persona esperta del tema, che, come gli autori del testo sottolineano, il racket è il fondamento dell’organizzazione criminale, non tanto per l’effettiva esiguità degli introiti che esso garantisce, ma per la grande stabilità nel tempo degli stessi, e per la possibilità di avere un peso, tramite questo sistema, nelle scelte delle aziende e delle imprese, distorcendo quindi a proprio vantaggio il mercato. Inoltre, e questo è da non sottovalutare, il racket è il principale metodo con cui la camorra evidenzia il proprio controllo del territorio, il quale, particolarità questa della camorra a differenza di molti altri gruppi criminali, deve essere quanto più evidente possibile per manifestare la potenza della suddetta organizzazione. Da qui, dunque l’importanza del contrasto al racket.

    3. Sono spiacente di dover smentire la Sua interpretazione del mio articolo, secondo la quale la responsabilità "sarebbe in primo luogo delle vittime, che non si ribellano". I richiami alla necessità di onestà e competenza da parte dei membri delle istituzioni, nel mio articolo, mi sembrano eloquenti: le "circostanze fortuite ripetibili" che danno il titolo al mio scritto contemplano anche la presenza di politici e militari capaci e integerrimi, dunque non mi sembra necessario soffermarmi oltre su questa obiezione.
    Sicuramente, però, una parte delle responsabilità dei fenomeni criminali italiani vanno attribuite anche ai cittadini, ed in particolare alle sedicenti "classi dirigenti" italiane (in primis la borghesia imprenditoriale), che spesso hanno dimostrato gravi carenze dal punto di vista del rigore etico, e non solo per quanto riguarda la lotta alle mafie (basti ricordare l’applauso ai dirigenti della Thyssen appena condannati). E queste carenze creano terreno fertile per l’insinuarsi della grande criminalità.
    Per quanto riguarda il ceto politico che Lei (giustamente) stigmatizza, è bene ricordare che esso è sempre espressione del popolo che rappresenta.

    4. Sull’ultimo punto, ovvero della mia presunta visione delle mafie come "antistato", concordo appieno con Lei che questo sia un errore, ma devo sottolineare che non c’è alcuna traccia di questa visione, che Lei mi imputa, nel mio scritto. Mi spiace che Lei abbia travisato il mio pensiero e La ringrazio nuovamente per avermi dato l’opportunità di chiarirlo.

  • Di Ugo Di Girolamo (---.---.---.19) 2 settembre 2012 21:03

    Il suo modo pacato, civile di ragionare mi induce a proseguire il dibattito con Lei per precisare alcune cose.

    1- Circa l’identificazione tra antiracket e camorra le faccio osservare che non sono io a operarla e ad attribuirla a lei. E’ tutto l’articolo che corre sul filo di questa identificazione non espressamente detta ma sottesa. E’ lei che parla di "modello Ercolano" ...grazie al quale ..." i clan camorristici della zona sono stati praticamente sgominati nel giro di un lustro".

    Guardi io sono di Mondragone, area dei mazzoni (ovvero area dei casalesi), tra il duemila e il duemilatre il magistrato Raffaele Cantone (che lei conoscerà di fama) sferrò una offensiva micidiale contro un clan tra i più potenti della provincia di Caserta. Fece terra bruciata, arresto tutti, ma proprio tutti i compnenti della banda che imperversava da un tempo indefinito. A Mondragone quasi tutti gioirono, ci fu un deputato che si sbilanciò ad affermare "... quì la camorra non esiste più, lo Stato ha vinto". E’ inutile che le stia a raccontare il seguito, può immaginarlo da solo.

    2- Antistato, è lei che parla di "...una contro-istituzione che sembra essere più radicata dello Stato". Contro e anti significano la stessa cosa, istituzioni e Stato sono significati intercambiabili.

    3- "Per quanto riguarda il ceto politico che lei (giustamente) stigmatizza, è bene notare che esso è sempre espressione del popolo che rappresenta" , si in ultima analisi è così, ma questa è una espressione che poi non porta a nulla e nasconde l’autonomia di un ceto sociale (quello politico) che in quanto portatore di interessi propri differenti da quelli degli amministrati ha delle proprie dirette responsabilità nella gestione della cosa pubblica. Il magistrato Piergiorgio Morosini ha pubblicato a fine 2011 un libro nel quale ripercorre tutti i rapporti tra ceto politico e mafie in 150 anni di storia unitaria. Cosa che ho fatto pure io in un articolo precedente che le consiglio http://mafiepolitica.blogspot.it/2010/08/mafie-e-politica-150-anni-di-rapporti_07.html, solo per la brevità rispetto al libro.

    Tutto questo non è assolutamente volta a sminuire la validità e la positività dell’esperienza di Ercolano, né è mia intenzione giudicare negativamente il suo articolo (per il quale ho espresso un voto positivo), la mia intenzione era semplicemente quella di richiamare l’attenzione di quanti sono interessati alla sconfitta definitiva delle mafie su quello che io (con una mia pubblicazione nel 2009), Nino Di Matteo e Piergiorgio Morosini nel 2011 abbiamo definito il nodo centrale della questione mafiosa: il rapporto tra politica e clan, nonché la rottura di questo rapporto attraverso una lotta alla corruzione, vista quest’ultima come la porta d’ingresso dei clan nelle istituzioni.

    • Di (---.---.---.212) 4 settembre 2012 12:14

      1. Per quanto riguarda l’identificazione, evidentemente nell’articolo sono stato poco chiaro e me ne dispiaccio; comunque il mio pensiero è quello specificato nella mia prima risposta.

      2. In merito a questo punto, vorrei chiarire che ho volutamente evitato il termine "antistato" proprio perché concordo con Lei che esso implichi una mancata comprensione del fenomeno, ma ho utilizzato il termine "contro-istituzione" per identificare un aggregato (la camorra) che, in termini sociologici, opera come un’istituzione ma contrasta con quelle che dovrebbero essere le finalità delle istituzioni democratiche e statali.

      3. Io non sono del tutto d’accordo proprio sul concetto di autonomia del ceto politico: il politico davvero "autonomo" è quello che riesce ad operare in modo aderente alle finalità del suo mandato e del suo ruolo di rappresentante dei cittadini; troppo spesso i politici sono, invece, strumento di interessi economici, lobbistici ed anche criminali.
      Al di là di questa digressione (con la quale non pretendo di interpretare il pensiero del dott. Morosini, sia chiaro), trovo un po’ semplicistico il ridurre le responsabilità del fenomeno criminale alla sola classe politica, trascurando gli aspetti socio/culturali; detto ciò, concordo appieno sulla necessità di una lotta alla corruzione seria e su larga scala, e, ci aggiungerei, che contrasti anche il fenomeno del voto di scambio e le pressioni dei grandi gruppi economici.

      Lorenzo

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