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 Home page > Tribuna Libera > Lavorare stanca, una poesia di Pavese per la generazione d’oggi

Lavorare stanca, una poesia di Pavese per la generazione d’oggi

 

Voglio parlare qui anche di chi lavora e non mi riferisco a chi ha ancora tutele, per fortuna, sindacali. Bisogna dirlo con forza e senza vergogna: c'è una moltitudine di donne e uomini che sono perennemente sfruttati e nessuno parla di loro. 
È vero, la disoccupazione è una piaga devastante, ti demoralizza, rende nulla la personalità, ti rode l'anima. A vent'anni ci si sente imbarazzati, a quaranta molto spesso si è portati a buttarsi sotto ad un treno, oppure darsi fuoco come è ormai di consuetudine o nel migliore dei casi (o peggiori, dipende dai punti di vista) si finisce in galera, visto che purtroppo è un reato rubare per fame.
 
Molti di noi magari non ci fanno nemmeno caso, magari abituati ad avere (come deve essere giusto) il sabato e la domenica liberi. Andiamo in un bar, un ristorante, in un negozio e magari ci lamentiamo anche di chi ci "serve" (sic!). 
 
Andiamo a prendere una pizza e magari facciamo anche gli scorbutici, sbuffiamo quando attendiamo troppo o magari andiamo in un centro commerciale e pretendiamo di avere attenzione. Quanti di voi mi direbbero: "Ma sono pagati per questo, scusami!", dimenticando che anche noi siamo lavoratori e qualche ora prima eravamo al loro posto? Questa è, ahimè, la "condizione umana" di leopardiana memoria.
 
 
Osserviamo con attenzione la politica economica di questo Governo non eletto: parla di crescita, ma in realtà pratica l'economia del "risparmio".
Ottimizzano tutto.
Gli ospedali non riescono più a garantire assistenza e dimora ai pazienti? E cosa fa questo Governo? Per caso ha deciso di indire concorsi pubblici per assumere più personale? Aprire nuovi reparti? No, assolutamente no: ottimizza le poche risorse che già esistono; ciò vuol dire aumentare i turnover (turni massacranti), trasferire i pazienti nei disastrati ambulatori. Sono "piccoli" esempi. Se analizzate ogni minima proposta capireste che si risparmia su tutto, e il denaro che viene recuperato con la lotta all'evasione fiscale, l'Imu alla Chiesa e alla gente comune come noi, serve per pareggiare il Bilancio. E tra poco potranno anche dire: "Signori, lo dice la Costituzione!".
 
Il dramma delle liberalizzazioni è proprio questo: l'alienazione perenne di chi lavora.
 
Per chi fa determinati lavori (e sono tanti, anche se non considerati), la liberalizzazione non vuol dire nuove assunzioni: ma solo sfruttamento di chi già lavora. Non vuol dire più soldi per lavoro straordinario, solo obbligo ad un orario diverso, ad una vita diversa, senza più relazioni con la famiglia e i figli. E ritorniamo all'800 e inevitabilmente ritorniamo a Marx che diventa di un'attualità imbarazzante: il lavoro aliena l'uomo!
 
Sapete quanti ragazzi e ragazzi fanno una vita pessima con questi ritmi lavorativi? Non hanno relazioni sociali, non hanno la forza di leggere un libro, andare al cinema, al teatro e soprattutto non hanno nessun sindacato, nessuna organizzazione che li può sostenere. E anche se magari alcuni di loro non se ne rendono conto (non hanno la cosiddetta "coscienza di classe"), hanno una vita frustrante e nel subconscio capiscono che sono diversi dagli altri. Si, siamo ritornati al sottoproletariato ottocentesco.
 
"Lavorare stanca" è il titolo della poesia di Cesare Pavese e la dedico ai tanti ragazzi che ovviamente non leggeranno mai questo mio post. 

Traversare una strada per scappare di casa
lo fa solo un ragazzo, ma quest’uomo che gira
tutto il giorno le strade, non è più un ragazzo
e non scappa di casa.

Ci sono d’estate
pomeriggi che fino le piazze son vuote, distese

sotto il sole che sta per calare, e quest’uomo, che giunge
per un viale d’inutili piante, si ferma.
Val la pena esser solo, per essere sempre più solo?
Solamente girarle, le piazze e le strade
sono vuote. Bisogna fermare una donna
e parlarle e deciderla a vivere insieme.
Altrimenti, uno parla da solo. È per questo che a volte
c’è lo sbronzo notturno che attacca discorsi
e racconta i progetti di tutta la vita.

Non è certo attendendo nella piazza deserta
che s’incontra qualcuno, ma chi gira le strade
si sofferma ogni tanto. Se fossero in due,
anche andando per strada, la casa sarebbe
dove c’è quella donna e varrebbe la pena.
Nella notte la piazza ritorna deserta
e quest’uomo, che passa, non vede le case
tra le inutili luci, non leva più gli occhi:
sente solo il selciato, che han fatto altri uomini
dalle mani indurite, come sono le sue.
Non è giusto restare sulla piazza deserta.
Ci sarà certamente quella donna per strada
che, pregata, vorrebbe dar mano alla casa.

Forse sarebbe il caso di cominciare a dare voce anche a loro.
 
PS: approfitto per consigliarvi il libro gratuito di Adriano Sofri, che merita di essere letto, anche per restituire la dignità a Pinelli, ancora una volta infangata.

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