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La trattativa mafia-stato, un’analisi diversa

L'intento di questo mio articolo sulla cosidetta "trattativa" è un atto dovuto visto la mistificazione dell'informazione e la pseudo contro-informazione della solita cricca legalitaria. Nei tempi della paranoia e del complottismo dove si è ridotta drasticamente la capacità critica e di analisi, forse sarebbe meglio diffidare dai nuovi guru dell'informazione e utilizzare la propria testa, magari studiando e approfondendo (capisco che sia faticoso, meglio recepire passivamente le notizie). Bisogna diffidare da coloro che seminano certezze, e mai nessun dubbio. Diffidiamo anche dal nuovo film (furbo) della Guzzanti che ha presentato a Cannes. Povera sinistra, ma come sei diventata?

 
In questi giorni c’è una polemica in atto tra il giornalista Travaglio e il giurista Fiandaca in merito alla vicenda giudiziaria relativa alla cosiddetta trattativa mafia – stato; polemica nata dopo la pubblicazione del libro La mafia non ha vinto scritto a quattro mani dallo stesso Fiandaca e dallo storico Lupo. Un libro che stigmatizza i rapporti tra potere giudiziario e potere esecutivo, evidenziandone, a dispetto dell’indipendenza tra i poteri voluta dal Costituente, le vistose interferenze: compete al potere esecutivo ricercare le strategie di intervento necessarie a prevenire la commissione di atti criminosi (come furono le stragi mafiose del terribile biennio '92-'93) e senza che ci siano ingerenze dell’autorità giudiziaria. La magistratura ha il solo compito di intervenire in caso di violazioni del codice penale, invece di fatto si insinua nello stabilire cosa competa al Governo per salvaguardare l’ordine pubblico: quando i tre poteri dello stato interferiscono tra di loro, è il principio di una svolta autoritaria e della sepoltura definitiva del diritto.
 
La presunta trattativa (per Travaglio, invece, dimenticando che ancora c’è un processo in corso, è un fatto acclarato) sarebbe nata in un contesto ben preciso. Dopo la conferma in Cassazione del 30 gennaio 1992 delle pesanti condanne inflitte dai giudici del maxiprocesso, Cosa nostra avrebbe reagito realizzando un programma stragista avente come fine ultimo la ricostruzione di un rapporto di pacifica convivenza tra il mondo mafioso e quello politico-istituzionale: le stragi costituivano uno strumento necessario per piegare psicologicamente il ceto politico di governo e ottenere dei favori. Il piano stragista è iniziato con l’omicidio del parlamentare Salvo Lima nel marzo del 1992 e prevedeva anche l’uccisione di Giulio Andreotti, Claudio Martelli, Calogero Mannino e altri: tutti colpevoli di aver voltato le spalle a Cosa nostra, di averla tradita e di non aver mantenuto le promesse di aggiustamento del maxiprocesso presso la Corte di Cassazione. Così sarebbe nata l’iniziativa dei Ros - sollecitata, secondo i pm, da Calogero Mannino - di contattare l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino come possibile tramite di comunicazione con il vertice mafioso corleonese. Questa presa di contatto, ammessa dagli stessi ufficiali dei carabinieri (Mori e De Donno) che ne sono stati protagonisti, avrebbe avuto la finalità di tentare qualche strada per far desistere la mafia dal portare a termine le azioni criminali programmate: è in questo momento che Ciancimino avrebbe consegnato il famoso papello contenente richieste specifiche per trattare con lo Stato.
 
Secondo Travaglio (e i Pm) è questa la prova incontrovertibile della trattativa visto che l’allora Ministro Conso avrebbe agito in conformità delle direttive. Cosa non assolutamente vera. Il papello prevedeva l’abolizione del 41 Bis (mentre sappiamo che purtroppo questa tortura di Stato, in barba al diritto internazionale, è vigente più che mai), carcerazione vicina ai familiari (sappiamo che non è così), nessuna censura della posta, abolizione del 416 bis (il reato di associazione mafiosa), chiusura delle supercarceri, riforma della giustizia all’americana e revisione del maxi processo a Casa Nostra. Nessun punto è stato mai applicato, tranne la chiusura delle super carceri di Pianosa e Asinara: atto necessario visto che erano la vergogna di un Paese che ha il coraggio di definirsi civile. Che trattativa ci sarebbe stata se, di fatto, la mafia non ha ricevuto nessun beneficio? I soldi di Cosa Nostra sono stati sequestrati, i boss dell’epoca sono tutti in galera, ininterrottamente sottoposti ai rigori del 41 bis. Altra prova” che ci sarebbe stata la trattativa è la mancata cattura di Provenzano da parte dei Ros: il generale Mori è stato assolto in quanto non favorì in alcun modo Provenzano e comunque, giusto per ricordare, l’operazione era guidata dal magistrato Caselli.
 
La terza prova, che poi sarebbe l’architrave di tutto il processo in corso sulla presunta trattativa, è la testimonianza di Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco Vito, definito dai giudici che assolsero Mori, persona inattendibile (in soldoni, un falso testimone) ed è tuttora indagato per calunnia: perché invece dai Pm di Palermo è ritenuto attendibile (attendibile come Scarantino, il falso pentito della strage di via D’Amelio?) e addirittura, nei suoi confronti, Travaglio si scopre “garantista”? Dubbi legittimi e domande da porsi per il conseguimento della verità, soprattutto quando in ballo ci sono stragi, gli omicidi “spettacolari” nei confronti di Falcone e Borsellino (perché i loro colleghi, tra i quali il magistrato intellettuale Scarpinato, hanno richiesto e ottenuto l’archiviazione dell’inchiesta “mafia appalti”?). E, questione delicata, quando si prova a rendere umane le carceri e mettere in discussione lo strapotere giudiziario, subito rispunta il fantasma della “trattativa”. Una spada di Damocle davvero insostenibile.

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