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Ricordi personali di Andreotti

Nel 1988 pubblicai, per le Edizioni Associate, un libro, ormai introvabile, “Il sessantotto. La stagione dei movimenti”, ed, incoraggiato da Nico Perrone, lo mandai ad una dozzina di personaggi, quasi tutti di sinistra. Risposero solo in due: Mario Capanna e – con sommo mio stupore - Giulio Andreotti. Avevo accompagnato il volume con un biglietto: “Gentile onorevole, mi sembra doveroso mandare questo libro sul sessantotto a Lei che, in fondo, il sessantotto lo ha fatto come noi, anche se dall’altra parte della barricata.”. Nel suo biglietto autografo (e Perrone mi confermò che si trattava della sua grafia) Andreotti diceva: “Gentile signor Giannuli la ringrazio e, proprio perché lei pensa che io abbia idee diverse dalle sue, lo leggerò volentieri”.

Mi colpì quel “lei pensa che io abbia” e gli risposi “Onorevole mi tolga una curiosità; eravamo noi ad avere le sue idee e non ce ne siamo mai accorti, o era Lei ad avere le nostre e non ce lo ha mai detto?”. Questa volta non ci fu seguito.

La prima volta che lo incontrai di persona fu in occasione di una audizione in Commissione Stragi di cui ero consulente. A un deputato della sinistra che gli chiedeva se non fosse giunto il momento di “fare luce sui misteri d’Italia” rispose “Troppa luce acceca”. Poi aveva continuato con cortesia e precisione a rispondere a tutte le domande senza dire assolutamente nulla. Più che altro, il suo tentativo era quello di minimizzare tutto, di dare una versione quanto mai tranquillizzante del quadro delle forze armate del tempo, nel quale, di veri golpisti non ce ne era davvero nessuno.

Anche quando lui stesso aveva dovuto attuare un vastissimo movimento di comandi spostando 50 fra generali ed ammiragli, lo aveva fatto per una sorta di eccesso di precauzione, non altro. A quel punto, il Presidente Giovanni Pellegrino (che lo aspettava al varco) gli lesse un documento trovato in non ricordo bene quale archivio, da un altro consulente della Commissione, un testo molto compromettente che segnalava rapporti espliciti di alti ufficiali con Ordine Nuovo e nel quale non si faceva mistero di mene golpiste. Tutti ci aspettavamo una risposta imbarazzata o qualche aggiustamento di tiro; neanche per sogno, l’imperturbabile rispose con un secco: “Inquietante”. E tutto finì lì.

Gli ho regolarmente mandato i libri che andavo pubblicando (sempre ringraziato) e l’ho incontrato in altre quattro o cinque occasioni, per presentazioni di libri o convegni, scambiandoci qualche parola all’inizio o alla fine dell’evento. Non posso dire di “aver conosciuto” Andreotti ma di essere stato solo una delle 300.000 persone che lui ha incontrato in vita sua. Eppure, devo dire che regolarmente mi riconosceva, mi chiamava per cognome, senza neppure il solito errore di chi ne raddoppia le elle, e, in qualche caso diceva qualcosa dell’ultimo libro che gli avevo mandato. Come facesse a ricordarsi così bene ed a trovare il tempo per rispondere di persona all’ultimo arrivato che gli mandava un libro, non l’ho mai capito. Non ho mai creduto che lui fosse il diavolo Belzebù, ma ho sempre sospettato che avesse fatto un patto con il diavolo per avere la giornata di 96 ore.

In quelle poche volte che l’ho incontrato è sempre stato di estrema cortesia, ma sinceramente non credo di essergli mai stato simpatico.

Nel 1999 la Procura della Repubblica di Brescia mandò in Commissione Stragi la mia prima relazione sul Noto Servizio, che traeva spunto da un documento nel quale si diceva che proprio Andreotti ne era il referente politico; ovviamente i giornali titolarono su quest’ultima notizia. La cosa suscitò un certo clamore. Casualità volle che la notizia venisse fuori proprio il giorno in cui si decideva la data del processo d’appello che lo vedeva imputato a Palermo e la cosa, invece, non parve casuale al diretto interessato che pensò ad un accordo fra procure in suo danno. Posso invece garantire che non c’era alcun accordo e che i magistrati delle due città neanche si conoscevano: anche se a pensar male degli altri spesso si indovina, qualche volta capita di sbagliare; anche se devo ammettere che al suo posto avrei avuto lo stesso sospetto.

La “Padania” pubblicò un pezzo nel quale riferiva una dichiarazione dello stesso Andreotti interrogato su cosa pensasse della questione: “Mi vengono in mente solo male parole”. Il che detto da un personaggio abitualmente così algido, era una reazione decisamente sopra le righe.

Nel 2004, un mio amico giornalista di Repubblica tentò di convincerlo ad una sorta di intervista a tre, con me, sulle carte che man mano stavano emergendo dagli archivi, ma non ricevette mai risposta. Un tentativo analogo fece tre anni dopo un altro mio amico giornalista del “Corriere della Sera”, per un libro intervista, limitatamente alle carte del Sis del periodo 1944-48 e, in questo caso, la risposta ci fu: "Interessante, ma già ho troppi impegni editoriali da onorare, ne riparleremo…"

Ovviamente non se ne è più parlato.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.137) 9 maggio 2013 11:06
    Damiano Mazzotti

    Bella testimonianza e io posso riportare la testimonianza di altre persone con esperienze simili alle sue. Andreotti faceva molta attenzione agli altri e non solo ai potenti e questa cosa gli ha consentito di collaborare con gli Stati Uniti mantenendo un minimo di sovranità nazionale e di autonomia economica. Nonostante tutti gli accadimenti negativi, che forse potevano essere più negativi, si potrebbe dire che il decadimento economico, governativo e sociale italiano è iniziato prima con la morte di Mattei, poi con la morte di Moro e poi con il declino psicofisico e politico di Andreotti.

    Di sicuro Andreotti non si è arricchito o perlomeno non ha fatto la vita da volgare arricchito. Ce ne fossero oggi di politici come Giulio, che pensava agli interessi dell’Italia, nonostante le forti pressioni degli americani. E di certo Andreotti non avrebbe lasciato mano libera in Italia ai poteri massonici e finanziari anglosassoni. 

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