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La Germania non allenta la presa sulla Grecia

Secondo la Banca Centrale tedesca il rischio-default è tutt'altro che superato, e la Grecia avrà bisogno di altri aiuti.

La Bundesbank, chiamata affettuosamente dai tedeschi “Buba”, non è mai stata una banca centrale come le altre. La sua influenza nelle vicende della Comunità europea è sempre stata saliente, tanto da far ritenere che l’obiettivo primario della Banca Centrale Europea – che è il contenimento dei tassi d’inflazione – non sia altro che una proiezione della rigidità della Buba, che fin dal Dopoguerra ha applicato una ferrea disciplina deflazionista.

Di conseguenza, quando in una calda giornata d’agosto è uscito un rapporto firmato Buba in cui si afferma che alla Grecia serviranno altri aiuti a partire dal 2014, nessuno ha preso la notizia poco sul serio, e meno di tutti lo ha fatto Angela Merkel. La Cancelliera, ben consapevole che nel “board” della banca centrale sono nascosti molti “falchi” che desiderano un’uscita della Grecia dall’Eurozona, sa benissimo che per il tedesco medio la parola “Grecia” associata a “nuovi aiuti” significa una sola cosa: mettere nuovamente mano al portafoglio per salvare gli scalcinati ellenici.

Come noto, il 22 settembre sono previste le elezioni politiche in Germania e una notizia come questa è in grado di spostare molti voti, vista ormai l’attitudine anti-Ue che si sta diffondendo endemicamente nella società tedesca, quale risposta agli ultimi 3 anni di crisi dell’area valutaria unica, nata proprio in Grecia.

Atene, come noto, è entrata in una crisi di liquidità nel maggio 2010, allorquando il governo socialista guidato da Papandreou ammise che i conti pubblici erano stati “truccati” e che il deficit dichiarato era molto più basso di quello effettivo. Un problema grave, ma tutto sommato limitato (la Grecia rappresenta il 2% del Pil comunitario) divenne una valanga, anche grazie all’atteggiamento piuttosto riluttante della Merkel: la Germania intervenne in ritardo, e quando intervenne impose una durissima cura di austerità alla finanze pubbliche greche.

Dal 2011 il Paese è sottoposto ai famigerati “pacchetti” di aiuti della Troika (formata da Bce, Fmi e Commissione Europea): in cambio delle tranche di prestiti che permettono ad Atene di tirare avanti, il Paese è costretto a sacrifici gravosi. Basti pensare che, in base alle ultime rilevazione, il tasso di disoccupazione è salito al 26,9%.

L’austerity, oltre ad aggravare i problemi sociali, non ha risolto certamente i problemi “strutturali”: il rapporto Debito/Pil ha continuato ad aumentare, e sfiora ora il 160%, nonostante Atene abbia già sperimentato due “default” parziali sul suo debito (in gergo tecnico chiamati “haircut”, cioè ristrutturazioni volontarie).

Eppure, nonostante l’approccio dell’austerity sia ormai messo in discussione in tutto il mondo, con durissimi attacchi provenienti dagli Stati Uniti, la Germania della Merkel ha continuato a sostenere l’importanza della solvibilità dei paesi debitori, in cambio della permanenza nell’area Euro. Ma proprio questo punto pare l’oggetto del contendere tra il governo tedesco ed i “falchi” della Bundesbank: l’onerosità per le casse tedesche della permanenza di Atene nell’Euro.

La Banca centrale della Germania indica nel dossier una serie di variabili analitiche sul trend negativo di Atene, come i rischi – definiti estremamente alti – associati con il pacchetto di aiuti, oltre a bocciare senza appello l’approvazione da parte della troika dell’ultima dose di 5,8 miliardi di euro di prestito alla Grecia. Con la motivazione che il governo Samaras non avrebbe compiuto i progressi programmati dal memorandum. In altre parole, per gli ortodossi della Buba la cura seguita finora sarebbe stata addirittura troppo lieve: una posizione isolata in Europa e nel mondo, ma non certo in Germania.

E’ evidente che il report della Bundesbank sia destinato ad incendiare una campagna elettorale già segnata pesantemente dal dibattito sulla crisi greca.

Foto: Stephan Mosel/Flickr

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